Roahl Dahl, l’imprevisto letterario

Roahl Dahl è scrittore noto più per i suoi racconti e libri per l'infanzia, ma in realtà è straordinario creatore di imprevisti e ancora più imprevisti racconti brevi, forse - in questo ambito - il più grande del Novecento
Autore:
Mereghetti, Claudio
Fonte:
CulturaCattolica.it
Vai a "Schede per lo studio"

Italo Calvino ci ha lasciato, ahimè prematuramente, con un'ultima fatica che, ben più di quanto non abbiano fatto Umberto Eco con la sua Opera aperta e gli strutturalisti con le loro discussioni sulle tecniche narrative, ha saputo ampliare gli orizzonti dei lettori.
Mi riferisco alle sue lezioni americane e alle categorie letterarie che Calvino vi ha analizzato e che sono categorie insieme estetiche ed etiche.
Leggerezza, peso, velocità, lentezza non sono infatti mere tecniche di scrittura, modalità di rappresentazione testuale, sono invece e soprattutto scelte d'autore determinate dalla volontà di dare forma visibile nella lettura al mondo interiore cui si vuole dar vita.
Se Dante, infatti, ha scelto nel suo straordinario realismo narrativo di rappresentare con la forma della gravità l'inferno e con quella della leggerezza il paradiso significa che, oltre alla metafisica della luce, esiste nella Commedia anche una metafisica della massa, in cui al male corrispondono il peso e la lentezza e al bene corrisponde la leggerezza. E questa scelta viene prima di qualsiasi altra opzione narrativa e di qualsiasi altro patto con il lettore: è anzi fuori da questo patto, il lettore non vi ha spazio alcuno e dunque, per dirla con Eco, non è in fabula.
La premessa era necessaria per introdurre il tema, poiché, se mi sono consentiti l'ardire e l'immodestia, vorrei aggiungere a quelle sei categorie una (o due, visto che procedono pur sempre in coppie collegate fra loro) di cui Calvino non parla e che spesso si confonde con le tecniche della narrazione: la categoria, appunto, dell'imprevisto.
Imprevisto e, naturalmente, previsto. Come Eco ha magistralmente insegnato, intese come tecniche narrative queste due categorie sono alla base del patto che si genera tra autore e lettore, sono quelle che rendono il lettore-lettore, lettore-autore o coautore della storia che legge.
Calvino stesso ne ha fatto mirabile uso in quella sua celebre opera, poco letta però, che è Se una notte d'inverno un viaggiatore, e in quell'altra, più conosciuta anche concretamente, che è il Castello dei destini incrociati.
Così intese, le categorie del previsto e dell'imprevisto si possono definire come l'insieme di tutte quelle convenzioni che autore e lettore sanno di dover rispettare all'interno di un preciso genere letterario. Nel "giallo", ad esempio, il fatto che non si può introdurre un testimone a sorpresa, negato al lettore per tutto il tempo della sua lettura; o che il detective non può essere anche il colpevole, eccetera. E che naturalmente valgono anche per i loro opposti, quando cioè si scrive volutamente disobbedendo ai modelli, come fa Benni nelle sue fiabe, che mancano di lieto fine o in cui sono i buoni a essere puniti e i malvagi a ricevere il premio.
Non è questo l'imprevisto che qui intendo: è invece l'imprevisto elevato da tecnica a categoria letteraria, a scelta che esclude la possibilità di una qualsiasi partecipazione del lettore. E' in questo che è stato maestro Roahl Dahl, scrittore noto più per i suoi racconti e libri per l'infanzia, ma in realtà straordinario creatore di imprevisti e ancora più imprevisti racconti brevi, forse – in questo ambito – il più grande del Novecento.
Leggere un racconto di Dahl significa essere avvolti da una atmosfera di normalità, continuamente minacciata: il lettore pensa, come in qualsiasi racconto, di essere oggetto di una richiesta da parte dell'autore, di dover riconoscere la trama sottesa e di dover quindi ricostruire la fabula. Il lettore potrebbe anche percepire che tutto è troppo normale perché non gli si stia richiedendo di capovolgere i canoni del modello di riferimento, ma non sarà mai in grado di cogliere una qualche spia che gli permetta di sentirsi autorizzato a farlo.
