Il calendario del 22 maggio

Fonte:
CulturaCattolica.it
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Eventi

- 1176 - Degli Hashshashin (Assassini) tentano di uccidere Saladino nei pressi di Aleppo

- 1377 - Papa Gregorio XI pubblica cinque bolle papali denunciando le dottrine del teologo inglese John Wycliffe

- 1762 - Svezia e Prussia firmano il Trattato di Amburgo

- 1807 - Prove sufficienti vengono presentate davanti a un gran giurì per incriminare di tradimento il Vice Presidente degli Stati Uniti Aaron Burr

- 1819 - La SS Savannah salpa dal porto di Savannah (Georgia) per il viaggio che la renderà la prima nave a vapore ad attraversare l'oceano Atlantico. La nave arriverà a Liverpool il 20 giugno

- 1856 - Il deputato Preston Brooks, del Sud Carolina bastona il senatore Charles Sumner nell'atrio del Senato statunitense, a causa di un discorso in cui Sumner aveva attaccato i sudisti che avevano simpatizzato con le violenze pro-schiavitù avvenute in Kansas (Bleeding Kansas). Sumner non fu in grado di riprendere il suo posto per tre anni, mentre si riprendeva dall'aggressione. Brooks divenne un eroe in tutto il Sud

- 1872 - Il presidente Ulysses S. Grant converte in legge l'Atto di amnistia del 1872, che restituisce i pieni diritti civili a tutti (meno circa 500) i simpatizzanti degli Stati Confederati d'America

- 1906 - I Fratelli Wright brevettano il loro aeroplano, dando così inizio allo sviluppo dei trasporti che ci porta oggi a considerare la terra come un unico ambiente di lavoro e di vita.

- 1915

  1. - Cinque treni si scontrano in Scozia, provocando 227 morti e 246 feriti
  2. - Il picco Lassen scoppia con una forza inaudita ed è l'unica montagna a saltare in aria oltre il monte Sant'Elena negli Stati Uniti durante il XX secolo

- 1936 - Viene fondata la linea aerea nazionale della Repubblica d'Irlanda, la Aer Lingus

- 1937 - Comincia la costruzione a Roma dell'Eur 42, per celebrare nel 1942 il ventennale della marcia su Roma.

- 1939 - Germania e Italia firmano il Patto d'Acciaio
La scelta che porta l’Italia a stringere l’alleanza con Germania e Giappone, porta il regime fascista alla sua crisi definitiva

- 1942 - Il Messico prende parte alla Seconda guerra mondiale a fianco degli alleati

- 1947 - Guerra Fredda: Nel tentativo di combattere la diffusione del comunismo, il Presidente Harry S. Truman converte in legge un decreto che verrà chiamato la Dottrina Truman. Il decreto garantì 400 milioni di dollari in aiuti militari ed economici a Turchia e Grecia

- 1960 - Un terremoto colpisce il Cile meridionale. Si tratta del più forte terremoto mai registrato. Conosciuto anche come Grande Terremoto Cileno

- 1967
  1. - I grandi magazzini Innovation, nel centro di Bruxelles (Belgio) vanno in fiamme. Si tratta del più devastante incendio della storia del Belgio, che provocherà 323 tra morti e scomparsi e 150 feriti
  2. - Il presidente egiziano Nasser annuncia la chiusura dello stretto di Tiran.

- 1968 - Il sottomarino nucleare USS Scorpion affonda con 99 uomini di equipaggio, 600 km a sud-ovest delle Azzorre

- 1969 - Il modulo lunare dell'Apollo 10 vola a 15.400 m dalla superficie della Luna

- 1972 - Ceylon adotta una nuova costituzione, cambiando il suo nome in Sri Lanka e unendosi al Commonwealth

- 1978 - Italia: è approvata la legge sull'interruzione volontaria della gravidanza (legge n. 194/78) con cui l'aborto è consentito entro 90 giorni dal concepimento; in seguito è ammesso solo in caso di pericolo per la vita della madre o di gravi anomalie del nascituro. Si apre il dibattito tra fautori e contrari alla legge, che ancor oggi segna in modo conflittuale il panorama italiano.

- 1990
  1. - Unificazione dello Yemen
  2. - Microsoft rilascia Windows 3.0

- 1998 - In Irlanda del Nord, Protestanti e Cattolici approvano un accordo di pace

- 2004
  1. - Sonia Gandhi, vincitrice delle elezioni indiane con il Partito del Congresso, rinuncia all'incarico di primo ministro a favore di Singh, perché osteggiata dagli estremisti indù in quanto "straniera"
  2. - Felipe, Principe delle Asturie, sposa Letizia, Principessa delle Asturie

- 2006 - Il Montenegro si rende indipendente dalla Serbia dopo un referendum.

