L’unico Cristo cuore del problema culturale (Cap. 5)
In questo quinto capitolo Florenskij approfondisce le criticità di una cultura che voglia riferirsi all’esperienza della fede: non è solo e non è tanto questione di una buone intenzioni, un intendimento generalizzato e astratto, ma un “orientamento” del cuore e della coscienza a Cristo. E’ una vera e propria conversione che si esprime in una domanda, in una mendicanza di Cristo come colui che risana e ridona all’uomo la prospettiva di un “ritorno” alla verità e all’unità di sé.- Curatore:
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L’unico Cristo cuore del problema culturale
La cultura, sia nelle sue linee guida più fondamentali sia nei suoi particolari più minuti, è sempre determinata dall’orientamento della nostra coscienza, cioè dalla stella polare che decidiamo di seguire per scegliere il nostro posto nel cammino della vita. Il mondo cristiano vuole porre a fondamento della propria coscienza il Cristo, Figlio di Dio, venuto nella carne. Ma, sia che lo voglia sinceramente, sia che lo proclami solo formalmente, nella maggior parte dei casi non vuole e neppure capisce che è necessario imparare a volere. Dopo aver formalmente proclamato l’orientamento della coscienza al Cristo, i credenti di tutte le confessioni ritengono ancora ammissibile seguire i propri desideri secondo la figura di questo mondo e consacrano i loro sforzi alla costruzione non della città di Dio ma della torre di Babele. Di fronte a quella che appare come la questione di gran lunga più importante e decisiva per la salvezza, cioè l’orientamento di fondo della coscienza al Cristo, ogni disaccordo particolare tra i cristiani passa in secondo piano, così come passa in secondo piano, per un altro verso, anche quando è considerato nel quadro complessivo del servizio che i cristiani rendono di fatto a questo mondo. In questo senso, sia che si innalzino verso le vette sia che si sprofondino negli abissi, i cristiani comunque si avvicinano sempre più gli uni agli altri.
Se i cristiani di una confessione credessero nella sincerità dell’orientamento al Cristo dei cristiani delle altre confessioni, è probabile che non vi sarebbero più divisioni, il che non significa però che scomparirebbero anche le differenze. E viceversa, non vi sarebbero più divisioni religiose anche nel caso in cui si arrivasse a considerare l’orientamento cristiano come una mera sopravvivenza del tutto impotente e per nulla vincolante. Ma i cristiani continuano a dividersi e a lottare gli uni contro gli altri appunto perché non credono nella sincerità dei reciproci orientamenti cristiani ma non arrivano ancora a negare in linea di principio il valore dell’orientamento stesso. E questo è vero non solo per le diverse confessioni, ma anche per le diverse correnti all’interno delle singole confessioni, e addirittura per i rapporti tra i singoli cristiani. Il mondo cristiano è preso nelle catene di una reciproca diffidenza, fatta di sentimenti ostili e di inimicizia. È arrivato a corrompersi sin nel suo stesso fondamento, poiché è privo dell’operosità del Cristo e nello stesso tempo non ha il coraggio e la sincerità di riconoscere la corruzione della propria fede. Ci si attarda compiaciuti a discutere di particolari, di sottigliezze e della scrupolosa fedeltà alle formule dogmatiche, al rito e alle leggi canoniche, si discute senza fine e non si riesce mai a trovare un accordo su niente. E non è forse evidente che l’infecondità di tutte queste discussioni dipende dal fatto che ci si accosta alle questioni di fede non dall’interno, come credenti, ma dall’esterno, come archeologi e che in tal modo, perdendo il senso della realtà spirituale, si finisce inevitabilmente col diventare ciechi, del tutto incapaci di abbracciare l’intero?
Tutto si può dire dei teologi del nostro tempo tranne che parlino «come uno che ha autorità» (Mc 1, 22). Ma se riconosceranno essi stessi di non avere autorità come potranno osare di mettersi a discutere di questioni che possono essere risolte solo in forza dell’autorità? Nessuna cancelleria ecclesiastica, nessuna burocrazia e nessuna diplomazia potrà mai creare l’unità della fede e dell’amore là dove tutto ciò non esiste. Tutte queste giunture esteriori non solo non danno unità al mondo cristiano ma, anzi, non possono far altro che rivelare ancor più profondamente l’isolamento delle varie confessioni. Dobbiamo riconoscere che l’autentica causa della divisione che affligge il mondo cristiano non è data da certe particolari differenze di dottrina, di rito e di struttura ecclesiale ma da una profonda e reciproca diffidenza in ciò che è fondamentale, e cioè nella fede in Cristo, Figlio di Dio, venuto nella carne. E dobbiamo riconoscere che questi sospetti non sono del tutto infondati poiché la fede si è effettivamente svigorita in quelli che sono i suoi fondamenti spirituali più decisivi, come risulta evidente tra l’altro da quello che è il frutto dell’incredulità, la cultura anticristiana. E questo vale non per certe confessioni prese isolatamente, ma per tutto il mondo cristiano nel suo complesso, che attualmente è sì unito ma nel segno di un’identica caduta di fede. Di fronte all’attuale crisi del cristianesimo, tutti coloro che si fregiano del nome cristiano non possono fare a meno di imporsi un compito ultimativo e di pentirsi «con un solo animo e una voce sola» (Rm 15, 6), invocando: Signore, «aiutami nella mia incredulità» (Mc 9, 24). E allora il problema della riunificazione del mondo cristiano uscirà finalmente dal chiuso delle cancellerie all’aria aperta, e ciò che è difficile e impossibile per gli uomini si rivelerà del tutto possibile per Dio.
(5. Continua)