La preghiera nel mondo poetico di Omero

Autore:
Morani, Moreno
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Secondo la definizione data dal catechismo della Chiesa cattolica (§ 534), «la preghiera è l'elevazione dell'anima a Dio o la domanda a Dio di beni conformi alla sua volontà. Essa è sempre dono di Dio che viene ad incontrare l'uomo». Per il cristiano dunque la preghiera si colloca in una dimensione duplice: da una parte il desiderio dell’uomo che tende a Dio, dall’altra il dono di Dio che si avvicina all’uomo e gli viene incontro.
Per l’uomo pagano la prospettiva è necessariamente diversa. Come abbiamo già visto in precedenti interventi, nel mondo greco tra il desiderio dell’uomo e la possibilità di incontrare Dio vi è una sproporzione. Dio ha fatto sentire la sua voce al popolo ebraico che si è scelto e poi al popolo cristiano: il mondo greco ha potuto cogliere solamente qualche piccolo barlume di luce. Ciò non toglie che, nell’oscurità e nel buio assoluto, anche il barlume più fioco possa dare un’indicazione, pur non appagando pienamente il bisogno di luce.
Nel mondo poetico di Omero la preghiera è filtrata attraverso gli dèi “falsi e bugiardi” della tradizione e della storia sacra locale. E’ a questi che si deve rivolgere l’ansia dell’uomo che desidera vedere compiuti i propri desideri e le proprie speranze. Essendo parziale e confusa la conoscenza del divino, anche il momento della preghiera è inevitabilmente impreciso e sfocato. Se la preghiera cristiana è sempre, al fondo, una glorificazione di Dio e una fidente accettazione della sua volontà, nella preghiera pagana vi è sempre, in misura più o meno accentuata, un atteggiamento di scambio: in forza della preghiera, e dell’offerta che la accompagna, il dio è tenuto a corrispondere ai desideri dell’uomo. Per questo la preghiera dovrebbe seguire alcune regole precise. L’uomo deve dimostrare di conoscere la divinità a cui si rivolge (per questo bisogna enumerare le imprese del dio e le sue attribuzioni, richiamando la sua sconfinata potenza) e deve dichiarare con precisione l’intento della sua preghiera. In secondo luogo l’orante deve ricordare al dio le proprie benemerenze, in grazia delle quali è legittimato a chiedere l’aiuto divino: questa seconda parte è spesso preceduta da un “se”: se è vero che io ho fatto questo, tu, nella tua potenza, devi operare la grazia che ti chiedo. Se la preghiera è fatta per ottenere un beneficio che riguarda un’altra persona, si devono enumerare le benemerenze di questa. Alla preghiera può essere accompagnato un voto, che può consistere nella promessa di un comportamento o nella dedica di un bene. Rientra in modo perfetto in questo schema la preghiera di Crise, che troviamo all’inizio dell’Iliade: offeso dal comportamento arrogante di Agamennone, Crise chiede ad Apollo di dargli quell’aiuto che solo lui può offrirgli (Il. I, 37-42):
«Ascoltami, dio dall’arco d’argento, tu che proteggi Crisa e la divina Cilla e reggi con potenza Tenedo, Sminteo, se mai ti ho adornato il tuo leggiadro tempio e se mai ti ho bruciato pingui cosce di tori e di capre, compi a me questo desiderio: paghino i Greci le mie lacrime con le tue frecce».
Il dio è tenuto a esaudire la preghiera dell’uomo, ma non sempre questo avviene. Nell’Iliade (XXIV, 33) Apollo rimprovera gli altri dèi di non essere abbastanza solleciti nei confronti di Ettore, preservandone il cadavere dallo scempio che Achille ne sta facendo, nonostante i molti sacrifici loro dedicati da Ettore durante la sua vita: ma il dio è libero anche di non ascoltare la preghiera dell’uomo: «Non sempre Zeus porta a compimento i disegni dell’uomo», ci ricorda il poeta (Il. XVIII, 328). L’uomo è tenuto a ubbidire alla voce del dio (anche se spesso ciò costa fatica), ma l’agire divino è libero e incondizionato.
Quanto detto finora parrebbe dare una dimensione un po’ utilitaristica e gretta al momento della preghiera. Ma, come spesso avviene, la lettura dei testi greci ci offre delle sorprese interessanti. Ne cito un paio.
La preghiera che Achille rivolge a Zeus quando l’amico Patroclo sta per avviarsi alla battaglia (Il. XVI, 233 ss.) presenta un elemento di novità: non sono richiamate le imprese del dio, bensì l’aiuto che già in altre occasioni il dio ha concesso all’orante. La preghiera non nasce dall’osservanza formale di un rito. L’orante si rivolge al dio perché ne percepisce la presenza accanto a sé e perché sa che già in altri momenti della vita lo ha sostenuto: «Zeus sovrano, signore di Dodona, dio dei Pelasgi che vivi lontano, regnando su Dodona tempestosa (…) Un giorno tu hai ascoltato le parole della mia preghiera, mi hai reso onore e hai fatto prostrare il popolo degli Achei: ancora anche adesso esaudisci questo mio desiderio (…)».
Ma c’è un passaggio ancora più sorprendente. Achille, irato per i torti subiti da Agamennone, si è ritirato nella sua tenda insieme ai compagni, e la sua defezione fa pendere la situazione della battaglia a favore dei Troiani: viene mandata una delegazione di tre persone per convincere l’eroe irato a rientrare nella battaglia: sono due amici guerrieri, Aiace e Odisseo, e il terzo è il vecchio Fenice, suo antico maestro e amico del padre Peleo: questi cerca con un discorso molto suadente di convincere Achille a deporre il suo sdegno, e dà, tra l’altro, una descrizione molto viva e interessante delle preghiere, contrapposte ad Ate, la dea della discordia che semina male fra gli uomini con l’inganno (IX, 496 ss.):
«Achille, doma il tuo cuore grande: non ti conviene avere un animo inflessibile: anche gli dèi si lasciano piegare, loro che hanno virtù, onore e forza ben più grandi: eppure, con sacrifici e suppliche amorevoli e libagioni e col fumo dei sacrifici gli uomini, pregandoli, mutano la loro volontà, quando uno compie una colpa e uno sbaglio. E infatti le Preghiere sono le figlie del grande Zeus: sono zoppe, rugose e guerce da un occhio: esse stanno dietro ad Ate: e Ate è forte e ha i piedi buoni, perciò sta davanti a loro facilmente, le precede e va per tutta la terra a seminare inganni fra gli uomini: e loro la seguono per porre rimedio. Se uno avrà rispetto delle figlie di Zeus quando gli vengono vicino, loro lo aiutano grandemente e ne ascoltano la preghiera: se uno invece le allontana e le rifiuta in modo villano, loro vanno da Zeus figlio di Crono e lo convincono a farlo inseguire da Ate, perché paghi il fio con suo danno. Perciò, Achille, vedi di onorare anche tu le figlie di Zeus».
In questa singolare personificazione delle Preghiere (Litaí) vi sono due elementi che meritano di essere sottolineati: la vicinanza di queste figure a Zeus (sempre disponibile ad accogliere i loro consigli) e la possibilità per l’uomo di porre sempre rimedio al male compiuto per l’accecamento e l’inganno di divinità malefiche come Ate. Così il più antico testo della letteratura occidentale ci propone motivi e idee sulle quali vale la pena riflettere ancora oggi.