Anniversari

* 337 - Flavio Valerio Costantino, conosciuto anche come Costantino I e Costantino il Grande (lingua latina: Flavius Valerius Constantinus; Naissus, 27 febbraio 274 – Nicomedia, 22 maggio 337), fu imperatore romano dal 306 alla sua morte. Costantino è una delle figure più importanti dell'Impero romano, in quanto riformò largamente l'impero e ne sancì l'inizio dell'alleanza con la Chiesa cristiana che caratterizzerà gli ultimi due secoli della sua storia.
È considerato santo e "simile agli apostoli" dalla Chiesa cristiana ortodossa e da alcune Chiese orientali cattoliche. Il suo nome non è presente nel Martyrologium Romanum, il catalogo ufficiale dei santi riconosciuti dalla Chiesa Cattolica, benché permanga in Italia un culto residuale di origine bizantina, come la festa dell'Ardia di Sedilo in Sardegna ed altre attestazioni minori in vari luoghi della Sicilia

Costantino e il cristianesimo
Il comportamento costantiniano in tema di religione ha dato spazio a molte controversie fra gli storici; controversie particolarmente aspre quando essi hanno preteso di valutare non solo il comportamento pubblico ma le stesse convinzioni interiori. In alternativa all'opinione tradizionale, secondo cui Costantino si sarebbe convertito al cristianesimo poco prima della battaglia di Ponte Milvio, è stata, invece, asserita una sua costante adesione al culto solare, mettendo in dubbio perfino il battesimo in punto di morte. Secondo altri, poi, la religione sarebbe stata per Costantino un puro e semplice instrumentum regni. Lo storico svizzero Jacob Burckhardt, ad esempio, afferma: “nel caso di un uomo geniale, al quale l'ambizione e la sete di dominio non concedono un'ora di tregua, non si può parlare di cristianesimo o paganesimo, di religiosità o irreligiosità consapevoli: un uomo simile è essenzialmente areligioso, e lo sarebbe anche se egli immaginasse di far parte integrante di una comunità religiosa”.
Secondo altri ancora, poi, occorre distinguere fra convinzioni private e comportamento pubblico, vincolato dalla necessità di conservare il consenso delle proprie truppe (se non dei propri sudditi), qualunque ne fosse l'orientamento religioso. Da questo punto di vista è utile distinguere fra il comportamento di Costantino antecedente e quello successivo alla battaglia di Crisopoli, grazie alla quale conseguì il dominio assoluto sull'impero.
Che Costantino si sia progressivamente avvicinato al cristianesimo, sono d'accordo molti conoscitori di quell'epoca. Ad esempio, Guido Clemente, titolare della cattedra di storia romana all'università di Firenze, autore di una Guida alla storia romana; Augusto Fraschetti, docente di storia economica e sociale del mondo antico presso la Sapienza di Roma, autore de La conversione. Da Roma a Roma cristiana; Arnaldo Marcone docente di Storia romana all'università di Udine, autore di Pagano e cristiano. Vita e morte di Costantino; Robin Lane Fox, docente di Storia antica presso il College di Oxford, autore di Pagani e cristiani; e tantissimi altri titolati studiosi del mondo antico, come Andrea Alfoldi, Franchi de' Cavalieri, Norman Baynes, Marta Sordi, Klaus Bringmann...
Tra costoro il grande archeologo Paul Veyne, di estrazione marxista. Costui sostiene con sicurezza l'autenticità della conversione di Costantino, ricordando, con J.B. Bury, che la sua “rivoluzione [...] fu forse l'atto più audace mai compiuto da un autocrate in ispregio alla grande maggioranza dei suoi sudditi”. E ciò in considerazione che la popolazione cristiana era all'incirca il 10% del totale.

Il contesto culturale
Nel III secolo la religione pagana si era fortemente trasformata: sulla spinta della insicurezza dei tempi e dell'influsso dei culti di origine orientale, le sue caratteristiche pubbliche e ritualistiche avevano sempre più perso di significato di fronte ad una più intensa e personale spiritualità. Si era andato diffondendo un sincretismo venato di monoteismo e si tendeva a vedere nelle immagini degli dei tradizionali l'espressione di un unico essere divino.
Una forma politica a questa aspirazione sincretistica fu data dall'imperatore Aureliano (275), con l'istituzione del culto ufficiale del Sol Invictus ("Sole Invitto"), con elementi del mitraismo e di altri culti solari di origine orientale. Il culto era diffuso nell'esercito, soprattutto nell'occidente, e ad esso non furono estranei né Costanzo Cloro, il padre di Costantino, né Costantino stesso.
Costantino fu certamente il primo a comprendere l'importanza della nuova religione cristiana per rafforzare la coesione culturale e politica dell'impero romano. Secondo Gibson "la caduta dell' impero romano" Costantino istituì un tale sistema burocatico, coniando cariche sconosciute in antecedenza, quale, magnifico, illustre, conte, duca, ecc. da creare un controllo vessatorio e di spionaggio su tutte le province. I pretoriali in numero spropositato, erano di origine armena, con corazze di argento e d' oro. La tassazione, per mantenere il più sfrenato lusso a corte, trasferita da capitale da Roma a Costantinopoli (depredando importanti opere di Fidia ed altri scultori della Grecia classica), accentuò l' emarginazione del Senato romano, e da tale tassazione esoborbitante si deve lo spopolamento anche di una delle regioni (Campania) più produttive dell' Italia. Costantino accentuò la disgregazione dell' esercito romano,sia con la nomina di barbari al massimo comando militare, sia con la penalizzazione economica dei soldati che salvaguardavano il confine (limes) dalle invasioni. Complessivamente, neppure Caligola o Nerone fecero più danno all' impero di Costantino.

