Il pensiero di Chesterton - L'uomo naturale e l'enigma del mondo 3 - Il mondo non spiega se stesso
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Il primo atto della ragione è riconoscere che esiste qualcosa d'altro, atto che precede l'interrogarsi su che cosa questo sia, se una mera sensazione prodotta dall'azione di qualcosa di misterioso sui suoi sensi, una produzione del suo inconscio, un'illusione venuta da Dio o qualunque altra cosa. Il percepire un fatto è esso stesso un fatto, da cui possiamo cominciare. Qualunque cosa sia, qualche cosa è:
Forse sarebbe meglio dire con una certa enfasi (con un pugno sul tavolo):
"Quello che è, E'". Questa è tutta la credulità monastica che S. Tommaso richiede all'inizio. Pochissimi increduli ci chiedono all'inizio di credere in così poco. (GKC, San Tommaso d’Aquino, pag. 139)
La realtà è sorprendente perché c'è, esiste indipendentemente da noi e richiede perciò di essere spiegata. La realtà è sorprendente anche in quella seconda sfumatura: è sorprendente perché non solo la nostra esistenza non basta a spiegarla poiché è altro rispetto a noi, ma anche perché la sua stessa esistenza non basta a spiegarla. Una realtà che esista necessariamente non potrebbe destare sorpresa; ciò che è necessario che sia, non può non esserci.
Il primo principio, di realtà, e il secondo, di non contraddizione, dice Chesterton, non hanno mai posto problemi all'uomo filosofo.
Subito, con questa idea di affermazione, subentra l'idea della contraddizione. Ed è subito evidente, anche ad un bambino, che non possono esistere insieme l'affermazione e la contraddizione. Qualsiasi nome si dia alle cose che egli vede, una luna o un miraggio, una sensazione o uno stato di coscienza, quando le vede sa che è falso dire che non le vede. O, qualsiasi nome si dia alla cosa che sta facendo, vedere, sognare o essere consapevole di un'impressione, egli sa che lo sta facendo, e che è una menzogna dire che non è vero. (Id. Ibid. pag. 140)
Ciò che muove l'uomo a respingere e negare la sorprendente alterità delle cose, a cercare di dissolvere la realtà; ciò che fa della realtà un problema per l'uomo non è il fatto che essa esista quanto il fatto che essa non esista necessariamente; è il suo modo di essere, contingente, relativo, mutevole
Osservando l'Essere come è ora, come il bambino guarda l'erba, vediamo una seconda cosa; in un linguaggio del tutto popolare, sembra una cosa secondaria e dipendente. L'esistenza esiste, ma non è autosufficiente abbastanza, e non lo sarebbe mai, seguitando solo ad esistere. Lo stesso senso primario, che ci dice che è l'Essere, ci dice anche che non è l'Essere perfetto, non semplicemente imperfetto nel senso popolarmente polemico di contenere in sé il peccato o il dolore, ma imperfetto come Essere. (Id. Ibid. pagg. 144-145)
Questa imperfezione dell'Essere che è la sua contingenza è la pietra d'inciampo per la ragione
A questo punto, come ho detto, molti sapienti abbandonano il primo principio di realtà, che all'inizio avevano ammesso, e tornano a dire che non esiste nulla al di fuori del mutamento, o nulla eccetto la relatività, o nulla eccetto il fluire; o in realtà che non esiste proprio nulla. (Id. Ibid. pag. 141)
E' però irragionevole spiegare la realtà come nulla, perché ciò non rende conto del suo, pur relativo e imperfetto, esserci.
Centinaia di filosofie umane, che sulla terra vanno dal nominalismo al nirvana e al Maya, dall'informe evoluzionismo al vuoto quietismo, derivano tutte dalla prima frattura della catena tomistica; la nozione che poiché quello che vediamo non ci soddisfa o non si spiega, non è nemmeno quello che vediamo. (Id. Ibid. pag 142)
L'essere relativo, imperfetto, mutevole, contingente non può rendere conto della sua stessa esistenza, neppure elevando lo stesso mutamento a sostanza necessaria
Per coloro che veramente pensano, vi sarà sempre qualcosa di veramente impensabile nell'evoluzione del cosmo, come essi la concepiscono; infatti è qualcosa che viene dal nulla, un'onda sempre crescente di acqua versata da una brocca vuota. [...] In breve, il mondo non spiega sé stesso, e non può farlo semplicemente continuando ad espandersi. (Id. Ibid. pag. 145)