Il pensiero di Chesterton – La libertà 2 – Determinismo vs libertà
Ogni azione umana presuppone la responsabilità e la libertà: a che scopo per esempio portare avanti una controversia se l’avversario polemico non è libero di mutare la sua opinione, perchè essa deriva da eredità ed ambiente? Pur negando la libertà, egli in effetti la presupponeva nelle sue stesse azioni.- Autore:
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La teoria che negava l'esistenza della libertà era in quegli anni propugnata a livello giornalistico soprattutto da Blatchford, editorialista del Clarion, con il quale Chesterton ebbe la sua prima famosa controversia pubblica; il resoconto che egli ne dà nella sua autobiografia chiarisce la contraddizione irrisolvibile di una simile negazione, che vale essenzialmente anche per filosofie più scaltre di quanto non fosse quella di Blatchford:
“Secondo la logica, non si dovrebbe dire "grazie", a chi fa passare la senape.
Come potrebbe essere lodato chi fa passare la senape, dal momento che non potrebbe essere biasimato, se non facesse passare la senape? So benissimo che si può sostenere che il fatalismo non cambia i fatti della nostra vita; [...] Ma se il determinismo non creava nessuna distinzione, perchè Blatchford tuonava furiosamente dal pulpito intorno alla distinzione che creava?” (GKC, Autobiografia, pag. 182)
Blatchford affermava che tutto derivava da eredità ed ambiente, e che la libertà umana era un mito e con essa evidentemente la responsabilità (negare la responsabilità era per lui in realtà soltanto il presupposto sul quale egli intendeva fondare la sua azione sociale a favore dei reclusi delle carceri, presupposto non solo come abbiamo già visto inadeguato e anzi controproducente dal punto di vista teorico ma anche insostenibile dal punto di vista pratico). Ogni azione umana presuppone la responsabilità e la libertà: a che scopo per esempio portare avanti una controversia se l’avversario polemico non è libero di mutare la sua opinione, perchè essa deriva da eredità ed ambiente? Pur negando la libertà, egli in effetti la presupponeva nelle sue stesse azioni. L'assurdità di tale posizione rimane evidente, appena si stacchi lo sguardo dal fine cui si voleva farla servire per guardare al fine ove realmente conduce. Blatchford stesso infatti si guardò bene dal seguire la propria teoria in tutte le circostanze; quando si tratto non più della responsabilità del furto da parte di un pover’uomo affamato, ma della responsabilità politica, egli dimenticò prontamente sia il suo scetticismo sulla libertà che l'onnipotenza di eredità e ambiente:
“E ciò che dovevo in seguito udire di Blatchford era che anche lui, scoppiando di indignazione, chiedeva giustizia, punizione, vendetta, quasi senza perdono, per altri tiranni forti, che avevano calpestato i deboli. Ed inchiodava fieramente con la responsabilità dell'invasione del Belgio i principi arroganti di Prussia. Così le sofisticherie di carta vengono distrutte in un grande fuoco.” (Ibidem, pag. 183)
La dimostrazione della libertà non è dunque necessaria. E' implicita in ogni gesto umano. Anzi la prova più decisiva dell'esistenza del libero arbitrio la si può acquistare nell'edicola più vicina: è infatti il romanzo:
“per il buddista o per il fatalista orientale l'esistenza è una scienza o un programma, che deve finire in un certo modo; per il cristiano l'esistenza è una storia, che può finire in qualsiasi modo. In un romanzo sensazionale (prodotto esclusivamente cristiano) il protagonista non è mangiato dai cannibali, ma quello che occorre perchè ci sia l'elemento sensazionale è che possa essere mangiato dai cannibali: il protagonista deve essere (per così dire) un protagonista mangiabile. [...].
Ma il momento drammatico in un racconto è dato dal fatto che c'è un forte elemento di volontà, di quel che la teologia chiama libero arbitrio. Non si può chiudere una addizione come ci pare; ma un racconto si può chiuderlo come ci pare. Quando qualcuno scopri il calcolo differenziale, non c'era da scoprire che il calcolo differenziale. Ma quando Shakespeare uccise Romeo, nulla vietava che lo facesse sposare con la vecchia governante di Giulietta, se ne avesse avuto la vaghezza. Il cristianesimo eccelle nel romanzo narrativo esattamente perchè questo si basa sul libero arbitrio teologico.” (GKC, Ortodossia, pp. 182-183)
La negazione teorica della libertà ha la sua radice nell'errato concetto di ragione che confonde l'uomo moderno irrimediabilmente. Proprio come l'errata concezione della ragione nasce da una opzione, da un atto della volontà non fondato su ragioni, così specularmente, la negazione teorica della libertà nasce da un errore di ragionamento, dalla confusione teoretica tra ciò che è razionale e ciò che è necessario. E' quindi opportuno dirimere questa confusione con il ricorso alla filosofia del giardino delle fate, vale a dire il soleggiato paese del senso comune o della ragione rettamente intesa.
“Ci sono certe serie o sviluppi di eventi (uno consecutivo all'altro) che sono, nel vero senso della parola, razionali; ce ne sono altri, necessari. Le deduzioni puramente matematiche, o logiche, appartengono a quest’ultima categoria. Nel paese delle fate (le più razionali di tutte le creature) esiste la ragione ed esiste la necessità. Per esempio se le Sorelle Brutte sono più vecchie di Cenerentola, è ironicamente e inesorabilmente necessario che Cenerentola sia più giovane delle Sorelle Brutte. Non se ne esce. [...] La fredda ragione lo comanda dall'alto del suo trono e noi del paese delle fate ci sottomettiamo.” (Ibidem, pag. 69)