La religione nelle monete di Costantino
Le monete coniate da Costantino forniscono indirettamente notizie sull'atteggiamento pubblico di Costantino verso i culti religiosi. Ancora per alcuni anni dopo la battaglia di Ponte Milvio le zecche orientali (Alessandria, Antiochia, Cyzicus, Nicomedia, ecc.) continuarono a produrre monete dedicate a Giove salvatore ("Iovi conservatori"); nello stesso periodo le monete delle zecche occidentali (Arles, Londra, Lione, Treviri, Pavia, ecc) continuarono a coniare monete dedicate al Sole invitto compagno.
L'attributo "compagno", che manca in monete analoghe di precedenti imperatori, è singolare e occorre chiedersene il significato. Normalmente viene interpretato come "al compagno (di Costantino), il Sole Invitto"; indicherebbe quindi una indiretta deificazione dell'imperatore stesso. Il vero significato, però, potrebbe anche essere completamente diverso. Nell'età imperiale, infatti, la parola latina "comes", oltre che "compagno" indicava un funzionario imperiale e perciò da essa è derivato il titolo nobiliare conte. Alle orecchie dei cristiani, quindi, questa strana legenda poteva ricordare che il sole non era un dio, ma una potenza subordinata alla divinità suprema. A sua volta l'imperatore si presentava come l'autorità suprema in terra allo stesso modo come il sole lo era in cielo; autorità, però, entrambe subordinate.
Questa interpretazione è confermata dall'emissione del 316 (durante la prima guerra civile contro il pagano Licinio), la cui legenda recita: SOLI INVIC COM DN (soli invicto comiti domini), che potrebbe essere tradotto come "al sole invitto compagno del signore", ma che sembra più logico tradurre "al sole invitto, ministro del Signore".
Verso il 319 la maggior parte delle zecche sia in oriente che in occidente passarono ad emissioni laiche benaugurali, fra cui per prima quella con la legenda Liete vittorie al principe perpetuo (victoriae laetae prin. perp.).
Le monete con simboli cristiani o supposti tali sono rare e costituiscono solo circa l'1% delle tipologie conosciute. La zecca di Pavia (Ticinum) coniò nel 315 un medaglione d'argento in cui il monogramma di Cristo era riprodotto sopra l'elmo piumato dell'imperatore. Solo dopo la vittoria su Licinio compare la tipologia con il labaro imperiale e il monogramma di Cristo, che trafiggono un serpente, simbolo appunto di Licinio[26], e simultaneamente scompaiono del tutto dalle monete sia le immagini del sole invitto sia la corona radiata, altro simbolo apollineo e solare.
Nel 326 appare il diadema, simbolo monarchico di derivazione ellenistica, e poco dopo il sovrano viene raffigurato con lo sguardo rivolto in alto, come nei ritratti ellenistici, a simboleggiare il contatto privilegiato tra l'imperatore e la divinità.

L'ambiguitas constantiniana
Quanto sopra osservato a proposito delle monete di Costantino, cioè la volontà imperiale di presentarsi come un prediletto dal cielo, senza, però, mettere in chiaro quale fosse la divinità, può essere rilevato in molti altri aspetti dell'impero di Costantino.
Il ruolo determinante giocato da Costantino nell'ambito della chiesa cristiana (ad esempio tramite la convocazione di concili e il presiederne i lavori) non deve oscurare il fatto che Costantino svolse funzioni analoghe nell'ambito di altri culti. Egli infatti mantenne la carica di pontefice massimo della religione pagana; carica che era stata di tutti gli imperatori romani a partire da Ottaviano. Lo stesso fecero i suoi successori cristiani fino al 375.
Anche la battaglia di Ponte Milvio, con cui nel 312 Costantino sconfisse Massenzio, diede origine a leggende discordanti, che, però, potrebbero risalire tutte a Costantino, sempre attento a presentarsi come prescelto dalla divinità, qualunque essa fosse. Per queste leggende si veda la voce in hoc signo vinces.
Sia l'editto di Milano del 313 (conferma rafforzata di un editto di Galerio del 311), sia l'iscrizione sull'arco di Costantino, citano una generica "divinità", che poteva dunque essere identificata sia con il Dio cristiano, sia con il dio solare. L'ambiguità dell'Editto di Milano, però, è ovvia, dato che esso fu proclamato dal pagano Licinio.
Costantino perseguiva probabilmente il proposito di riavvicinare i culti presenti nell'impero, nel quadro di un non troppo definito monoteismo imperiale. Le festività religiose più importanti del cristianesimo e della religione solare furono fatte coincidere. Il giorno natale del Sole e del dio Mitra, il 25 dicembre, divenne anche quello della nascita di Gesù. Le statue del dio Sole erano spesso adornate del simbolo della Croce, ma a Costantinopoli furono eretti anche dei templi pagani.
Nel 321 fu introdotta la settimana di sette giorni e fu decretato come giorno di riposo il die solis ("il giorno del sole" che corrisponde alla nostra domenica).
«Nel venerabile giorno del sole, si riposino i magistrati e gli abitanti delle città, e si lascino chiusi tutti i negozi. Nelle campagne, però, la gente sia libera legalmente di continuare il proprio lavoro, perché spesso capita che non si possa rimandare la mietitura del grano o la cura delle vigne; sia così, per timore che negando il momento giusto per tali lavori, vada perduto il momento opportuno, stabilito dal cielo.» ( Codice Giustiniano 3.12.2)
Benché dopo la sconfitta di Licinio il cristianesimo di Costantino trovi sempre più conferme pubbliche, occorre non dimenticare che Mentre egli e sua madre abbelliscono la Palestina e le grandi città dell'impero di sfarzosissime chiese, nella nuova Costantinopoli egli fa costruire anche dei templi pagani. Due di questi, quello della Madre degli dèi e quello dei Dioscuri, possono essere stati semplici edifici decorativi destinati a contenere le statue collocatevi come opere d'arte, ma il tempio e la statua di Tyche, personificazione divinizzata della città, dovevano essere oggetto di un vero e proprio culto.

