Giona, I tappa: Il Dio che chiama
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Il silenzio di Giona
«E questa parola del Signore fu rivolta a Giona figlio di Amitti» (Gn 1,1)
Il testo originale inizia con una congiunzione: “E”. La parola di Dio che risuona nel cuore di Giona si collega idealmente alle innumerevoli volte in cui Dio ha parlato ai suoi profeti e al suo popolo. Questa congiunzione fa supporre anche che Giona abbia già, più volte ascoltato la parola del Signore. (É un dato da tenere presente perché riemergerà alla fine del racconto.) Egli sa di essere profeta e, come profeta riceve una chiamata:
«Alzati, va’ a Ninive, la grande città e in essa proclama che la loro malizia è salita fino a me» (Gn 1,2)) La parola che risuona è anzitutto un imperativo: Alzati! Questo comando ricorrerà altre volte all’interno della narrazione e dipinge in un sol tratto Giona come un uomo tranquillo, forse un po’ ripiegato sulle sue posizioni religiose, poco incline ad uscire dall’anonimato e a compiere imprese, sia pure per il Signore. Giona infatti non risponde all’appello, anzi il testo ci dice che fuggì a Tarsis, lontano dal Signore. Scese a Giaffa, dove trovò una nave diretta a Tarsis. Pagato il prezzo del trasporto s’imbarcò con loro per Tarsis, lontano dal Signore (Gn 1,3)
Di fronte alla chiamata di Dio, Giona non pronuncia una parola, non risponde. Il suo silenzio è accentuato dalla fuga. E Giona non fugge in un luogo qualsiasi, ma fugge a Tarsis.
Ninive, capitale dell’Assiria - tradizionale nemico di Israele -, era una città situata ad oriente della Terra Santa. Tarsis invece era considerata agli antipodi del mondo, la identificazione pur essendo incerta la pone ad occidente. (Alcuni la identificano con Gibilterra, ma con tutta probabilità si trattava di un centro della Sardegna che aveva scambi commerciali con i Fenici. A Nora di Pula, presso Cagliari, nel 1773 fu scoperta un lastra che portava un’iscrizione contente appunto il nome di Tarsis.)
Dunque Giona si muove andando dalla parte opposta all’indicazione divina, fugge lontano dal Signore come per ben due volte sottolinea il testo biblico.
Il midrash racconta che quando Giona vide la nave diretta a Tarsis «si rallegrò in cuor suo e disse: Ora so che il mio progetto riuscirà» Giona è tanto sicuro di riuscire che, come sappiamo, si imbarcò dopo aver pagato il prezzo del biglietto: il midrash commenta che «La consuetudine in fatto di navi è che solo quando si lascia il porto si paga il prezzo del trasporto. Ma Giona, nella gioia del suo cuore [per aver trovato un mezzo sicuro per la fuga], pregò il prezzo in anticipo» (Pirqe deRabbi Eliezer 10)
Tace Giona, ma tace anche il Signore, il quale non si adira non ribatte, ma insegue il profeta pilotando gli eventi e inviandogli singolari messaggeri.
Il primo di questi messaggeri è la tempesta.
Una tal tempesta s’abbatte sulla nave che i marinai di bordo, impauriti invocavano ciascuno il proprio dio.(Gn 1,5)
La tradizione rabbinica conta settanta marinai, rappresentanti le settanta lingue della terra (secondo la lista dei popoli di Gen 10) i quali, tenendo in mano ciascun il proprio idolo e prostrati a terra dissero: «Ognuno di noi invochi il nome del suo dio! E il dio che risponde e ci scampa da questo pericolo, sia il vero dio» Si traccia così un parallelo con la sfida di Elia sul monte Carmelo.
Qui però più che una sfida contro l’idolatria il contesto è quello di una nave multietnica e multireligiosa, tutti - a modo loro - sono credenti. Soltanto Giona non si dà pensiero della tempesta e di invocare il suo Dio:
Intanto Giona, sceso nel luogo più riposto della nave, si era coricato e dormiva profondamente. Gli si avvicinò il capo dell’equipaggio e gli disse:« Che cos’hai così addormentato? Alzati, invoca il tuo Dio! Forse Dio si darà pensiero di noi e non periremo!» (Gn 1, 5-6).
Dio si serve di un pagano per ripetere il comando iniziale a Giona: alzati! Egli infatti si era nascosto dal Signore imbarcandosi sulla nave e ora si estraniava dagli eventi andando ad occupare il luogo più riposto della nave e mettendosi a dormire. E come il nascondersi sulla nave fu un’accentuazione della fuga così il sonno è come un’accentuazione del silenzio. Il profeta è avvolto nel sonno, in ebraico wayyeradam che designa il sonno letargico, e dall’oscurità della stiva: è cioè nella notte.
Il secondo messaggero inviato da Dio è la sorte.
L’equipaggio getta la sorte per scoprire chi è responsabile della sciagura occorsa e la sorte cade su Giona. Interrogato dai marinai Giona esprime quello che Lutero definì una confessione di fede, un’attestazione di adorazione e di culto, ma nel contempo una confessione di colpa: «Sono Ebreo e venero il Signore Dio del cielo, il quale ha fatto il mare e la terra» (Gn 1, 9). Avendo saputo che fuggiva dal Signore i marinai, spaventati, chiesero a Giona che cosa dovevano fare ed egli rispose: «Prendetemi e gettatemi in mare e si calmerà il mare che ora è contro di voi, perché so che questa grande tempesta vi ha colto per causa mia» (Gn 1,12).
Lo stato di morte prefigurato nel pesante sonno del profeta, imboscato nel ventre della nave, raggiunge l’apice in questo gesto suicida.
Il contrasto tra Giona e i marinai è netto. Giona indotto da un pagano ad invocare il suo Dio, che è l’unico vero Dio, non lo fa. Compie una professione di fede e fa una dichiarazione di colpa, ma non prega. Invece pregano e sono pieni di timore verso questo Dio misterioso i marinai pagani. Giona si autoconsegna alla morte, chiedendo di essere gettato in mare piuttosto che implorare il suo Dio, mentre i pagani nonostante il rischio grave della vita di tutto l’equipaggio tentano disperatamente di salvare la nave e il profeta fuggiasco. Alla fine Giona viene consegnato al suo destino e il capitolo si conclude con una sorta di professione di fede dei pagani: Quegli uomini ebbero [poiché il mare si era placato immediatamente] grande timore del Signore, offrirono sacrifici al Signore e fecero voti. (Gn 1,16) Il midrash vede in questo versetto l’attestazione di una conversione alla fede di Israele dell’intera ciurma; poiché infatti è impossibile ai pagani offrire sacrifici, attestando la loro offerta sacrificale, la Parola implicitamente afferma anche la loro circoncisione e la loro adesione al Signore.