Il sublime 1 - Liscia o Gassata? Normale o Macchiato? Classico o Romantico?

Fonte:
CulturaCattolica.it
Vai a "Studi sull'Arte"

Eh no, fermi, fermi un momento! Bravi, continuate a leggere ancora un istante. Perché questo inizio così bizzarro? Perché il tema di questo articolo suona alquanto impegnativo... siete pronti? Il tema è il Sublime! Chi sta leggendo queste parole vuol dire che si è riavuto dalla botta e ha deciso di concedermi ancora qualche riga di possibilità. Gliene sono grato. Vi è mai capitato di riflettere su questo genere di “esperienza estetica”? Può darsi che abbiate rispolverato questo aggettivo pensando a una strabellissima fanciulla che vi è passata accanto... ma ora vorrei rifletterne in termini più generali. Proverò ora a indicare un paio di idee che ho rilevato sempre presenti nell’universo artistico. Perché in larga misura (non del tutto, in realtà) quando parliamo di sublime stiamo trattando l’arte, intesa nel senso più ampio del termine (letteratura, pittura, scultura, musica, ecc.). Il rischio di un discorso di questo tipo è quello di trasformarlo in un tentativo di sezionare l’arte (o peggio, la realtà) in categorie. Cercar di definire l’arte è come cercare di definire l’uomo: ne resta sempre qualche pezzo fuori. Uno degli ultimi che ci ha provato sistematicamente è stato quel “sicario della verità” (Schopenauer) di Hegel, e di stupidaggini ne ha dette un’infinità non numerabile. Niente categorie, dunque, vorrei solo suggerire qualche idea.
Se avete avuto una professoressa di italiano tirannica come la mia può darsi che anche voi abbiate passato un paio di mesi della vostra vita in apnea all’interno della polemica classico - romantica. In soldoni, i neoclassici erano convinti che il sublime stesse nell’armonia, nella proporzione, nell’euritmia e vedevano in tutti i prodotti della Civiltà Antica, in particolare Greca, dei modelli di un’umanità superiore. Un letterato del tempo parlò di “nobile semplicità e quieta grandezza”, e questo fu lo slogan per Canova & dintorni. I secondi (i romantici, quelli del “chiaro di luna” e mercanzia del genere) affermavano, invece, che sublime fosse tutto ciò che incutesse nell’uomo un senso di timore, grandiosità, spavento, che portasse l’animo alla commozione, una sorta di “estasi irrequieta”. Studiando tale polemica, sono giunto alla conclusione che entrambi avessero torto marcio a contrapporre i due aspetti. Perché? Seguitemi, occorre fare un piccolo passo indietro. Il problema del sublime se l’era posto già il signor Platone, dicendo che per essere veramente un grande poeta (naturalmente noi, con sensibilità più moderna, estendiamo il discorso a tutte le arti) non fosse sufficiente la tecnica, ma occorresse anche cadere nel “delirio delle muse”. Decisamente più chiaro fu un altro greco, di qualche secolo dopo, chiamato Anonimo del Sublime, il quale scrisse un trattatello notevolmente intelligente. Costui riteneva la categoria di “sublime” non differente da quella di “bello”, grosso modo considerava il sublime un bello all’ennesima potenza (ricordate la fanciulla strabellissima di prima?). Tuttavia, disse, a un poeta che voglia raggiungere questo sublime non basta uno stile perfetto, ma occorre soprattutto un’ispirazione vigorosa, poiché “il sublime è l’eco di un animo grande!” Frasona a effetto, eh? Cita Omero, il signor Anonimo, come esempio di grandiosità:

...terribile soffio di vento
muggisce nella vela, i marinai tremano in cuore
spaventati: per poco sono fuggiti via da morte.

e lo contrappone a un poetucolo greco che scrive:

un piccolo legno li separa da morte

Vedete, dice Anonimo, Omero non limita l’orrore della situazione, come invece il secondo fa. Allora il primo è sublime, l’altro no. All’estremo opposto di Omero, grandioso nelle battaglie e nella furia della natura, viene indicata Saffo, che mostra il sublime nell’intimità, nello sconvolgimento delle passioni:

...ridi amabile: il cuore
mi palpita nel petto.
Appena ti rivolgo gli occhi
la voce mi vien meno
e la lingua si spezza e improvviso
un sottile fuoco mi percorre

Eppure in questo cozzare di sentimenti, c’è un’accuratezza straordinaria, “classica”, a scegliere in modo calibrato la mescolanza di sensazioni.
“Ci vuoi fare tutta la storia della letteratura?” mi direte. Sto per arrivare al sodo. Infatti fino alla seconda metà del Settecento, nessuno si era più preoccupato di parlare del sublime, di individuarlo con precisione, all’incirca fino alla polemica di cui ho parlato (la storia in realtà è stata un po’ più complicata, ma lasciamo stare). Fu il l’esimio signor Kant il primo a distinguere nettamente il bello dal sublime, ponendo così le basi teoriche dell’estetica romantica. Giungiamo qui alla benedetta polemica da cui è scaturita la mia riflessione. Kant, a mio parere, ebbe il merito di individuare questa categoria estetica finalmente con precisione: il sublime è ciò che dà all’uomo una percezione mista di sgomento e piacere, dovuta alla sproporzione tra sé e la grandezza, l’incommensurabilità, la meraviglia di ciò che si ha davanti. D’accordo fin qui. Procedendo nel discorso, però, Kant, e i romantici dopo di lui, presero una direzione, a mio parere limitante, ritrovando il sublime solo in ciò che definirei “grande esteriormente” (gli sconvolgimenti naturali, le passioni devastanti, “Il viandante sul mare di nebbia” et similia). Tale declinazione è una sorta di contrappasso dovuto al becero Illuminismo fino ad allora imperante, che per decenni aveva relegato in secondo piano tutte le manifestazioni del grandioso e del passionale. Vediamo, allora, di mettere un po’ d’ordine.