Non è come in Le bien parisienne, che Eco sapientemente analizza in Lector in fabula, dove l'autore semina qua e là elementi che il lettore registra in un modo e poi si scoprono essere di tutt'altra natura; in Dahl non c'è mai la volontà di ingannare il lettore, giocando con lui come il gatto con il topo. Dahl fornisce al lettore tutti gli elementi che gli consentono di trarsi dall'inganno. Il problema è che Dahl non vuole creare effetti sorpresa o suspance, o altro, per mettere alla prova l'intelligenza del lettore. Dahl fa dell'imprevisto, o se volete della sorpresa, l'atmosfera complessiva, in cui il lettore viene calato dall'inizio alla fine del racconto, e alla fine il lettore è sorpreso sì, ma dalla normalità con cui a quella sorprendente conclusione si è giunti.
Cosciotto d'agnello è forse il più celebrato di questi racconti, pur non essendo il migliore in assoluto: di fatto è un giallo, con un omicidio, un movente, un colpevole, delle indagini, ma contemporaneamente non è un giallo, perché non è questo che Dahl racconta. Qui Dahl racconta semplicemente un rapporto coniugale nella sua sorprendente normalità, un matrimonio che naufraga, come tanti, nel modo in cui naufragano tanti matrimoni. Quello che Dahl, al di là delle tecniche usate per violare i canoni del giallo e che sono scoperte, fa è utilizzare la categoria dell'imprevisto come scelta narrativa. Sul piano etico per fornirci una chiave di lettura del mondo contemporaneo, così… quotidianamente cinico; sul piano estetico per impedire al lettore di potersi immaginare fuori da quel mondo, di poter dire che lui non è così cinico, che lui qualche valore di riferimento lo ha ancora presente.
Alla fine di Cosciotto d'agnello c'è un colpevole, ma il lettore – divertito – scopre di essere ben felice che non venga scoperto e scopre anche di sorridere del fatto, assolutamente meraviglioso nel suo cinismo, che l'arma del delitto (scoperta la quale si scopre il colpevole, come sanno tutti i lettori di gialli) viene eliminata dagli stessi investigatori, che… se la mangiano bell'e cotta…
Dahl non si limita però a divertire. Come sanno i suoi piccoli lettori, ogni sua storia racchiude un seme di insegnamento, è insieme bella e didattica: di più, nelle sue storie la morale, che c'è sempre, non è mai esplicitata, giunge anch'essa… imprevista. In questo senso il più bel racconto breve di Dahl è Genesi e catastrofe, che racconta la storia di una madre, alla vigilia del quarto parto, spaventata dalla possibilità che anche questa volta il figlio nasca tanto gracile da non superare i primi anni di vita. Come è già accaduto agli altri. Il padre è un lavoratore delle ferrovie, un uomo rozzo, che ad ogni gravidanza ha sempre fatto seguire i suoi commenti sulla gracilità dei neonati. Questa volta la madre, subito dopo il parto, è confortata dal dottore che la sta seguendo. E' lui che le infonde coraggio, cercando di comprendere tanto turbamento. Alla fine parla anche con il padre, il signor Otto Hitler, suggerendogli di stare vicino alla consorte e ai suoi abituali commenti poco lusinghieri sulle caratteristiche fisiche del figlio risponde assicurandogli di non temere per il nuovo arrivato, che saprà crescere, e crescere bene.
Il dialogo finale tra i due coniugi si conclude con le parole della madre: "deve vivere… ho pregato tanto perché viva. Dio deve essere misericordioso".
Chi è questo bambino il lettore lo ha saputo poche righe prima di questa preghiera, quando il dottore ne ha chiesto il nome. Adolf.
Nulla di più dice Dahl, ma il lettore – turbato e quasi sconvolto – conosce in questo modo la sorprendente forza della preghiera, almeno di quella di una madre, e l'altrettanto sorprendente sconfinato spazio di libertà che Dio ha lasciato ad ogni uomo.