Il pensiero di Chesterton - La libertà 4 - L'arbitrarietà dei fatti

Autore:
Platania, Marzia
Fonte:
CulturaCattolica.it
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La concezione della natura che Chesterton propone è una concezione magica:
Un albero dà i frutti perché è un albero magico. L'acqua scorre verso il piano perché è fatata; il sole splende perché è fatato”. (GKC, Ortodossia, pag. 73)
Tuttavia questo incanto non è contrario alla ragione; non è introdotto per sottrarre spazio alla ricerca scientifica, che è uno degli ambiti in cui si esercita la ragione, bensì proprio per salvaguardare la ragione. Infatti c'è un secondo scoglio contro cui si infrange il determinismo scientifico ed è il limite proprio della ragione:
Tutti i termini usati nei libri di scienza: "legge", "necessità", "ordine", "tendenza", e così via sono intellettualmente errati perché presuppongono una facoltà di sintesi superiore a quella che possediamo. Le sole parole che mi sono sembrate soddisfacenti per descrivere la natura sono quelle usate nei libri di fate: "malia", "stregoneria", "incantesimo". Queste esprimono la arbitrarietà dei fatti e il loro mistero”. (GKC, Ibidem, pag. 72 e 73)
Descrivere la natura nei termini di stregoneria è certo paradossale; ma il paradosso è uno strumento della ragione, un pungolo e una sferza. Ciò che Chesterton soprattutto intende salvaguardare è un corretto atteggiamento della ragione che se è apertura all'Essere è essenzialmente apertura al fatto; e non può correttamente operare se dimentica l'arbitrarietà del fatto, cioè la sua indipendenza dalle leggi del pensiero, ciò che costituisce il suo mistero.
La ragione deve non dimenticare insomma che la spiegazione dei fenomeni non coincide con la spiegazione dell'Essere. L'ambito della scienza è la spiegazione del come gli avvenimenti accadono, non del perché. Le connessioni che essa instaura sono connessioni empiriche.
La strega della novella dice "suonate il corno e il castello dell'orco cascherà", ma essa non lo dice come se una cosa dipendesse evidentemente dall'altra, come effetto da causa. La strega ha dato senz'altro lo stesso consiglio a molti eroi e ha visto molti castelli cadere, ma non perde né il suo stupore né la sua ragione: essa non si rompe la testa a immaginare una necessaria connessione mentale tra un suono di corno e una torre che precipita. Gli uomini di scienza invece si rompono la testa a immaginare una connessione mentale fra una mela che casca dall'albero e una mela che giunge al suolo. Essi parlano come se realmente avessero scoperto non solo una straordinaria serie di fatti, ma una verità che stabilisca fra questi fatti una connessione: come se la connessione di due cose estranee fisicamente potessero connetterle filosoficamente; essi pensano che siccome una cosa incomprensibile segue costantemente un'altra cosa incomprensibile, queste due cose messe insieme facciano una cosa comprensibile: due oscuri enigmi fanno, per loro, una chiara verità”. (GKC, Ibidem, pag. 72)
Sottolineando l'impossibilità di connettere filosoficamente i fenomeni Chesterton non fa che ribadire la critica di Hume al concetto di causa. Il suo scopo non è però puramente distruttivo. La scienza ha la sua dignità e il suo ambito di ricerca nella quale esercita con pieno diritto i suoi diritti; purché sia chiaro che le sue conclusioni non sono che ipotesi interpretative del fatto sperimentale, e la loro verità o necessità è in ultima analisi affidata alla verifica del fatto sperimentale. Le sue leggi sono spiegazione di come i fatti avvengano; non una coercizione a cui i fatti naturali debbano necessariamente sottostare. Sono i fatti che dettano legge alla scienza, non è la scienza che possa imporre leggi alla natura. L'equivoco è dentro lo stesso termine di "legge": la legge di natura non può essere in senso stretto una legge perché
Una legge richiede che si conosca il fondamento della norma e il titolo per cui la norma è applicabile, e non solo che se ne sia vista qualche applicazione. [...] non è una legge, tanto è vero che non ne conosciamo la formula generale; non è una necessità perché quantunque in pratica sappiamo di poter contare su tali eventi, non abbiamo il diritto di dire che si verificheranno sempre. Che noi contiamo sul corso ordinario delle cose non è regolarmente sufficiente (come fantasticava Huxley) per costruirvi sopra una legge inalterabile. Noi non abbiamo nessuna garanzia, facciamo come una scommessa; rischiamo una remota possibilità di miracolo, come di imbatterci in un migliaccio avvelenato o in una cometa che distrugga il mondo. Noi lasciamo queste ipotesi fuori dal nostro calcolo non perché costituiscono un miracolo e perciò un'impossibilità, ma perché costituiscono un miracolo e perciò un'eccezione”. (GKC, Ibidem, pag. 71e 72)