Il pensiero di Chesterton - Il Cristo 3 - La pretesa di essere Dio

Quanto più un uomo è sinceramente religioso, tanto più sente la distanza infinita che lo separa dal Dio, la sua sproporzione rispetto al divino. Nessuno spirito autenticamente religioso può nutrire una pretesa tale, che è appannaggio della follia più insana. Il paradosso consiste però proprio in questo: che Cristo ebbe questa pretesa e d'altra parte gli stessi Vangeli che attestano la sua pretesa ce lo dipingono come un uomo intelligente e buono, più intelligente e buono della media dell'umanità.
Autore:
Platania, Marzia
Curatore:
Leonardi, Enrico
Fonte:
CulturaCattolica.it
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La seconda caratteristica del Cristo dei Vangeli è la sua particolare intelligenza, una profondità di spirito e una capacità dialettica che confondono i nemici (si pensi per esemplificazione alle sue risposte nell'episodio del tributo a Cesare, o a quello della adultera colta in flagrante). Per Chesterton il segno più grande di questa intelligenza e comprensione del reale è il discorso sul giglio del campo
Nulla c'è che riveli una mente sottile e veramente superiore, più di questa facoltà di comparare una cosa più bassa con una più alta e quella più alta con una più alta ancora; di pensare su tre piani ad una volta. (GKC, L'uomo eterno pag. 221)
Tale facoltà che appare chiarissimamente nell'episodio in questione, è però una caratteristica diffusa in tutti i Vangeli.
Questi paragoni di lunga portata non sono in nessun luogo così frequenti come nel Vangelo, ed a me suggeriscono le idee più vaste. Una cosa solitaria e solida, con in più le dimensioni della profondità e dell'altezza, potrebbe cosi torreggiare sulle piatte creature che vivono soltanto su di un piano. (Id. Ibid.)
Un maestro di morale buono, che propone una morale sorprendente come contenuti ed ancora più sorprendente perché proposta come avente origine in lui stesso; un uomo dotato di una singolare e sottile intelligenza della realtà; questo il ritratto fin qui delineato. La terza caratteristica ci proietta nel paradosso fondamentale dei Vangeli. La terza caratteristica dell'uomo dei Vangeli è infatti la sua straordinaria pretesa di essere Dio.
Pretesa davvero straordinaria, perché essa è letteralmente unica. Se anche i suoi fedeli avessero frainteso le sue affermazione, è ugualmente l'unico personaggio che sia stato in questo modo frainteso.
Nessun altro profeta o fondatore di religione fu mai scambiato per il dio di cui si faceva interprete. Ancor più, nessun fondatore di religione ha mai portato avanti una simile identificazione.
Nella normalità, quanto più grande un uomo è, tanto meno egli si dà importanza. All'infuori di quest'unico caso che noi stiamo considerando, la sola specie di uomo che di solito ha quelle pretese è un piccolissimo uomo: un monomaniaco.
Quanto più un uomo è sinceramente religioso, tanto più sente la distanza infinita che lo separa dal Dio, la sua sproporzione rispetto al divino. Nessuno spirito autenticamente religioso può nutrire una pretesa tale, che è appannaggio della follia più insana. Il paradosso consiste però proprio in questo: che Cristo ebbe questa pretesa e d'altra parte gli stessi Vangeli che attestano la sua pretesa ce lo dipingono come un uomo intelligente e buono, più intelligente e buono della media dell'umanità.
Nessuno vorrà supporre che Gesù di Nazaret fosse quel tipo di uomo. Nessun critico moderno col cervello a posto può pensare che il predicatore del sermone della montagna fosse un povero imbecille (GKC, L'uomo eterno, pag. 223)
Il paradosso, il contrasto, è dunque fra le prime due caratteristiche e la terza. Per la pretesa di essere Dio, dovremmo giudicare Cristo un povero pazzo; ma per il suo ritratto, siamo condotti a giudicarlo il più saggio e avveduto degli uomini. Potremmo giudicare il Cristo dei Vangeli un geniale riformatore morale, ma quando arriva a definirsi Dio e a voler fondare la morale su sé stesso, siamo costretti ad esitare, a meno di non voler censurare questi dati del problema.
Io non vedo come questi due caratteri avrebbero potuto essere persuasivamente combinati, se non nella guisa sorprendente in cui il credo li combina [...] La divinità è abbastanza grande per essere divina: è grande abbastanza per chiamarsi divina. Ma l'umanità più diventa grande più diventa incapace di credersi divina. Dio è Dio, come dicono i Musulmani: ma un grand'uomo sa di non essere Dio, e più grande è, meglio lo sa. Ecco il paradosso (Id. Ibid.)