Suggerimenti di lettura: controcorrente: una scelta... forte

A che cosa serve la letteratura? Decenni di strutturalismo, di formalismo, di minuziose analisi testuali hanno fatto perdere di vista il fine proprio della scrittura letteraria...
Autore:
Mereghetti, Claudio
Fonte:
CulturaCattolica.it
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...Oscar Wilde affermò che l’arte è del tutto inutile e che tutta (e dunque solo) la cattiva poesia è sincera. Un paradosso che riassume in sé la modernità e il suo debole pensiero. E che, come tutti i paradossi, contiene uno spicchio di verità: proprio dell’arte è davvero la sua inutilità, il suo essere una forma di comunicazione del tutto aliena da un fine pratico. Nonostante questo, l’affermazione nel suo complesso è falsa, totalmente falsa. Al contrario, la letteratura – come sosteneva Eliot – è, nella sua essenza più vera, parola carica al massimo grado di significato. Perciò polisemica, ma mai insincera. Perfino ambigua, nelle sue forme estreme, ma mai autoreferenziale. Insomma la letteratura, la buona letteratura, è sincera e può essere utile.
Ed è proprio a questo, infatti, che serve la letteratura: a mettere a nudo i nostri valori, a gettare una luce vivida e abbagliante sui nostri pensieri più profondi. Perciò non può mentire. Provocare, certamente, ma mai per mezzo della menzogna. Altrimenti è solo passatempo, rebus da settimana enigmistica, ludoteca mobile. Inutile, per davvero. Oppure solo business. Leggere invece è come il finale di una partita a scacchi: la lenta costruzione di una posizione di vantaggio, la logica conseguenza di una strategia, anzi di due strategie in cui ogni mossa potrebbe essere quella fatale, per il lettore, ma anche per l’artista. E quando leggiamo alta letteratura, l’ultima pagina, come lo scacco matto, arriva sempre troppo presto.
Il lettore è insomma parte del gioco, l’opera è, per dirla con Eco, aperta, chi legge deve anche… riflettere: miscere utile dulci, scriveva Orazio, compito sublime dell’artista, compito ineludibile del lettore.
Fornire valori, occasioni di arricchimento interiore, possibilità di crescere – questo il compito della letteratura, e anche del suo insegnamento – in una parola indicare e offrire non competenze e divertimento (o non solo), ma verità con la quale sola vale la pena di misurarsi.
Confrontarsi con la verità è, però, faticoso e pericoloso. Che cosa occorre per farlo? Soprattutto oggi, che siamo sottoposti a manipolazioni del pensiero sofisticate e meravigliose. Certo, le sirene del pensiero debole ci chiamano e ci lusingano e noi spesso ci lasciamo tentare, perché è comodo pensare come tutti la pensano. E’ confortevole. Possedere un pensiero forte, capace di andare controcorrente pretende una personalità vigorosa, come ha scritto Thomas Mann nelle prime pagine di un capolavoro della letteratura novecentesca, La montagna incantata.



L’uomo non vive soltanto la sua vita personale come individuo, ma – cosciente o incosciente – anche quella della sua epoca e dei suoi contemporanei, e qualora dovesse considerare dati in modo assoluto e ovvio i fondamenti generali e obiettivi della sua esistenza ed essere altrettanto lontano dall’idea di volerli criticare quanto lo era in realtà il buon Castorp, è pur sempre possibile che senta vagamente compromesso dai loro difetti il proprio benessere morale. Il singolo può avere di mira parecchi fini, mete, speranze, previsioni, donde attinge l’impulso ad elevate fatiche e attività; se il suo ambiente impersonale, se l’epoca stessa, nonostante l’operosità interiore, è in fondo priva di speranze e prospettive, se furtivamente gli si rivela disperata, vana, disorientata; e al quesito formulato, coscientemente o no, ma pur sempre formulato, di un ultimo significato, ultrapersonale, assoluto, di ogni fatica e attività, oppone un vacuo silenzio, ecco che proprio nel caso di uomini dabbene sarà quasi inevitabile un’azione paralizzante di questo stato di cose, la quale, passando attraverso il senso morale psichico, finisce con l’estendersi addirittura alla parte fisica e organica dell’individuo. Per aver voglia di svolgere un’attività notevole che sorpassi la misura di ciò che è soltanto imposto, senza che l’epoca sappia dare una risposta sufficiente alla domanda “a qual fine?”, occorre o una solitudine e intimità morale che si trova di rado ed è di natura eroica, o una ben robusta vitalità.


