Come insegno letteratura (e perché)

Appunti


Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono (S. Paolo, 1Ts 5,21)
Autore:
Sciffo, Andrea
Fonte:
CulturaCattolica.it
Vai a "Schede per lo studio"

«Esistono ancora altre possibilità di una concezione cristiana della storia - affermava Carl Schmitt nel 1951 - c'è la dottrina di san Paolo apostolo sull'uomo e la forza che redimono il potere del male e dell'Anticristo, ritardando cosi l'inizio della catastrofe definitiva.
È la dottrina a proposito di ciò che san Paolo chiama, con parola greca, il kat-échon. Grandi imperatori medievali, come Ottone il Grande e Federico Barbarossa, videro l'essenza storica della loro dignità imperiale nel fatto che lottavano, in qualità di kat-échon, contro l'Anticristo e i suoi alleati, rimandando così la fine dei tempi».

[Giacomo Noventa, 1898-1960]

«Tutto va a gonfie vele nel resto d'Europa per i teorici del progresso. I tedeschi possono puntare su Goethe, i russi su Puškin, i francesi su Racine, gli inglesi su Shakespeare. Gli spagnoli su Cervantes. Chi legge più gli antichi filosofi e i teologi del cattolicismo, chi ascolta più le antiche canzoni e le antiche leggende?
Tutto va a gonfie vele nel resto d'Europa per i teorici del progresso.
Ma non in Italia. Qui essi urtano nell'Alighieri. Ed è stato relativamente facile mettere da parte san Tommaso e gli altri santi, parlare di Giordano Bruno e di Campanella come degli antesignani della Riforma, come di un progresso del pensiero sul pensiero cattolico, ma alla fine, o nel mezzo, di ogni discorso, resta sempre inesplicabile, inamovibile e fastidioso, l'Alighieri. Cioè la storia di una letteratura, di una politica, di una morale che, allontanandosi a poco a poco dal cattolicesimo, a poco a poco decade».
(da "Caffè Greco", 1947)

«Ma Dante restava. Se noi avessimo avuto il nostro grande Dante dopo Machiavelli, dopo Campanella e dopo il Bruno, come gli inglesi il loro Shakespeare e i tedeschi il loro Goethe dopo Lutero e Calvino, l'impedimento sarebbe stato minore: ma come credere nel progresso del protestantesimo e del pensiero moderno sul cattolicesimo dei tempi dell'Alighieri, senza colpire l'Alighieri stesso?».

"Quello che ci fa estranei - se le siamo veramente estranei - alla società ufficiale italiana, è proprio il riconoscimento di una verità universale ed assoluta della cui universalità ed assolutezza tutte le nostre verità o idee della verità partecipano, ed è questo riconoscimento, questa affermazione dell'esistenza e dell'umanità di Dio, che la società ufficiale attribuisce necessariamente al nostro orgoglio.
Essa nega l'esistenza di Dio, o negandola semplicemente, o situandola assolutamente al di là dell'uomo.
L'uomo diventa così un essere che non ha il diritto di sapere né di credere in niente, una congerie di individui sonori e muti, di individui che potrebbero far del rumore insieme, ma non parlarsi; perché... di che cosa parlerebbero?, e di questa miseria e modestia dell'uomo, i propagandisti, gli impersuadibili, e i morti della società ufficiale italiana, si vantano, attribuendosela, ed opponendola al nostro orgoglio. [...]
Negata l'umanità di Dio o la divinità dell'uomo, ognuno di loro celebra così l'umanità e la divinità dell'individuo, anzi di un individuo, anzi di se stesso."
(da "Inchiesta sulla nebbia", 1954)

[Rodolfo Quadrelli ad Augusto Del Noce]

"Milano, 19 ottobre 1979
Che cosa voglio dire? Che ci troviamo di fronte al tradimento e cedimento di una generazione: la generazione crociana e gentiliana, con le sue appendici gobettiane e gramsciane.
Stanno venendo al pettine pratico, etico, politico, le aporie trascinate per cinquanta o cento anni dalla cultura italiana. Tutto lo dimostra, e la via pare senza uscita immediata. La sola via è una ricostruzione della cultura italiana, alla quale ho lavorato finora, oramai da quindici anni, e alla quale tu lavori da sempre. (...)
Vogliamo abbandonare la speranza di avere anche noi il nostro posticino nelle storie della letteratura e della filosofia, nonché nelle enciclopedie, per buttare per aria storie della letteratura e storie della filosofia e enciclopedie? Il compito che ci attende è immane."