La conversione
Costantino non ricevette il battesimo cristiano, se non forse in punto di morte: il suo consigliere, il vescovo ariano Eusebio di Nicomedia, racconta, infatti, di averlo battezzato egli stesso. Alcuni storici, però, ritengono che questo racconto possa essere stato fatto per motivi politici e propagandistici. Il battesimo ricevuto sul letto di morte da catecumeno era comunque un'usanza del tempo, quando non esistendo ancora il sacramento della confessione si preferiva annullare tutti i propri peccati prima della morte, che avveniva così in albis.
Dal papiro di Londra numero 878, che contiene una parte di un editto del 324, e da un'attenta riconsiderazione storica pare però che Costantino fosse animato da "un effettivo accostamento al sentimento cristiano"[28].
Che sia stato per convinzione personale o per calcolo politico, Costantino appoggiò comunque la religione cristiana, costruendo basiliche a Roma, Gerusalemme e nella stessa Costantinopoli; conferì alle chiese il diritto di ricevere beni in eredità e quelle maggiori furono dotate di vaste proprietà; diede ai vescovi privilegi e poteri giudiziari; concesse gli episcopalis audientia.
A Costantino è attribuita anche un'ingente donazione (detta infatti Donazione di Costantino) in favore della Chiesa, che sarebbe stata dettata nell'anno 324: in realtà il documento di tale donazione è stato provato essere falso dall'umanista Lorenzo Valla. La sua redazione risale al periodo dell'iconoclastia, quando il papato voleva difendersi dal cesaropapismo degli imperatori bizantini.

Il riformatore cristiano
La politica di Costantino mirava a creare una base salda per il potere imperiale nella stessa religione cristiana, di cui era dunque importantissima l'unità: per questo motivo, pur non essendo battezzato, indisse diversi concili, come "vescovo di quanti sono fuori della chiesa". Il primo fu quello convocato ad Arelate (Concilio di Arles), in Francia nel 314, che confermò una sentenza emessa da una commissione di vescovi a Roma, che aveva condannato l'eresia donatista, intransigente nei confronti di tutti i cristiani che si erano piegati alla persecuzione dioclezianea: in particolare si trattava del rifiuto di riconoscere come vescovo di Cartagine Cipriano, il quale era stato consacrato da un vescovo che aveva consegnato i libri sacri.
Ancora nel 325, convocò a Nicea il primo concilio ecumenico, che lui stesso inaugurò, per risolvere la questione dell'eresia ariana: Ario, un prete alessandrino sosteneva che il Figlio non era della stessa "sostanza" del padre, ma il concilio ne condannò le tesi, proclamando l'omousia, ossia la medesima natura del Padre e del Figlio. Il concilio di Tiro del 335 condannerà tuttavia Atanasio, vescovo di Alessandria, il più accanito oppositore di Ario, soprattutto a causa delle accuse politiche che gli vennero rivolte.
Per la sua sepoltura l'imperatore fece costruire un mausoleo vicino alla chiesa dei Santi Apostoli, tra le reliquie di questi ultimi.
Costantino è considerato santo dalla chiesa cristiana ortodossa, che secondo il Sinassario Costantinopolitano lo celebra il 21 maggio assieme alla madre Elena. La santità di Costantino non è riconosciuta dalla chiesa cattolica (infatti non è riportato nel Martirologio Romano), che tuttavia celebra sua madre il 18 agosto.
In onore di "san" Costantino imperatore, il 6 e 7 luglio di ogni anno si corre a Sedilo, in Sardegna, l'Ardia: una sfrenata corsa a cavallo che rievoca la vittoria del 312 a Ponte Milvio.

Luoghi dedicati alla sua memoria
Eurasia, Europa, Ungheria, Vác, piazza principale

Svolta costantiniana?

Costantino e la Chiesa Cattolica.

* 1447 - Rita da Cascia, religiosa italiana (n. 1381)

* 1540 - Francesco Guicciardini, filosofo e storico italiano (n. 1483)

* 1859 - Ferdinando Carlo Maria di Borbone (Palermo, 12 gennaio 1810 – Caserta, 22 maggio 1859) fu re delle Due Sicilie dal 1830 al 1859.

