L'Asino d'oro di Apuleio 1 - Una storia di conversione
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L’Asino d’oro di Apuleio è un’opera in undici libri che appartiene al genere letterario impropriamente detto romanzo, ed è l’unica opera latina di questo genere che ci sia pervenuta intera. L’Asino d’oro (ma sarebbe più corretto dire le Metamorfosi, perché questo è il vero titolo originario: Asino d’oro è l’appellativo che le diede Sant’Agostino che, a differenza di molti contemporanei, manifestò apprezzamento e interesse per lo scritto del suo conterraneo Apuleio), nel suo intrecciarsi di motivi e di narrazioni, è un vasto e originale affresco in cui si colgono i temi più svariati, ricerca e miseria, desiderio e degradazione, ma è soprattutto, alla fine, una storia di conversione.
Apuleio vive tra il 125 e il 170 dopo Cristo (le date esatte non sono note). Il secondo secolo dopo Cristo è un’epoca di crisi profonda, intellettuale e morale. Molti vecchi valori sono ormai sentiti come inadeguati o si sono rivelati deludenti, ma non sono stati sostituiti da valori diversi: regna una sensazione di inquietudine. In filosofia si diffondono correnti di pensiero che, facendo riferimento ad alcuni aspetti del pensiero di Platone, s’incanalano verso il misticismo. La parola chiave che riassume la temperie del tempo è la parola curiositas: il desiderio di fare esperienze nuove per colmare il vuoto spirituale che si è creato intorno e dentro all’uomo; e siccome la religione tradizionale non pare più in grado di soddisfare queste esigenze, si diffondono le religioni misteriche, che promettono salvezza e benessere eterni agli uomini che ne accolgono i principi e si fanno iniziare ai vari culti. Nel vuoto spirituale del tempo inoltre si diffondono anche le scienze occulte e la magia.
La passione per la magia aveva catturato anche Apuleio, che certamente praticò le arti magiche tanto che dovette difendersi dall’accusa di avere causato, mediante la magia, la morte della ricca e anziana moglie Pudentilla. Nel discorso pronunciato davanti ai giudici Apuleio rivendica il valore positivo della magia, come arte che può mettere a diretto contatto l’uomo col divino.
Nel romanzo questo giudizio è ribaltato. Magia e religione sono realtà antitetiche: il fine della magia non è quello di stabilire un canale più diretto fra l’uomo e la divinità, ma quello di impadronirsi di poteri che eccedono i limiti dell’uomo, accettando anche, pur di averli, l’aiuto di forze malefiche. E’ quanto accade al giovane protagonista del romanzo, Lucio, ospite in Tessaglia (terra tradizionalmente ritenuta patria di streghe e maghi) di una maga, Panfila. Lucio è il tipico uomo curiosus dell’epoca. Desideroso di carpire i segreti della magia, con l’aiuto di Fotide, l’ancella di Panfila, si introduce nel “laboratorio” della maga e si cosparge di un unguento che ha però un effetto devastante: lo trasforma in un asino, un animale un po’ speciale che conserva la razionalità e la sensibilità umana pur nell’aspetto ferino. Il rimedio per annullare l’effetto del sortilegio sarebbe semplice: basterebbe mangiare delle rose, ma una serie di contrattempi e di disavventure impedisce a Lucio di farlo. Lucio viene rapito dai briganti e poi passa da un padrone all’altro vivendo una serie di avventure che gli permettono di conoscere un’umanità quanto mai varia e sordida: la sua capacità di giudizio rimane intatta, ma le esperienze a cui viene sottoposto sono sempre più squallide e lo portano verso un abisso di depravazione da cui sembra impossibile risollevarsi. Lucio conosce briganti e ladroni, uomini assassini e donne lussuriose, vede (ed è costretto a partecipare) ogni genere di vizio, pur mantenendo sempre la sua capacità di giudizio in ogni circostanza.
Non possiamo qui seguire la serie di vicende a cui Lucio va incontro: alcune di queste rappresentano il pretesto per inserire nella trama principale del romanzo, secondo il modello della fabula Milesia, un genere letterario introdotto secoli addietro da Aristide di Mileto, delle novelle: fra esse la lunghissima narrazione (circa due libri) delle vicende di Amore e Psiche, un romanzo nel romanzo che meriterebbe una trattazione a parte anche per le implicazioni allegoriche e religiose che presenta (ci ripromettiamo di tornare sull’argomento).