"Roma, 14 gennaio 1984
Carissimo Quadrelli, (...)
quanto tu mi dici sul nichilismo mi trova perfettamente consenziente. Non è più il nichilismo tragico di cui forse si potevano trovare le ultime tracce nel terrorismo. Questo nichilismo doveva portare a una situazione rivoluzionaria più o meno confusamente intravista o meglio confusamente ricordata; un qualche elemento di rabbia c'era ancora e questo gli conferiva una sembianza lontanamente umana.
Ma il nichilismo oggi corrente è il nichilismo gaio, nei due sensi che è senza inquietudine (forse si potrebbe addirittura definirlo per la soppressione dell'"inquietum cor" agostiniano) e che ha il suo simbolo nell'omosessualità (si può infatti dire che intende sempre l'amore omosessualmente, anche quando mantiene il rapporto uomo-donna). Non per nulla trova i suoi rappresentanti in ex-cattolici, corteggiati ancora da cattolici che riconoscono in loro qualcosa che trovano sul proprio fondo.
Tale nichilismo è esattamente la riduzione di ogni valore a "valore di scambio"; l'esito borghese massimo, nel peggiore dei sensi, del processo che incomincia con la prima guerra mondiale. (...) è il contraccolpo occidentale del marxismo che nel suo scacco ha potuto dar origine a una nuova fase della borghesia, e al suo neolibertinismo.
Quanto ai cattolici, quel che li caratterizza è l'accettazione di un pensiero del proprio tempo di origine marxista o neoborghese. Il risultato è che non possono più pensare la loro metafisica e la loro religione come verità (...). Esistono due interpretazioni del nostro tempo che condizionano tutti i giudizi particolari, l'illuministico-massonica (nelle sue varietà) e la marxistica, entrambe false. Si tratta di uscire da questa "falsità condizionante" ma i passi in questa direzione sono stati assai scarsi.
Non mi meraviglierei che le due cause [nichilismo e marxismo] si unissero, e forse in Jugoslavia si è già su questa via (lo si era, del resto, quando io insegnavo a Trieste)."

"In Italia, il termine nazionale ha un significato molto ristretto ideologicamente, e in ogni caso non coincide con popolare, perché in Italia gli intellettuali sono lontani dal popolo […] e sono invece legati a una tradizione di casta […]: la tradizione è "libresca" e astratta, e l'intellettuale tipico moderno si sente più legato a Annibal Caro o a Ippolito Pindemonte che a un contadino pugliese e siciliano. […]
I laici hanno fallito al loro compito storico di educatori ed elaboratori della intellettualità e della coscienza morale del popolo-nazione, non hanno saputo dare una soddisfazione alle esigenze intellettuali del popolo: proprio per non aver saputo elaborare un moderno "umanesimo" capace di diffondersi fino agli strati rozzi e più incolti […]. Ma, se i laici hanno fallito, i cattolici non hanno avuto miglior successo"

[ANTONIO GRAMSCI, Quaderni dal carcere (1929-'35)]