Primi anni
Ferdinando di Borbone nacque a Palermo il 12 gennaio 1810, primogenito di Francesco I delle Due Sicilie e della sua seconda moglie, Maria Isabella di Borbone-Spagna. I suoi nonni paterni erano Ferdinando I, figlio di Carlo III di Spagna e di Maria Amalia di Sassonia, e l'arciduchessa Maria Carolina d'Asburgo-Lorena, figlia degli imperatori Francesco I del Sacro Romano Impero e Maria Teresa d'Austria, nonché sorella della regina di Francia Maria Antonietta. I suoi nonni materni, invece, erano Carlo IV di Spagna, anch'egli figlio di Carlo III e di Maria Amalia, e Maria Luisa di Borbone-Parma, figlia di Filippo I di Parma e di Elisabetta di Borbone-Francia. Nelle vene di Ferdinando, pertanto, scorreva il sangue delle più importanti dinastie europee, i Borboni di Francia, Spagna e Napoli, e gli Asburgo-Lorena. La sue effigie disegnata da Tommaso Aloisio Juvara, che compare sulla serie filatelica dei Francobolli di Sicilia, è considerata una delle più belle incisioni artistiche di tutti i tempi.
Ricevette un'educazione umanistica in ambienti ecclesiastici ed una solida preparazione politica e militare nelle accademie dove trascorse gran parte della giovinezza. Salito al trono del Regno delle Due Sicilie l'8 novembre 1830, ad appena vent'anni, diede immediata prova di decisione e di un chiaro disegno di governo mirato alla riorganizzazione dello Stato, alla riduzione del debito pubblico e alla pacificazione delle parti sociali ancora in tumulto dopo il periodo napoleonico.
Il reintegro in servizio di molti ufficiali, che avevano militato sotto Gioacchino Murat e che erano stati sospesi durante i moti del 1820, testimonia la sua volontà di contemperare il vecchio ed il nuovo in un regno che era stato spazzato furiosamente dai venti napoleonici.

Il 1848
L'ondata rivoluzionaria che scosse l'Europa nel 1848 toccò anche il Regno di Ferdinando II. All'inizio dell'anno scoppiano sommosse in tutto il reame - Ferdinando II il 29 gennaio concede la Costituzione del Regno delle due Sicilie, scritta da Francesco Paolo Bozzelli promulgata l' 11 febbraio; il suo atteggiamento favorevole alle riforme proseguì nominando il 3 aprile un nuovo primo ministro di impronta liberale neoguelfo Carlo Troja.
Il 13 maggio si riuniscono i neoeletti deputati, loro intenzione è quella di modificare la formula del giuramento (omettendo di dichiararsi fedeli al re) e di "svolgere" la Costituzione. Ferdinando II accetta alcune modifiche alla formula del giuramento ma l'Assemblea non approva il testo. Nella notte tra il 14 ed il 15 maggio vengono erette barricate nelle principali strade della città. Il 15 maggio avviene lo scontro tra gli insorti e l'esercito. La rivolta viene repressa ed il Re conferisce incarico a Gennaro Spinelli di Cariati di formare un nuovo governo. Con editto del 24 maggio Ferdinando II scioglie il parlamento e indice nuove elezioni. Il 1 luglio si riunsce il nuovo Parlamento, anche questa volta la camera entra in aperto contrasto con il Sovrano che, su proposta del governo, la scioglie nel marzo del 1849.

