Il mio cuore è gioioso come il nido che ricorda
“Adesso sono in mezzo ai vivi come il ramo nudo il cui secco rumore fa paura al vento della sera. Ma il mio cuore è gioioso come il nido che ricorda e come la terra che spera sotto la neve. Perché so che tutto è dove deve essere e va dove deve andare: al luogo assegnato da una sapienza che (il Cielo ne sia lodato!) non è la nostra”.(O. V. Milosz, Miguel Mañara)
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C’è una parete, a casa mia, che ospita, in cornici che ho voluto una diversa dall’altra, vecchie foto di famiglia in bianco e nero. Ci sono pure i nonni e i bisnonni. Miei e di mio marito.
Ci passiamo davanti spesso, tutti e quattro. Anche i miei figli, che di quei volti ne han conosciuto solo un paio.
E’ una parete preziosa, questa. Forse la più preziosa di tutte, perché, muro portante, sorregge la nostra casa e perché ci ricorda che senza quei volti e i fili invisibili che uniscono le loro storie, questa famiglia non esisterebbe.
Abbiamo faticato a trovare queste foto (alcune sono dei primissimi anni del Novecento!) e siamo perciò dovuti ricorrere a zii e cugini, ma, foglie tremule, ad un certo momento della vita abbiamo sentito desiderio di rami, di un tronco solido. E di radici.
Guardo quelle foto e penso alla trama e all’ordito della mia vita: all’incontro tra i miei genitori, alla storia dei miei nonni e dei bisnonni materni e paterni. Cerco, nei miei fratelli, la somiglianza con chi ci ha preceduti e, in mio padre, rivedo il nonno che non ho conosciuto, perché è morto dodici anni prima che io nascessi.
Ma quelle foto rimandano a legami, racconti, ricordi vivi con i nonni che non ci sono più, perché noi siamo anche ciò che ci è stato di generazione in generazione tramandato come tesoro prezioso, affinché, responsabili, lo custodissimo e, a nostra volta, lo condividessimo.
E allora mi rivedo, bambina, in camera con la mia nonna paterna, che viveva con noi.
Rimasta vedova a cinquantotto anni, ha perso il quarto figlio, trentacinquenne, per un tumore, e quando mio papà, il più giovane dei suoi cinque figli, si è sposato, la prima casa dei miei genitori è stata quella in cui già viveva la mia nonna. La nonna Maria.
Ricordo che la sera, come un rito, sfilava la collana che teneva sempre addosso, quella con il ciondolo d’oro. Lo apriva, sfiorava, con le labbra, la foto del marito e del figlio, poi lo richiudeva e, con delicatezza, posava la sua preziosa collana sopra il comò.
Non ha studiato, la mia nonna, classe 1893, la prima di sei figli. Ma la sera, poteva essere sfinita, prima di dormire sempre mi leggeva un salmo e insieme recitavamo le orazioni per tutta la famiglia e per le anime del Purgatorio.
Poi io mi voltavo dall’altra parte e mi addormentavo serena, sicura della presenza fedele del mio Angelo custode (…ricordo ancora quando, con parole semplici, la nonna mi ha spiegato cosa vuol dire “ti fu affidato dalla Pietà Celeste”… E’ allora, in prima elementare, che ho capito quanto siamo preziosi, e unici, agli occhi di Dio…).
Lei mi dava il bacio della buonanotte e poi teneva ancora accesa per un po’ la luce dell’abat-jour. Riapriva il suo piccolo libro con la copertina nera, un po’ ruvida, gonfio di immagini di santi e di defunti, e continuava a pregare. O recitava sottovoce il Rosario. E allora vedevo le sue dita scarne, le nocche deformate dall’artrosi, sgranare lentamente la corona.
A volte, se non prendevo sonno subito, scostavo appena il lenzuolo, e i miei occhietti di bambina osservavano incuriositi le sue vecchie labbra che appena si muovevano, accompagnando la lettura o le orazioni che le uscivano direttamente dal cuore. Sbirciavo, con il visetto che usciva poco poco dal lenzuolo, ma non ho mai osato disturbarla. Credo fosse il momento in cui, silenzio e buio in casa, poteva, nella preghiera, ritrovare i suoi cari e sentirsi in comunione con loro. E così anche i morti, in quella camera e in quella casa, erano, per noi, presenti e vivi. E ci indicavano la strada.
Oggi le foto appese nella mia parete più preziosa raccontano chi siamo e da dove veniamo. Sono la linfa dei nostri giorni. Sono i semi che hanno dato i frutti che rallegrano ora la mia vita e i luogo in cui abito.
Altri frutti verranno, se Dio vorrà, nel solco di terreno pensato e arato per noi. In un dipanarsi della storia che, nonostante il dolore e le fatiche che a volte accompagnano il vivere, sappiamo essere tessuta da Mani sapienti e buone.