L’antinomia di identità e diversità (Cap. 7)
In questo settimo capitolo, riprendendo le categorie tipiche della tradizione orientale, Florenskij porta alle estreme conseguenza le considerazioni svolte nel sesto capitolo su diversità e unità; non si tratta solo di prendere atto di diversità inevitabili e sforzarsi di ricondurle a un unicum ma di portare alle estreme conseguenze l’affermazione (così cara agli orientali) che “la verità è antinomica, apofatica e sobornica”- Curatore:
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L’antinomia di identità e diversità
È del tutto naturale che una mezza fede, timorosa di precipitare in una piena mancanza di fede, si aggrappi piena di paura alle forme della vita religiosa e, non sapendo vedere in esse la cristallizzazione delle manifestazioni dello Spirito e della Verità, finisca poi per considerarle alla stregua di norme di una legislazione giuridica. Avrà allora con esse un rapporto puramente esteriore e guarderà a esse non come a una finestra che ci fa pervenire la Luce del Cristo, ma come alle esigenze convenzionali di un’autorità esteriore. La coscienza cristiana sa perfettamente che le istituzioni ecclesiastiche non sono casuali e ci vengono anzi offerte dalla Chiesa, nella sua bontà, come uno strumento di salvezza; per una comunità cristiana è questa in effetti la regola e la condizione di una sana vita spirituale. Ma la coscienza cristiana d’altra parte, non perde mai di vista il fatto che certe prescrizioni di igiene spirituale in determinate condizioni possono essere sostituite da altre: la fedeltà agli ordinamenti ecclesiastici secondo quella che è la loro essenza interiore - contribuire alla salvezza - in qualche caso può portare a essere infedeli alla loro lettera, così come la fedeltà alla lettera può contraddire la loro essenza spirituale.
Nell’antinomia della legge e della libertà, che costituisce il tessuto del Nuovo Testamento, nessuno dei due termini deve essere fatto passare in secondo piano: il sabato è veramente santo, ma il Figlio dell’Uomo è Signore del sabato. Per il cristianesimo, una sconsiderata negazione del sabato può essere altrettanto dannosa del mancato riconoscimento della libertà cristiana, e solo la grazia di poter passare attraverso entrambi i poli di questa antinomia definisce il cristiano autentico. Al contrario, la perdita o l’inaridimento della vita di grazia porta inevitabilmente alla rottura di questa antinomia. Il mondo cristiano, così, in tutte le sue confessioni, si è scisso in un nuovo sadduceismo e in un nuovo fariseismo. Ed è solo penetrando profondamente con uno sguardo di fede nelle forme concrete della vita religiosa, che le varie confessioni potranno avere la possibilità di liberarsi dall’uno e dall’altro.
Le forme della vita religiosa devono essere interpretate appunto come manifestazioni della vita e noi non dobbiamo fare altro che decifrare questi geroglifici della ragione sobornica della Chiesa universale e farli nostri come espressione della ragione di Cristo. E allora ci diventerà chiaro che tutto ciò è stato scritto a nostra edificazione dall’Unico Legislatore e non può essere arbitrariamente modificato, così come non può essere annullata nessuna delle altre scritture. L’ostilità delle varie confessioni nei confronti di questi simboli sacri delle altre confessioni si fonda su un modo assolutamente non spirituale di accostarsi ai simboli stessi. Ma affrontare in maniera non spirituale ciò che è spirituale non è forse un errore grossolano? E non porta inevitabilmente a una pericolosa ignoranza?
La metanoia presupposto dell’unità
L’unità del mondo cristiano, dunque, può essere resa possibile solo da un «cambiamento del modo di pensare» (metanoia) e di giudicare, innanzitutto all’interno della propria confessione. Chi cerca di immedesimarsi spiritualmente nella propria confessione e di essere veramente un figlio leale della propria Chiesa, per ciò stesso si troverà immediatamente unito in Cristo anche agli altri cristiani. In Cristo, appunto, perché solo questa unità può essere effettivamente salvifica. Non abbiamo bisogno di coalizioni artificiose costruite su calcoli umani.
A dire il vero, per spiegare le differenze, oltre alle cause indicate più sopra, se ne può addurre anche una terza: il semplice errore. Ma le vie del Signore sono imperscrutabili e nell’edificazione della Chiesa universale anche gli errori, a volte, possono avere un loro significato. A parte questo però, né il singolo credente, né la singola confessione debbono sentirsi chiamati a considerare come una verità l’errore altrui, ciò che sarebbe una violazione della propria coscienza. Finché permane un sincero orientamento al Cristo v’è motivo di sperare che questo errore sia temporaneo e possa essere corretto a tempo debito. Spesso simili errori possono trovare un terreno favorevole in una chiarificazione non del tutto piena di certe verità essenziali da parte di chi questi errori non condivide, e in questo senso gli errori stessi possono portare a un ulteriore chiarimento della verità.
Invece di una apologetica difensiva, le varie confessioni hanno tutte bisogno di spiegare o di chiarire positivamente il significato delle loro speranze ed è a quel punto, evidentemente, che diventeranno più comprensibili le une alle altre e tutte ai non credenti. Più comprensibili, s’intende, di quanto sarebbero se cercassero di difendere le proprie posizioni attraverso la denunzia delle contraddizioni e dei paralogismi contenuti negli argomenti degli avversari. In particolare, l’ateismo può trovare spunti favorevoli nel mancato sviluppo di quelle idee sulla natura dell’uomo e su tutte le creature che sono implicitamente contenute nella fede in Cristo. Una concezione del mondo che non dica nulla di questi problemi fondamentali non può che destare sfiducia in tutti coloro che bene o male, ma comunque sinceramente, dedicano ogni attenzione e forza proprio a tali questioni. Oltre tutto è assolutamente evidente che il cristianesimo ha qualcosa da dire a questo proposito, così come è evidente che esso ha ben chiaro quali siano gli obblighi dei cristiani nei confronti delle creature.
Tuttavia, anche dopo tutte queste chiarificazioni, possono esserci, e di fatto ci saranno, dei casi di accanita inconciliabilità e di presuntuosa volontà di isolamento. È però chiaro che a questo punto non si potrà più parlare di orientamento della coscienza a Cristo anche se si arrivasse a prendere proprio il Cristo come pretesto di azioni aggressive. Comunque sia, le divisioni e l’inimicizia si ridurrebbero se il mondo cristiano facesse proprie le parole dell’apostolo che disse a questo proposito: «Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone» (Rm 14,4). E non v’è alcun motivo per limitare l’applicazione di queste parole a un solo «servo» e per non estenderla invece all’intera comunità dei servi.
(7. Continua)