Il decennio di preparazione
Tra il 1849 e il 1851, a causa della dura repressione portata avanti da Ferdinando II, molti andarono in esilio; tra rivoluzionari e dissidenti, circa duemila persone furono incarcerate nei penitenziari del regno borbonico.Bisogna ricodare la dura repressione effettuata in Sicilia con il bombardamento di Messina e i 40.000 morti siciliani Da allora questo re venne chiamato Re Bomba e i borboni odiati. Per questo nel 1860 Garibaldinon ebbe accanto a sè solo i suoi mille ma anche tantissimi volontari siciliani anti borbonici.
Il politico inglese William Ewart Gladstone, dopo aver visitato il regno tra il 1850 e il 1851, iniziò a sostenere gli oppositori di Ferdinando II: scrisse due lettere che inviò al Parlamento inglese, in cui descriveva la «terribile condizione» del Regno delle Due Sicilie, definito la «negazione di Dio». Invero, Gladstone non aveva affatto visitato l'intero paese e molte delle sue accuse non erano affidabili, ma nonostante ciò, le sue descrizioni sul malgoverno dei Borboni si diffusero nell'intera Europa.
La diretta conseguenza delle lettere di Gladstone fu una "sensibilizzazione" dell'Europa di fronte alla questione italiana nel Regno delle Due Sicilie a favore dell'espansionismo sabaudo di Vittorio Emanuele II. Il Governo inglese, che aveva aiutato i Borboni sia durante le guerre napoleoniche sia durante il 1848, aveva infatti le sue motivazioni nel limitare l'indipendenza del Regno delle Due Sicilie: l'Inghilterra possedeva interessi economici in Sicilia (in particolare sull'esportazione dello zolfo) e Ferdinando II aveva cercato di limitare l'influenza britannica in tale ambito. Di fronte all'ostinazione del Re nel rifiutare i consigli di Francia e Inghilterra, i due paesi richiamarono i loro ambasciatori nel 1856.
L'8 dicembre 1856, giorno dell'Immacolata Concezione, Ferdinando II assistette a Napoli alla Santa Messa con tutta la famiglia, gli alti funzionari governativi e moltissimi nobili del suo seguito. Dopo la celebrazione, il sovrano passò in rassegna a cavallo le truppe sul Campo di Marte. In quel momento, il soldato calabrese Agesilao Milano, rotte le righe, si lanciò sul Re e riuscì a ferirlo con un colpo di baionetta. Ferdinando II rimase scosso dal fallito attentato, preoccupato che la baionetta dell'attentatore fosse avvelenata. Durante la degenza che lo condusse alla morte, il Re chiese al chirurgo Dott. Capone di controllare se la ferita al petto infertagli dal Milano si fosse infiammata. Il chirurgo lo rassicurò che la cicatrice era intatta e senza segni di infiammazione e supporazione, comunicando ciò, qualificò infame Agesilao Milano; il Re rimproverò il chirurgo: «non si deve dir male del prossimo; io ti ho chiamato per osservare la ferita e non per giudicare il misfatto; Iddio lo ha giudicato, io l'ho perdonato. E basta così».
Secondo alcuni Ferdinando non guarì mai completamente dalla ferita e la sua morte, avvenuta poco meno di tre anni dopo (il 22 maggio 1859 morì a Caserta), sarebbe dovuta a setticemia.
Secondo altre fonti,la malattia di Ferdinando II iniziò durante il viaggio che compì nella Puglia iniziato da Caserta l' 8 gennaio 1859 e terminato il 7 marzo 1859 a Bari. In Bari si sarebbe dovuto celebrare il matrimonio religioso del figlio primogenito erede al trono Francesco II delle Due Sicilie Duca di Calabria con Maria Sofia di Baviera sorella della Imperatrice Elisabetta d'Austria, detta "Sissi", matrimonio già avvenuto per procura, senza che gli sposi si fossero mai conosciuti. Ma il matrimonio religioso fu turbato proprio dall'aggravarsi della malattia del Re iniziata già durante il viaggio, e peggiorata in Bari, tanto che Ferdinando non assistette al matrimonio. Il medico di corte Cav.Ramaglia aveva capito ben poco della gravità del male, e le condizioni di Ferdinando II peggioravano continuamente.Pertanto fu invitato dall'Intendente di Bari Cav.Mandarini, il miglior medico della Provincia, Nicola Longo di Modugno(Ba),allievo prediletto del Prof. Domenico Cotugno l'Ippocrate napoletano. Questi, dopo aver visitato minuziosamente Ferdinando II, diagnosticò un ascesso femorale inguinale, pieno di materia grigia purulenta e propose, dopo aver tentato inefficacemente una cura con l'uso di risolventi a base di mercurio,una operazione chirurgica per asportare manualmente la materia. Tutti gli astanti,la Regina Maria Teresa d'Asburgo-Teschen, il Duca di Calabria, l'Intendente Cav.Mandarini, il medico Ramaglia, inorridirono al solo pensiero che fosse stata eseguita una operazione ad un Re, oltretutto da un medico che aveva grande fama di liberale, essendo iscritto alla Carboneria dal 1817.
Nicola Longo avvertì Ferdinando ed i presenti che se non fosse stata fatta l'incisione all'inguine a breve,ci sarebbe stata una funesta conclusione della malattia."Maestà" disse il Longo "la sventura vostra in questa contingenza è l'essere Re; se foste stato un povero infelice gettato in un letto d'ospedale, a quest'ora sareste guarito". Rispose Ferdinando in napoletano: "Don Nicola, adesso mi trovo sotto, fate ciò che volete, ma salvatemi la vita!". Dopo aver titubato e rinviato l'operazione per quasi un mese, Ferdinando II e i reali decisero all'improvviso di ripartire da Bari alla volta di Caserta il'7 marzo 1859,nonostante il Longo fosse contrario a tale scelta. Giunto Ferdinando II in condizioni ormai gravissime a Caserta, tutti i medici di corte,Trinchera,Capone,De Renzis,Lanza,Palasciano, dopo aver riconosciuto la giusta diagnosi e cura del medico Nicola Longo,e soprattutto che l'operazione era necessaria dal primo momento,tentarono inutilmente la stessa operazione proposta dal Longo due mesi prima,ma ormai era troppo tardi.Ferdinando II spirò il 22 maggio 1859.
Poco prima della sua morte era iniziata la seconda guerra di indipendenza che vedeva schierati Vittorio Emanuele II di Savoia e Napoleone III contro Francesco Giuseppe d'Austria. Tra il 1860 e il 1861, la spedizione dei Mille guidata da Giuseppe Garibaldi portò alla caduta del Regno delle Due Sicilie che fu annesso al neonato Regno d'Italia.

Economia e politica
Grazie al grande impulso propulsivo esercitato dal sovrano napoletano notevole è il progresso nel settore economico: la marina commerciale napoletana arriva ad essere la terza d’Europa, dopo quella di Francia ed Inghilterra, per numero di navi e tonnellaggio complessivo. Nascono, sotto la protezione e con l'intervento diretto dello Stato, le prime industrie italiane, soprattutto del settore tessile e metallurgico. Anche l'agricoltura e l'allevamento vengono sviluppate attraverso la creazione di appositi centri studi statali e un sistema di finanziamento alla piccola proprietà rappresentata dai Monti Frumentari.
Secondo alcune statistiche, il Regno produceva, rappresentando circa un terzo della popolazione, più del 50% dell’intera produzione agricola italiana e per quel che riguarda l'allevamento, il numero dei capi, fatta eccezione per l’allevamento bovino, era ben superiore a quello del resto d'Italia sia in valore assoluto che in rapporto alla popolazione.
Ferdinando II adottò un modello politico-economico di tipo protezionistico, ispirandosi in gran parte al modello francese di Jean-Baptiste Colbert, che aveva consentito la nascita dell'industria transalpina, propendendo decisamente per un intervento diretto dello Stato nella vita economica del paese, ma limitando gli investimenti ai surplus di cassa provenienti dalle esportazioni agricole ed evitando l’indebitamento pubblico e l’aggravio della pressione fiscale mantenuta fra le più basse d’Europa.
Un modello di sviluppo lento, in quanto gli investimenti si limitavano alle somme presenti in cassa senza ricorrere all'indebitamento bancario, ma privo di rischi e di sovraccarichi fiscali per la popolazione. Un monarca decisionista ma prudente, legato a filo doppio con le masse contadine e alle classi produttive legate al commercio marittimo e abbastanza insensibile alle aspettative borghesi che dispregiativamente definiva “pennaruli e pagliette”, riferendosi ovviamente alla borghesia delle professioni, ritenuta nel suo modo di intendere l’economia e la politica un corpo parassitario all’interno dello Stato. Ferdinando II rappresenta forse l’ultimo esponente di quell’assolutismo illuminato che aveva caratterizzato il ‘700 europeo e napoletano.
E’ stato veramente fallimentare per il Regno di Napoli il dominio dei Borboni?

