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Aule scolastiche come monasteri benedettini

Autore:
Bruschi, Franco
Fonte:
CulturaCattolica.it
Le aule scolastiche possono diventare come i monasteri benedettini dopo il crollo dell’Impero romano d’occidente, con le persone in preda a una disgregazione fisica, culturale e morale. Dentro quel clima di disgregazione, simile a quello di oggi, i monasteri sono diventati luoghi in cui era possibile vivere un’esperienza umana significativa, in cui veniva valorizzato il desiderio di conoscenza, di affezione, di costruttività, di rapporti nuovi delle persone.

Oggi in terza superiore, introducendo il Medioevo, ho letto un brano di una vecchia omelia del Cardinal Biffi, in occasione dell’inaugurazione dell’anno universitario di Bologna.
Nell’epoca dei più alti traguardi mai raggiunti, come quella delle Cattedrali, delle “Summae Teologicae”, della Divina Commedia e della fioritura delle Università in tutta Europa, fede e ragione erano percepite come nativamente amiche, nate ambedue dalla sapienza misericordiosa del Creatore, chiamate a integrarsi e a collaborare per il vero bene dell’uomo. Cioè, fede e ragione sorelle sono umanamente fecondissime. Ad un certo punto però si disse: come suocera e nuora, fede e ragione non litigano solo quando non si incontrano, poiché sono tra loro incompatibili e alternative. Qualcuno divenne bravissimo a spadroneggiare sulle cose e a manipolarle, ma gli sfuggì di mano il suo stesso destino. Ancor oggi, nel mondo esteriormente unificato, ma frantumato nella sostanza della sua intelligibilità, l’uomo fatica a ritrovare se stesso”.
Ho chiesto: cosa significa farsi sfuggire di mano il proprio destino? O l’uomo che fatica a ritrovare se stesso? Fate una verifica, provate a chiedere a uno studente che prende il vostro pullman, o a un amico del vostro paese: “Ma tu chi sei?”. Vi guarderà con la faccia strana e vi risponderà: “Non lo so”, oppure “Ma che domande fai?”. Ma secondo voi è ragionevole vivere senza sapere chi si è? E’ una cosa importante per la vita o un fatto del tutto indifferente?
Una alunna è intervenuta dicendo: “Vede, prof, fino a poco tempo fa non mi ero quasi mai posta la domanda: ma io chi sono? Solo da due mesi, da quando abbiamo cominciato a parlarne in classe ho iniziato a pensarci e ritengo che sia importante farlo. Io frequento la scuola da una decina d’anni, ma la scuola non mi ha mai aiutata ad affrontare questa domanda, ritengo quindi urgente che questi tre anni debbano essere dedicati alla ricerca di una risposta, altrimenti che senso avrebbe avuto andare a scuola e continuare a venirci? Certo, rispondere è difficile e forse per questo molti rinunciano, ma bisogna tentare, aiutarci.”
Un’altra che discuteva con la compagna di banco, ha aggiunto: “Sarebbe bello scoprire che nell’avventura della vita non siamo soli, che c’è qualcuno al nostro fianco che ci tiene a noi, alla nostra felicità, al nostro destino e poter affrontare la vita senza paura”.
Una terza ha ridetto un pensiero dei primi giorni: “Vivere le giornate senza questa domanda mi sembra inutile, mi sembrerebbe di buttar via il tempo”.
Questo breve scambio di battute ha evidenziato che le aule scolastiche possono diventare come i monasteri benedettini dopo il crollo dell’Impero romano d’occidente, con le persone in preda a una disgregazione fisica, culturale e morale. Dentro quel clima di disgregazione, simile a quello di oggi, i monasteri sono diventati luoghi in cui era possibile vivere un’esperienza umana significativa, in cui veniva valorizzato il desiderio di conoscenza, di affezione, di costruttività, di rapporti nuovi delle persone.
Oggi come allora una lezione su Dante, l’introduzione al Medioevo, o la partecipazione all’esperienza del Banco Alimentare (35 delle mie alunne sono venute con me e altri amici sabato scorso all’Esselunga di Venegono per vivere il gesto del Banco), diventano circostanze, occasioni per “ritrovare se stesso”, per ridare consistenza al proprio “IO”, per ricostruire dei rapporti significativi, per non scoraggiarsi di fronte all’impressione del buio e del nulla, ma ritrovare la luce. Allora accade il miracolo. Ragazze che ti dicono: “Prof, sono contenta di venire a scuola, non solo perché ritrovo le mie amiche, ma perché scopro ogni giorno che nell’avventura della vita non sono sola, è bello che ci sia qualcuno che cammina accanto a te”. Che compito, che responsabilità entusiasmanti!
Mi viene in mente quello che don Gius diceva ai suoi primi alunni: “Ragazzi, vi dico che la verità c’è e questa verità è il destino cui siamo incamminati; o sono impostore io o dovete seguirmi…Che interesse ho a dirvi questo? Uno solo: la passione per la vostra felicità, come ho passione per la mia felicità; non vi conosco, ma vi amo come me stesso. Questa è l’umanità nuova che attraverso ognuno di noi deve espandersi nel mondo”.
Il Papa Giovanni Paolo II diceva: “Così San Benedetto fece diventare l’eroico quotidiano, perché il quotidiano potesse diventare eroico”. La sfida continua!

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