La vocazione all’unità (Cap. 8)
In questo ottavo capitolo, con cui Florenskij chiude il proprio intervento, si intravvede un largo respiro, una semplicità di cuore e di desiderio. Siamo chiamati all’unità e non è questione di definire programmi e progetti, ma di aderire a questa vocazione con un cuore semplice, desideroso di conversione, di “lasciarsi cambiare” dal fatto che ha costituito la Chiesa e di cui la Chiesa custodisce tutta la grande ricchezza.- Curatore:
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La vocazione all’unità
Nel mondo cristiano deve ormai risuonare un appello al pentimento, un appello che chiami a passare dalla mezza fede alla fede intera e dalla Torre di Babele alla Città di Dio. Tale appello non costringe nessuno ad abbandonare le forme concrete che caratterizzano la sua confessione, ma chiama soltanto ciascuno di noi ad approfondire la propria fede e una sola cosa ci suggerisce: l’attività spirituale. L’enorme pericolo che incombe su tutti noi e minaccia tutto ciò da cui pensiamo di poter attingere forza, deve costringere i cristiani a porsi con senso di responsabilità di fronte a questo appello, per il loro bene immediato e per il bene futuro dei loro figli. Non di rado ci capita di essere in disaccordo su cose di infima importanza, quando invece il nostro tempo è di quelli in cui, se davvero si vuole salvare ciò che è fondamentale, bisogna passar sopra a motivi di divisione anche di primaria importanza. Diciamo di essere ricchi, ma in realtà siamo poveri, perché le opere della nostra cultura ci rendono evidente l’autentico orientamento della nostra coscienza, che è un orientamento anticristiano. Lasciamo dunque da parte queste chiacchiere vanagloriose sulla nostra ricchezza e rendiamoci chiaramente conto che gli enormi tesori della Chiesa universale possono sì diventare nostri attraverso il Cristo ma, di fatto, non sono assolutamente una nostra proprietà.
Senza rinunciare a nulla di ciò che è proprio a ogni singola Chiesa, i cristiani devono issare, innanzitutto, il vessillo del cristianesimo e mostrarlo come un appello al mondo cristiano perché impari a conoscersi e sappia finalmente edificare una cultura cristiana; e attorno a questa bandiera si riunirà allora tutto il gregge di Cristo. Non può e non deve essere troppo complicato questo vessillo: vi devono essere riunite solo quelle peculiarità spirituali senza le quali non vi sarebbe più alcun motivo per chiamarsi cristiani. Si tratta di esigenze minime, e non possono non sembrare poca cosa rispetto alle dottrine così elaborate delle singole confessioni. Ma attualmente solo un compendio estremamente succinto della fede cristiana, come appunto è questo, può permetterci di concentrare la nostra attenzione su ciò che è più fondamentale, lasciando dunque da parte tutti gli altri problemi, che possono anche essere importanti, ma vengono tuttavia in seconda o addirittura in terza istanza. Questi problemi poi sono tali che comunque oggi il cristianesimo ben difficilmente sarebbe in grado di risolverli concordemente, così che sarebbe ben poco ragionevole e addirittura criminale attardarsi attorno a questi problemi proprio mentre si è in cammino verso una confessione unanime del Cristo come Figlio di Dio venuto nella carne.
Compito futuro
Se fosse possibile instaurare un rapporto di reciproca fiducia e stabilire un sincero accordo attorno alle non molte tesi proposte da L.M. Lopatin (*) è sicuro che si aprirebbero delle nuove strade per la futura unificazione delle diverse sessioni e, nello stesso tempo, alcune confessioni diventerebbero una sorta di naturale punto di incontro e di unità con altre confessioni, imparentate a loro volta da diverse caratteristiche. Il grado di vicinanza o di lontananza tra le diverse confessioni sarebbe allora determinato da ragioni interne e cesserebbe di essere un imperscrutabile ratto giuridico. L’aver così stabilito un rapporto vero darebbe poi la possibilità di giudicare molte cose cominciando finalmente ad affrontarle nella loro essenza.
4 maggio1923.
(*) Qui Florenskij allude a quella che fu l’occasione di questo articolo, cioè due scritti del filosofo Lev Michajlovic’ Lopatin (1855-1920) che risalgono all’anno 1918, il cui sunto è stato però stato tralasciato nell’edizione russa da noi utilizzata per la traduzione