Lo stupore della lettura

Come un romanzo, di D. Pennac - Leggere, di C. Pavese
Autore:
Ferrari, davide
Fonte:
CulturaCattolica.it
Vai a "Schede per lo studio"



Vorrei proporre due spunti sulla lettura. I testi che propongo non sono affatto delle novità: lo stralcio dell’articolo di Pavese è del 1945, mentre il saggio-romanzo (o romanzo-saggio) di Pennac nonostante sia più recente – 1993 - è già stato accuratamente analizzato, e ne è prova l’edizione Paravia con un apparato didattico rivolto alla scuole superiori.

Il motivo per cui li ripropongo è che questi due testi mostrano - secondo modi e forme diverse come sono diversi i loro autori - un’esperienza della lettura che trova il suo fondamento non tanto in una competenza da acquisire, quanto in un originario modo di rapportarsi alla realtà, che è già di tutti e possibile per tutti.
Mi è sembrato dunque opportuno, soprattutto in un periodo di riforme scolastiche come questo, e in relazione al consolidarsi dell’era della “digitalizzazione” della cultura, offrire due punti di vista sul fatto del leggere che sono un po’ un ritornare all’origine. Innanzi tutto un ritorno all’origine che sembra richiamare il detto evangelico “se non ritornerete come bambini…”: sia Pavese che Pennac fanno esplicitamente riferimento a quella curiosità tutta stupore propria del bambino come della possibilità di una lettura vera e libera da qualsiasi pregiudizio, sia ideologico che di defezione da specialista.

In secondo luogo richiamano entrambi a quell’aspetto della cultura che sembra oggi essere coscientemente eliminato o ridotto a mero dispositivo pedagogico: il rapporto umano tra un maestro e un alunno come quell’avventura alla scoperta del significato del reale che si chiama cultura.

Così quell’“umiltà” che secondo Pavese “permette d’accostarsi alle parole col rispetto e con l’ansia con cui ci si accosta a una persona prediletta” è in Pennac la storia della predilezione - atto gratuito - che un padre ha per il figlio quando la sera gli racconta le sue storie preferite; la stessa predilezione che il professor Pennac dimostra di avere per i suoi alunni svogliati quando - proprio come un padre - legge in classe a voce alta i suoi romanzi preferiti.

Se i primi due capitoli di Come un romanzo descrivono in modo persuasivo come nasca e si risvegli la passione alla lettura, è con Pavese che il valore di questa acquista un nuovo e affascinante significato. Dice Pavese:”I libri non sono gli uomini, sono mezzi per giungere a loro; chi li ama e non ama gli uomini, è un fatuo o un dannato.”

Il “vocabolario” della lettura si arricchisce così di termini poco abituali, o troppo superficialmente adoperati per descriverla.

Nel quarto dei “diritti imprescindibili del lettore”, a proposito del diritto di rileggere, Pennac scrive: “Ma rileggiamo soprattutto in modo gratuito, per il piacere della ripetizione, la gioia di un nuovo incontro, la messa alla prova della intimità. “Ancora, ancora”, diceva il bambino che eravamo un tempo. Le nostre riletture di adulti nascono dallo stesso desiderio: incantarci di una permanenza e trovarla ogni volta così ricca di nuovi incanti”.
Rimando dunque alla lettura del libro di Pennac - del quale vorrei dedicare una frase al ministro Tullio De Mauro: “Che pedagoghi eravamo, quando non ci curavamo della pedagogia.”!- mentre vorrei riportare, a mo’ di “manifesto” di questa rubrica, buona parte dell’articolo di Pavese.

“Accade coi libri come con le persone. Vanno presi sul serio. Ma appunto per questo dobbiamo guardarci dal farcene idoli, cioè strumenti della nostra pigrizia. In questo l’uomo che tra i libri non vive, e per aprirli deve fare uno sforzo, ha un capitale d’umiltà, d’inconsapevole forza - la sola che valga - che gli permette d’accostarsi alle parole col rispetto e con l’ansia con cui ci si accosta a una persona prediletta. E questo vale molto più che la “cultura”, è anzi la vera cultura. Bisogno di comprendere gli altri, carità verso gli altri, che è poi l’unico modo di comprendere e amare se stessi: la cultura comincia di qui. I libri non sono gli uomini, sono mezzi per giungere a loro; chi li ama e non ama gli uomini, è un fatuo o un dannato.

C’è un ostacolo al leggere - ed è sempre lo stesso, in ogni campo della vita - la troppa sicurezza di sé, la mancanza di umiltà, il rifiuto di accogliere l’altro, il diverso. Sempre ci ferisce l’inaudita scoperta che qualcuno ha veduto, non mica più lontano di noi, ma diverso da noi. Siamo fatti di trista abitudine. Amiamo stupirci, come i bambini, ma non troppo. Quando lo stupore c’imponga di uscire veramente di noi stessi, di perdere l’equilibrio per ritrovarne forse un altro più arrischiato, allora arricciamo la bocca, pestiamo i piedi, davvero ritorniamo bambini. Ma di questi ci manca la verginità ch’è innocenza. Noialtri abbiamo delle idee, abbiamo gusti, abbiamo appunto già letto qualcosa, e come tutti i possidenti tremiamo per questo qualcosa”.