«Un'altra strada può essere trovata soltanto al di fuori dell'ideologia, e al di fuori di qualsiasi tentativo mirante alla restaurazione. Un'altra strada può essere soltanto culturale: gli strumenti politici, giusti e utili quando è ancora possibile correggere, ora sono insufficienti. Il primo compito è la ricostruzione o il ritrovamento dei significati, e il punto di partenza è il linguaggio, che dell'ideologia è il sangue circolante.
La scuola è uno dei luoghi in cui l'impegno di affrontare l'ideologia è più importante e più difficile. Tuttavia, perché questo impegno abbia non già successo -il che non è la cosa più importante- ma un senso, è necessario intendere che la scuola non è il punto di partenza, che può essere però il secondo passo, e questo passo è tanto grave da richiedere tutta l'intelligenza possibile.
Soltanto uomini che si presentino nella scuola con un linguaggio già sgombro dalle menzogne utili, già disposto a ritrovare i significati, potranno essere i legittimi avversari degli ideologi. Questi uomini possono essere insegnanti, ma anche giovani, studenti, o altri che alla scuola sappiano rivolgere un'attenzione non pragmatica. Essi dovranno guardarsi dalle lamentele di chi rimpiange la vecchia scuola, falsa alternativa all'anarchia presente, e dovranno respingere le indebite alleanze con i moderati, i nostalgici, gli scettici, i burocrati, i qualunquisti sul serio, con i fossili e le rarità e le specie minori dello zoo ideologico.
L'abilità di questi uomini veramente nuovi dovrà essere una sola: dire sempre la verità. Non saranno necessarie astuzie.»
[Quirino Principe, Manuale di idee per la scuola (1977)]

Sul destino della poesia

1. Negli USA, nel 1911 viene teorizzato il metodo industriale del taylorismo che postula la "subordinazione dell'uomo alle esigenze della macchina". La realizzazione è attuata nelle fabbriche automobilistiche Ford, dal '13. Alienazione: scriveva Marx nell'XI Tesi su Feuerbach: "sinora i filosofi hanno interpretato il mondo; adesso si tratta di trasformarlo".
2. Guido Gozzano acconsente, con ironia, a vedere nella morte della poesia la sorte della poesia: gli uomini "non domandano più nulla ai poeti" che divengono "articoli di non prima necessità".
3. Piero Jahier coniuga la sua vocazione al canto poetico con una severa esigenza morale: l'occasione è l'esperienza di guerra al fronte, in plotone sulle montagne con gli alpini. La poesia sopravvive come appello, adunata, conforto.
4. Ezra Pound, senza ironia, nel '20 scrive una lettera a sua madre nella quale profetizza che la poesia "entro la fine del secolo sarà finita".
5. Il '900 prosegue l'infausta tradizione dei secoli dominati da una lingua corrotta: sempre la corruzione del linguaggio prelude a gravi violazioni ai danni della persona umana (nel '600 a causa del linguaggio della scienza; nel '700 da quello dell'illuminismo; nell'800 la lingua filosofica accetta di essere violata dallo scientismo): vedi qui sotto un esempio eloquente della lingua dell'errore.
6. Eugenio Montale, nel ricevere il premio Nobel nel 1975 tiene un discorso intitolato "E' ancora possibile la poesia?": domanda alla quale riesce a dare una risposta solo flebilmente affermativa. "La più discreta delle arti, la poesia… un giorno si risveglierà, se avrà la forza di farlo". Certo, il panorama mondiale della cultura di massa presenta "milioni di poeti che scrivono versi che non hanno nessun rapporto con la poesia", poiché "molta poesia d'oggi si esprime in prosa. Molti versi di oggi sono prosa e cattiva prosa".



La lingua dell'errore:
"Occorre proporsi un rinnovamento costante per giungere ad un'apertura spregiudicata a tutte le istanze progressive, accettando una situazione precaria e feconda in un'incessante ricerca collettiva delle possibilità di sviluppo e di crescita, spezzando le remore, rovesciando le strutture acquisite, rivoluzionando le forme accettate per aprire nuovi orizzonti d'indagine, sollecitando i contributi costruttivi a un ridimensionamento che metta in crisi le categorie e le abitudini, protendendosi verso esperienze sociali sempre nuove in una accettazione consapevole delle inquietudini e dei rischi di una rimessa in questione dei principi statici, sì da superare le preclusioni aprioristiche, le chiusure sterili, allargando la partecipazione a tutti i livelli in vista di una revisione basilare degli schemi, in uno slancio generoso e con un impegno incessante e sofferto volto a distruggere le barriere, le caste chiuse, le vischiosità antistoriche che impediscono la libera crescita e l'innovazione sociale, educando a un ripensamento critico… con una rivoluzione radicale che si ponga all'avanguardia in una ricerca di nuovi moduli tecnici che permettano di uscire dall'immobilismo e di riprendere la marcia in avanti in un clima di lavoro comune…"
E. Zolla, Che cos'è la tradizione (1968)


