Personalizzazione e metodo di studio - 2

Intervista a Rosario Mazzeo
R. MAZZEO, L'organizzazione efficace dell'apprendimento, Erickson 2005, Euro 20.00
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Il sottotitolo del libro è “Personalizzazione e metodo”. Possiamo definire la personalizzazione, parola chiave della riforma del scuola, modalità per svegliare l’uomo studente, forma concreta della centralità della persona che apprende, di cui parlava Berlinguer ed ora la Moratti. Operazione e segno della personalizzazione è nel suo testo il verbo “intraprendere”.

“Chi tiene la pagina davanti agli occhi in modo da vedere solo quella, non può più vedere la natura e intenderne le leggi” per cui finisce con l’essere uno dei tanti “recitatori e trombetti delle altrui opere” Queste sono parole di Leonardo da Vinci.
Purtroppo spesso nelle aule agli alunni oggi non viene neppure chiesto di “recitare” le altrui opere, ma di compilare griglie, schede e test. “Prof, oggi cosa compiliamo?”, chiede un alunno di prima media. Si tratta di un lapsus o di un riflesso condizionato?
Al di là di una risposta, questa cosa è certa: lo studio è un’intrapresa a tre livelli. Innanzitutto perché fondamentalmente è lavoro di chi mette in gioco il suo io, di un soggetto capace di pensarsi ed agire in prima persona anche in contesti di istruzione; in secondo luogo, perché è un processo dall’esito imprevedibile ed incerto sulla strada della conoscenza della realtà; in terzo luogo, produce competenze ovvero conoscenze ed abilità che portano la “firma originale” delle capacità e dell’umana avventura del soggetto che apprende.
Se c’è personalizzazione, c’è intrapresa. E se c’è intrapresa, c’è metodo.

Lei parla anche di ecologia del metodo. Ci può spiegare in che senso e perché?

Tra i punti sui cui occorre fare chiarezza e praticare una condivisione reale dei significati tra i protagonisti del quadrilatero dello studio (docente-alunno-famiglia-materia) c’è proprio la questione “metodo”, che è spesso ridotto a tecnica o a precetto.
Parlare di metodo vuol dire rifarsi concettualmente ad una strada, ai passi e ai motivi per percorrere questa strada. Il metodo di studio è ratio et via dell’apprendimento insegnato, luogo dei passi e dei motivi adeguati dello studio come insieme di attività di ap­prendimento significativo e critico, proposto e controllato nelle aule scolastiche.
Non un passo o mossa qualsiasi è elemento del metodo, ma quei passi e quelle mosse adeguate al soggetto alle prese con lo studio di un oggetto, in un contesto di insegnamento/apprendimento, che presuppone strumenti, attività, tempi e criteri di giudizio. Lo documenta la storia del metodo di studio, che contrariamente a quanto qualcuno sostiene, non è una trovata della pedagogia e della didattica del Novecento americano. Volutamente e polemicamente c’è nel mio libro un excursus storico su come studiavano e facevano studiare gli antichi.

Se è il metodo è personale, può essere insegnato?

Un metodo di studio può e deve essere insegnato nella scuola. Compito della scuola, infatti, non è l’animazione (ludica espressiva e/o culturale), né la trasmissione di informazioni, né l’imposizione di tecniche, ma l’indicazione di tracce da seguire per il personale cammino verso la maturazione intellettuale ed affettiva nello studio e mediante lo studio delle discipline insegnate.
Il metodo di studio è strada che si offre e si scopre giorno dopo giorno. L’offre la scuola come prospettiva per cui vale la pena intraprendere l’avventura dello studio; la indica il docente come percorso della disciplina insegnata. La scopre come sua “corsia” lo studente attento, curioso, in azione nella scuola, con i suoi docenti impegnati ad in-segnare ovvero a porre e a condividere segni (tracce) per l’avventura della conoscenza.

Un metodo di studio non è dunque solo offerta, né solo scoperta.

E’ l’una e l’altra cosa. E’ ciò che la scuola con-segna, nel senso di contrassegna, sigilla insieme (docente-alunno-materia), indicando i passi e mostrando le ragioni dell’applicazione sistematica alla conoscenza e all’apprendimento insegnato, senza finire nella tecnica o nella precettistica del come si studia. E’ ciò che i docenti, professionisti dell’apprendere insegnato, testimoniano come strada del desiderio e del tempo necessari per incontrare la realtà mediante le discipline, veri e propri punti di vista che la tradizione propone al vaglio critico (re-invenzione consapevole e motivata) dei giovani. E’ ciò che l’allievo conquista partendo da quel contesto di segni e di azioni offerti e/o scoperti che lo provocano ad essere protagonista libero del suo apprendimento, ad acquisire uno stile di vita adeguato all’essere studente, a compiere le operazioni dell’apprendere significativo (comprendere) e critico (riprendere), a gestire difficoltà ed insuccessi acquisendo e documentando competenze (intraprendere).

La salvezza della scuola dunque è una questione di metodo di studio?

Sì, se per salvezza della scuola intendiamo la capacità di far imparare ogni bambino ed ogni giovane ad apprendere nella società della conoscenza e della rete da uomo. L’insegnamento/apprendimento del metodo di studio è un particolare, forse piccolo (ma non trascurabile), in cui la scuola dichiara, volente o nolente, di fatto, sotto quale cielo e su quali fondamenta pensa e costruisce se stessa come organizzazione efficace dell’apprendimento maturo. Un particolare che denota la volontà effettiva di cambiamento.
La scuola italiana si salva, se si ri-forma. E si riforma per davvero nella misura in cui, si ri-organizza aprendosi agli input e ai contributi delle altre culture, senza censurare la sua tradizione culturale, pedagogica e didattica. Censura la sua tradizione, per esempio, quando riduce il metodo a tecnica o a magia, l’apprendimento ad addestramento e la relazione docente-alunno ad uno spazio senza volto.

Quale il ruolo della famiglia al riguardo?

Su questo punto nel libro non intervengo espressamente. Una risposta invece è nel mio precedente volume “Studiare in famiglia”, in cui presento quattro aspetti del ruolo dei genitori nello studio dei figli.
Il primo è far scoprire la radice dello studio: l’amore alla realtà, alla vita e, quindi, l’apertura alle cose, la curiosità, lo stupore.
Il secondo consiste nel testimoniare una concezione positiva dello studio e della scuola come apprendimento significativo, critico, autonomo.
Il terzo è aiutare il ragazzo ad acquisire un comportamento, uno stile di vita adeguato all’essere studente, sia nella pianificazione del tempo e delle attività, sia nella gestione delle difficoltà, dell’insicurezza e dell’errore.
Il quarto è guidare all’acquisizione di abilità di studio, che vadano oltre la formula “leggere e ripetere”. Solitamente i ragazzi infatti riducono il poco studiare ad un leggere e ripetere finalizzato al “sapere che”. Ma questo modo di studiare non fa emergere l’umano, non favorisce l’uso della ragione e l’impegno dell’affettività; non produce il gusto alimentato dalla tensione al “sapere come, con…, perché”.