Il pensiero di Chesterton - 4 - Verità e Vita
All'uomo avventuroso è offerta una possibilità più grande di quella di un viaggio in esotiche isole: l'avventura di scoprire, li dove si trova, perché esistono tutte le cose; di combattere, non i pirati che abbiano circondato la sua nave, ma il pirata che ha dentro il proprio cuore; di amare non solo una donna bella come un fiore, ma tutti i fiori, compreso l'umile dente-di-leone, come se fossero una donna.Questa avventura è il cristianesimo, è l’ortodossia. Essa non è una dottrina, né una morale: è una vita. E' l’avventura della vita, che ognuno deve compiere per sé stesso...
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4) Verità e Vita
Non seguiremo la difesa minuziosa delle dottrine più messe in dubbio che Chesterton conduce. Abbiamo visto come il cristianesimo fornisce risposta al paradosso dell'esistenza delle cose non astrattamente con un concetto di Dio puramente negativo, ma con il paradosso ben più grande della Trinità, il Dio Creatore che si fa creatura. Altrettanto fornisce l'analogo del paradosso più fondamentale per il percorso filosofico di Chesterton, quello tra bene e male, tra ottimismo e pessimismo, e la risposta è di nuovo un paradosso, quello della Caduta, per cui l'uomo è più di qualsiasi altra creatura, ma meno di sé stesso, ferito nella sua natura cosi da non poter raggiungere senza aiuto ciò senza cui non può vivere, il significato. Il significato ha però fatto irruzione nella storia, nello spazio e nel tempo, offrendosi all'uomo. Il significato non è però una interpretazione, filosofica o mitologica, ma una persona. Il significato si è fatto non soltanto presente, ma esperibile.
Questa è la nota conclusiva del percorso che Chesterton ha compiuto. Non è sufficiente sapere la verità, non è sufficiente essere moralmente retti o buoni. C'è nell'alba della vita una promessa, di felicità e di compimento, che non è giusto verso sé stessi considerare un abbaglio giovanile o una illusione; è il fondamento stesso dell'uomo che in esso si esprime. II gradimento universale del romanzo, dal romanzo d'amore a quello d'avventure, non è che l’esplicitamento di questa inconscia bramosia di un oltre, di un di più d'appagamento, di una maggiore felicità e di una comunque intesa eternità. All'uomo avventuroso è offerta una possibilità più grande di quella di un viaggio in esotiche isole: l'avventura di scoprire, li dove si trova, perché esistono tutte le cose; di combattere, non i pirati che abbiano circondato la sua nave, ma il pirata che ha dentro il proprio cuore; di amare non solo una donna bella come un fiore, ma tutti i fiori, compreso l'umile dente-di-leone, come se fossero una donna.
Questa avventura è il cristianesimo, è l’ortodossia. Essa non è una dottrina, né una morale: è una vita. E' l’avventura della vita, che ognuno deve compiere per sé stesso: De Tonquedec osservava, quasi come una critica, che Chesterton era il solo personaggio dei suoi romanzi ed è vero, perché egli non fa che raccontare la sua propria avventura.
Questa è la persuasività e insieme, se vogliamo, il limite della posizione cristiana; proprio perché è una vita, non si può che viverla. Non è sufficiente riconoscere le verità che essa insegna, non è sufficiente, quand'anche fosse possibile, seguire la sua morale: occorre partecipare della sua realtà. Questo è il segno supremo della sua origine divina: non solo l'intelligenza della sua dottrina e la magnanimità del suo sentimento, ma più di tutto la reale sconfitta del male. La Confessione è da questo punto di vista il più alto mistero della religione cattolica.
Dissi come nell'anima vi fosse la certezza indescrivibile ed indistruttibile che quei primi anni d'innocenza fossero l'inizio di qualcosa di dignitoso, forse di più degno di tutte le cose che vennero dopo. Dissi della luce strana del giorno, che era qualcosa di più della luce del giorno comune e che par risplenda ancora nella mia memoria su quelle strade ripide giù per da Campden Hill, donde si poteva scorger da lontano il Crystal Palace. Orbene, quando un cattolico ritorna dalla confessione entra veramente, per definizione, nell'alba del suo stesso inizio, e guarda con occhi nuovi attraverso il mondo, ad un Crystal Palace che é veramente di cristallo. Egli crede che in quell'angolo oscuro, e in quel breve rito, Dio lo ha veramente rifatto a Sua immagine. Egli è ora un nuovo esperimento del Creatore. (GKC, Autobiografia, pag. 327)
E' la vittoria, non simbolica, ma reale, sul male, e non soltanto sul male del mondo, ma innanzitutto sul proprio male. Questo è fra ciò che la Chiesa promette il dono che maggiormente sedusse Chesterton, la soluzione inimmaginabile del suo problema fondamentale, per cui non poteva bastare l'accordo teorico con la dottrina cattolica, ma occorreva la conversione reale. La conversione non è però comunque un approdo: è la partenza per una nuova avventura.
Il valore di questa antropologia ci sembra risieda proprio in questo: nel suo essere un richiamo, non meno forte per essere scherzoso nello stile, all'uomo moderno perché sia realmente un uomo e non un manichino che un qualsiasi potere può manipolare. Il cuore della sua umanità è poi quello di essere una pretesa: l'uomo ha diritto di ottenere il bene per cui è fatto, di cercare il compimento della sua incontentabile natura che lo guida al di là della natura stessa, fino ad incontrare l'Autore della vita che gli si fa incontro. Nulla di meno di questo è adeguato, e la vita dell'uomo è troppo seria e importante perché egli si accontenti di qualcosa di meno.