Approdi della poesia del Novecento

- Ci sarebbe da dilungarsi sulla poesia crepuscolare di Gozzano, cioè dell'antidannunzio: basti ricordare quei due suoi versi "invece che farmi Gozzano / un po' scimunito ma greggio / farmi gabrieldannunziano / sarebbe stato ben peggio!" ("L'altro",1907);
- bisognerebbe vedere oltre al di sopra la sperimentazione "ermetica" (Ungaretti, Quasimodo e Valéry) o, all'opposto, oltre la "prosastica" (Saba, Garcia Lorca, Neruda, ecc.): vedere dove si eleva il percorso della poesia oggettiva, o filosofica o sensitiva (T.S. Eliot: da "La terra guasta" del '22 ai "Quattro quartetti" del '42; qualcosa di Montale; qua e là in Boine, Rebora, Betocchi, nei minori e nei minimi;
- tener presenti i capisaldi della poetica eliotiana (cfr. "Tradizione e talento individuale", del 1919):
1. "più completo sarà l'artista, più completamente separati saranno in lui l'uomo che soffre e la mente che crea"
2. "la tradizione… esige che si abbia, anzitutto, un buon senso storico, cosa che è quasi indispensabile per chiunque voglia continuare a fare il poeta dopo i venticinque anni. Avere senso storico significa essere consapevole non solo che il passato è passato, ma che è anche presente…"
3. "con la coscienza che tutta la letteratura europea da Omero in avanti, e all'interno di essa tutta la letteratura del proprio paese, ha una sua esistenza simultanea"
4. "i monumenti esistenti compongono un ordine ideale che si modifica quando vi sia introdotta una nuova (veramente nuova) opera d'arte" perché "il passato è modificato dal presente"
5. "qualcuno ha detto: gli scrittori del passato sono lontani da noi perché noi sappiamo molto più di loro. Proprio così, ed essi sono appunto ciò che noi sappiamo"
6. "la poesia non è un libero sfogo di sentimenti, ma un'evasione da essi; non è espressione della personalità, ma un'evasione dalla personalità. E' naturale, però, che solo chi ha personalità e sentimenti sappia che cosa significhi volerne evadere".

- Un buon metro di giudizio è la definizione eliotiana, presente ne LE TRE VOCI DELLA POESIA (1953): "La prima voce è quella del poeta che parla a se stesso, ovvero a nessuno. La seconda è la voce del poeta che si rivolge a un uditorio, grande o piccolo che sia. La terza è la voce del poeta quando tenta di creare un personaggio drammatico che s'esprima in versi; quando egli dice non quello che vorrebbe, a titolo personale, ma soltanto ciò che può dire entro i limiti di un personaggio che dialoga con altri esseri immaginari".

G. Noventa, "El poeta…"

El poeta prepara una fiama,
pian pianin… e el va via pian pianin.
Sue no xé che le prime falive,
e po' i santi e l'eroe vignarà.

Per Noventa, il senso della poesia stava nella preparazione: preparare gli uomini a diventare o santi o eroi.

Bibliografia:

Giacomo Noventa, Opere complete [VI voll.] (Marsilio, 1986-'87)
Augusto Del Noce, Il suicidio della rivoluzione (Rusconi, 1978)
Rodolfo Quadrelli, Lo studio della letteratura europea (Il Cerchio,2001)
Giovanni Casoli, Da Petrarca a Dante (Città Nuova,1992)
Harold Bloom, Come leggere un libro (e perché) (Rizzoli, 2000)
George Steiner, Vere presenze (Garzanti,1998)
Flannery O'Connor, Nel territorio del diavolo (Theoria,1993)
Cesare Cavalleri, Letture (Ares,1998)
Roberto Filippetti, Il Per-corso e i percorsi [III voll.] (Itaca, 2001)