? 1873 - Alessandro Manzoni (Milano, 7 marzo 1785 – Milano, 22 maggio 1873) è stato uno scrittore e poeta italiano.
È considerato uno dei maggiori romanzieri italiani di tutti i tempi, principalmente per il suo romanzo I promessi sposi, la sua opera più conosciuta, caposaldo della letteratura italiana.

La famiglia
Il nonno materno di Alessandro Manzoni, Cesare Bonesana marchese di Beccaria, era un autore ben conosciuto (scrisse il trattato Dei delitti e delle pene posto nell’indice dei libri proibiti), la madre Giulia Beccaria (1762-1841) era una donna di grande cultura e sensibilità letteraria.
Il padre ufficiale di Manzoni – Don Pietro (1736-1807) – era ormai sulla cinquantina quando il futuro scrittore e poeta nacque ed era membro di un'antica famiglia stabilitasi a Lecco nel 1612 con Giacomo Maria Manzoni. La prepotenza dei Manzoni era tale che sia a Lecco che a Barzio, in Valsassina, circolavano proverbi che li paragonavano al Pioverna, un torrente che conosceva piene violente ed impetuose. Il suo vero padre potrebbe essere stato Giovanni Verri (fratello minore di Pietro e Alessandro Verri), come confermerebbe una lettera a lui inviata da Giuseppe Gorani ritrovata recentemente a Milano.
Nasce a Milano il 7 marzo 1785 da Giulia Beccaria e dal conte Pietro Manzoni (esponente della piccola nobiltà lecchese), figlio di Alessandro Valeriano, pronipote del milanese Giacomo Maria Manzoni (morto il 10 Marzo 1642), e di Margherita di Fermo Porro. I suoi primi due anni di vita li trascorse nella cascina Costa di Galbiate, tenuto a balia da Caterina Panzeri. Questo fatto è attestato dalla targa tuttora affissa in questa cascina. In seguito alla separazione dei genitori (la madre dal 1793 convive con il colto e ricco Carlo Imbonati, prima in Inghilterra, poi in Francia, a Parigi), Alessandro Manzoni viene educato in collegi religiosi; dal 1796 al 1798 presso il collegio Sant'Antonio dei padri Somaschi a Merate e Lugano, poi presso i Barnabiti. Pur essendo insofferente di tale pedantesca educazione, della quale denunciò i limiti anche disciplinari e pur venendo giudicato uno studente svogliato, da tali studi deriva una buona formazione classica e un gusto letterario. A quindici anni sviluppa una sincera passione per la poesia e scrive due notevoli sonetti. Il nonno materno gli insegna a trarre dall'osservazione del reale conclusioni rigorose ed universali.
Il giovane Manzoni dal 1801 al 1805 vive con l'anziano don Pietro, dedica buona parte del suo tempo alle ragazze e al gioco d'azzardo e ha modo anche di frequentare l'ambiente illuministico dell'aristocrazia e dell'alta borghesia milanese. Il compiacimento neoclassico del tempo gli ispira le prime esperienze poetiche, modulate sull'opera di Vincenzo Monti, idolo letterario del momento. Ma, oltre questi, Manzoni si volge a Giuseppe Parini, portavoce degli ideali illuministici nonché dell'esigenza di moralizzazione, e a Francesco Lomonaco, un esule napoletano. A questo periodo si devono Il trionfo della libertà, Adda, I quattro sermoni che recano l'impronta di Monti e di Parini, ma anche l'eco di Virgilio e di Orazio. Il metodo di scrittura e di poetare manzonesco di questo periodo è molto legato alla tradizione classica.
Nel 1805 raggiunge la madre nel quartiere di Auteuil a Parigi, dove passa due anni, partecipando al circolo letterario dei cosiddetti ideologi, filosofi di scuola ottocentesca, tra i quali si fa molti amici, in particolare Claude Fauriel (il quale avrà una forte influenza sulla formazione del Manzoni; infatti Fauriel inculca ad Alessandro un grande interesse per la storia e gli fa capire che non deve scrivere seguendo modelli rigidi e fissi nel tempo, ma deve riuscire a esprimere sentimenti che gli permettano di scrivere in modo più "vero", in maniera da "colpire" il cuore del lettore) e ha modo di apprendere le teorie volterriane. Alessandro si imbeve della cultura francese classicheggiante in arte, scettica e sensista in filosofia (i sensi sono alla base della conoscenza; l'illuminismo è la critica razionale della realtà; lotta al pregiudizio e alla tradizione derivata dall'autorità; i problemi religiosi non si basano sull'esperienza, ma sulla superstizione) ed assiste all'evoluzione del razionalismo verso posizioni romantiche.
Nel 1806-1807, mentre si trova ad Auteuil, appare per la prima volta in pubblico come poeta, con due pezzi, uno intitolato Urania, in quello stile neoclassico del quale poi lui stesso diventerà il più strenuo avversario; l'altro, invece, un carme commemorativo in endecasillabi sciolti, sulla morte del conte Carlo Imbonati, dal quale, attraverso la madre, erediterà un patrimonio considerevole, tra cui la villa di Brusuglio, diventata da allora sua principale residenza.