Una pagina straordinaria, al termine della quale non si può che dire: “ecco, è proprio così, ci vuole proprio questo”. E forse il mio lettore si troverà ad aggiungere che allora non fa per lui. “Io – dirà – non ho una natura eroica, né una ben robusta vitalità, tanto meno sono capace di una tale intimità morale”.
E invece non è così. Ecco perché va letta La montagna incantata. Perché sta proprio lì a dire a tutti i suoi lettori che si può, che c’è per tutti una montagna incantata in grado di sviluppare in noi forme di eroismo e vitalità robusta. Tutti abbiamo a che fare tutti i giorni con i Settembrini, o con i Naphta: senza bisogno di soffrire di tisi e senza la necessità fisica di un sanatorio, tutti viviamo di tali confronti e scaliamo la nostra montagna incantata.
Il punto vero, però, non è nemmeno questo, il punto è che non contano le capacità più o meno particolari di cui siamo dotati, la vitalità robusta, la natura eroica. Certo, possederli ci renderà più sicuri, a noi stessi e agli altri, ma mai certi di saper andare controcorrente, di vincere la battaglia.
Se così fosse, se occorressero mentalità e natura tali per compiere le scelte decisive nella scalata a un’esistenza più piena, non ci sarebbe spazio, oggi, per cambiare il mondo. La rivoluzione, quella vera e più feconda, si fa nel silenzio della propria anima. E lì, indipendentemente dalle nostre capacità, siamo chiamati a decidere: questo è il punto. Devo dire a me stesso da che parte sto. Che cosa voglio e che cosa faccio. Quale casa scelgo: Serpeverde o Grifondoro? Vi sembrerà strano, ma a me pare proprio che la risposta più seria a queste domande, possiamo leggerla in un libro per ragazzi. Anche Harry Potter dubita e ne parla con Albus Silente, dopo la dura battaglia con il Basilisco…


“Professore” riprese di nuovo dopo un istante. “Il Cappello Parlante mi disse che io… che… sarei stato bene fra i Serpeverde. Per un po’ tutti hanno pensato che io fossi l’erede di Serpeverde… perché parlo il Serpentese”.
“Harry, tu parli il Serpentese” disse calmo Silente, “perché Voldemort – che è l’ultimo discendente rimasto di Salazar Serpeverde – parla il Serpentese. A meno che io non mi sbagli di grosso, la notte in cui ti ha lasciato quella cicatrice ti ha trasmesso alcuni dei suoi poteri. Anche se di certo non ne aveva intenzione…”
“Voldemort ha messo un pezzettino di sé dentro di me?” chiese Harry trasecolato.
“Si direbbe proprio di sì”.
“Allora è vero che dovrei stare con i Serpeverde!” disse Harry guardando Silente disperato. “Il Cappello Parlante ha visto in me il potere di Serpeverde”.
“Ti ha assegnato al Grifondoro” disse Silente sempre calmo. “Ascoltami bene, Harry. Si dà il caso che tu abbia molte qualità che Salazar Serpeverde apprezzava nei suoi alunni, che selezionava accuratamente. Il dono molto raro del Serpentese… intraprendenza… determinazione… un certo disprezzo per le regole” soggiunse, e ancora i suoi baffi vibrarono. “E tuttavia, il Cappello Parlante ti ha assegnato al Grifondoro. Tu sai perché. Pensaci”.
“Lo ha fatto” disse Harry con la delusione nella voce, “perché gli ho chiesto io di non andare tra i Serpeverde…”.
Appunto” disse Silente ancora una volta del tutto raggiante. “Il che ti rende assai diverso da Tom Riddle. Sono le scelte che facciamo Harry, che dimostrano quel che siamo veramente, molto più delle nostre capacità”. Harry sedeva immobile, esterrefatto. “Se vuoi una prova che appartieni al Grifondoro, ti consiglio di dare un occhiata più da vicino a questo”.
Così dicendo, si avvicinò alla scrivania della McGranitt, prese la spada d’argento macchiata di sangue e gliela porse. Come inebetito, Harry la rivoltò; i rubini mandavano bagliori luminosi alla luce del fuoco. Fu allora che vide il nome inciso proprio sotto l’elsa.
Godric Grifondoro.
“Soltanto un vero Grifondoro avrebbe potuto estrarla dal cappello, Harry” disse semplicemente Silente.


Anche la letteratura di cassetta, per ragazzi addirittura, può riservare interessanti sorprese. Si tratta solo di come ci si pone di fronte ad essa: con o senza l’atteggiamento del… riflettore.
Ancora una volta si tratta appunto di scegliere.