Il pensiero di Chesterton - L'uomo cristiano 12 - Il martire e il suicida

La morale cristiana non pone la soluzione del dilemma morale nella individuazione del termine medio tra due vizi contrapposti, ma nella contemporanea presenza di due passioni opposte ed entrambe alla massima intensità.
Autore:
Platania, Marzia
Curatore:
Leonardi, Enrico
Fonte:
CulturaCattolica.it
Vai a "Chesterton: il pensiero"

Questo muoversi della mente cattolica su due piani ha un riscontro nella particolare qualità della morale cristiana. Essa non è mai una morale ragionevole nel senso di mediocre, nel senso della aurea mediocritas latina. Essa non pone la soluzione del dilemma morale nella individuazione del termine medio tra due vizi contrapposti, ma nella contemporanea presenza di due passioni opposte ed entrambe alla massima intensità.
Il primo approccio di Chesterton con questa particolarità peculiare del cristianesimo fu l'opposizione tra il martire e il suicida, venuta a galla in seguito alla polemica sul suicidio scatenata dai drammi di Ibsen. I sostenitori del suicidio accomunavano il suicida al martire, Chesterton non poteva non cogliere l'evidenza che il suicida è l'opposto di un martire
L'uomo che uccide un uomo, uccide un uomo; l'uomo che uccide sé stesso, uccide tutti gli uomini: per quanto lo riguarda, distrugge il mondo. II suo atto (simbolicamente parlando) è peggiore di qualsiasi ratto o attentato dinamitardo: abbatte tutti gli edifici, offende tutte le donne. [...] Il ladro rende omaggio alle cose che ruba se non al loro proprietario, il suicida insulta tutte le cose per il fatto stesso di non rubarle. Rifiutando di vivere per amor di un fiore, oltraggia tutti i fiori. Non c'è al mondo la più piccola creatura, cui egli non irrida con la sua morte. Quando un uomo si impicca ad un albero, le foglie potrebbero cadere giù indispettite e gli uccelli volar via infuriati come se ciascuno avesse ricevuto un affronto personale. (GKC, Ortodossia, pag. 100 e 101)
Anche la Chiesa cattolica provava gli stessi sentimenti verso il suicida, tanto da imporne la sepoltura separata. Tuttavia mentre riguardo al suicida essa ha avuto tale durezza, i martiri cristiani, che parlano della morte con orribile felicità, hanno ricevuto da essa il massimo incoraggiamento e l'onore del culto.
La differenza consiste ovviamente nell’atteggiamento, nell'intenzione cioè nella volontà che guida il gesto. Il martire muore perché qualcosa viva; egli sacrifica la propria vita per qualcosa di più grande che la supera. Il suicida muore perché tutto muoia. In questa contrapposizione giace la soluzione del paradosso dell'ottimista e del pessimista, della necessità di dare la vita per il mondo senza dare la vita al mondo, senza appiattirsi in uno sterile pessimismo come in uno sterile ottimismo. L'uomo non deve salvaguardare solo la sua vita in questo mondo, deve essere disposto a morire per il mondo; neppure deve non aver in nessun conto questo mondo, tanto da essere disposto a vederne la fine.
Il coraggio si configura così non come il medio termine tra la codardia e l'audacia, ma come un amore alla vita che prende la forma di una indifferenza per la morte. Cosi la modestia non è un puro equilibrio tra l'orgoglio e la umiliazione. Diremmo con più precisione: la modestia può bene essere questa mediazione ma ciò che l'uomo desidera non è questo.
Una miscela di due cose è una diluizione di due cose: nessuna delle due è presente nella sua piena forza né porta il contributo di tutto il suo colore.
Questo cauto orgoglio non solleva il cuore come il linguaggio delle trombe; non potete per esso andar vestiti di cremisi e di oro. D'altra parte la blanda modestia razionalista non purifica l'anima col fuoco e non la rende chiara come cristallo
.(GKC, Ibid., pag. 129)
Il cristianesimo ha la virtù di combinare un estremo orgoglio ad una estrema umiltà: come uomo, ognuno è il re del creato; in quanto uomo, ciascuno è peccatore.
Qui insomma il cristianesimo superava ancora una volta la difficoltà di combinare antitesi feroci, mantenendole ferocemente.(GKC, Ibid, pag. 130)
Un ultimo esempio potrebbe essere quello della carità:
Un pagano sensibile direbbe che ci sono di quelli che uno può perdonare e di quelli che non possono essere perdonati [...] Fin dove è perdonabile l'atto, è perdonabile l'uomo. Tutto questo è razionale, anche comodo, ma è un diluire. Non lascia posto per il puro orrore dell'ingiustizia, che è ciò che forma la grande bellezza dell'innocente; né lascia posto per quella pura tenerezza verso l'uomo come uomo, in cui è tutto il fascino della carità. II cristianesimo è arrivato anche qui come le altre volte: è arrivato all'improvviso con una spada e ha diviso il delitto dal delinquente: il delinquente può essere perdonato fino a settanta volte sette; il delitto non deve essere perdonato affatto. Non basta che gli schiavi che rubarono il vino suscitino un po’ la collera e un po’ l'indulgenza; dobbiamo essere più di prima in collera per il furto, e dobbiamo più di prima avere indulgenza per i ladri. C'è spazio per sfogare la rabbia e l'amore, liberamente. E più esaminavo il Cristianesimo, più trovavo che mentre aveva stabilito una regola e un ordine, lo scopo principale di quest'ordine era di permettere alle cose buone di avere libero sfogo.(GKC, Ibid., pag. 131)