Per mezzo del Fauriel, Manzoni entra in contatto con l'estetica romantica tedesca prima ancora che Madame de Staël la diffonda in Italia. Nel 1809, dopo la pubblicazione del suo poemetto Urania, Manzoni dichiara che non scriverà più versi simili, aderendo alla poetica romantica, secondo la quale la poesia non deve essere destinata ad una élite colta e raffinata, bensì deve essere di interesse generale ed interpretare le aspirazioni e le idee dei lettori. Manzoni è ormai sulla via del realismo romantico; tuttavia non accetterà mai la convinzione propria sia del romanticismo sia dell'amico Fauriel, che la poesia debba essere espressione ingenua dell'anima e quindi non rinuncerà mai al dominio intellettuale del sentimento ed a una controllata espressione formale, caratteristica del romanticismo italiano.
Nel 1811 Manzoni, già anticlericale per reazione all'educazione ricevuta ed indifferente, più che agnostico o ateo, riguardo al problema religioso, si riavvicina alla Chiesa. Nel 1808, a Milano, lo scrittore aveva sposato la calvinista Enrichetta Blondel (1791-1833), figlia di un banchiere ginevrino; il matrimonio si rivelò felice, coronato dalla nascita di 10 figli. Tornato a Parigi la frequentazione con il sacerdote Eustachio Degola, genovese, giansenista (che da Sant'Agostino deriva l'interpretazione assolutistica del problema della predestinazione, della grazia e del libero arbitrio), porta i due coniugi l'una all'abiura del calvinismo e l'altro ad un riavvicinamento alla pratica religiosa cattolica (1810)[2].
Tale riconciliazione con il cattolicesimo è per lo scrittore il risultato di lunghe meditazioni; il suo atteggiamento, pur nella sua stretta ortodossia (cioè nell'esigenza di attenersi rigorosamente ai dettami della Chiesa), ha coloriture gianseniste che lo portano alla severa interpretazione della religione e della morale cattoliche. La riscoperta della fede fu per Manzoni la conseguenza logica e diretta del dissolversi, nei primi anni dell'800, del mito della ragione, concepita come perennemente valida e certa fonte di giudizio, donde la necessità di individuare un nuovo sicuro fondamento della moralità. Persa, quindi, la speranza di raggiungere la serenità per mezzo della ragione, la vita e la storia gli parvero romanticamente immerse in un vano, doloroso, inspiegabile disordine: per non abbandonarsi alla disperazione bisognava trovare un fine ultraterreno. Nel Manzoni, quindi, l'irrequietezza esistenziale si compone nella fede fervente conciliandola con la fermezza intellettuale.
La sua energia intellettuale nel tempo immediatamente successivo alla conversione fu impegnata nella composizione di cinque Inni Sacri: La Resurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione e La Pentecoste, ovvero una serie di liriche sulle principali festività liturgiche. Si dedicò inoltre ad un trattato, Osservazioni sulla morale cattolica, intrapreso sotto la guida religiosa di monsignor Luigi Tosi (cui il Degola aveva affidato la guida spirituale della famiglia Manzoni al loro ritorno in Italia) in riparazione alla sua iniziale lontananza dalla fede.
Importante nella evoluzione spirituale di Manzoni fu anche Antonio Rosmini, con cui strinse una profonda amicizia. Rosmini, sul letto di morte, avrà proprio il conforto di Manzoni, a cui lascerà questo testamento spirituale: Adorare, Tacere e Godere.
Nel 1818 mise in vendita tutti i suoi possedimenti lecchesi, tra cui la villa di famiglia del Caleotto dove aveva trascorso l'infanzia. Intendeva trasferirsi definitivamente in Francia e aveva messo in vendita anche la casa di via Morone a Milano, ma dovette aspettare un anno poiché le autorità austriache gli negarono il passaporto.
Nel settembre del 1819 Manzoni partì per Parigi, dove fu ospite per più d'un mese di Sophie de Condorcet. Insieme a lui undici persone: i genitori, cinque figli, nonna Giulia e tre domestici. Nella capitale francese il Manzoni frequenta lo storico Augustin Thierry (1795-1856) e il filosofo Victor Cousin (1792-1867), che tornerà con lui in Italia e sarà ospite a Brusuglio e a Milano.
Nel 1819 Manzoni pubblicò la sua prima tragedia, Il Conte di Carmagnola, che generò una viva controversia perché violava coraggiosamente tutte le convenzioni classiche. Un articolo pubblicato su una importante rivista letteraria lo criticò severamente; dall'altro lato fu addirittura Goethe a replicare in sua difesa, insieme al meno famoso critico ligure Trincheri da Pieve.
La morte di Napoleone nel 1821 ispirò a Manzoni il noto componimento lirico Il cinque maggio. Gli eventi politici di quell'anno, uniti alla carcerazione di molti suoi amici, pesarono molto sulla mente di Manzoni ed il suo lavoro di quel periodo fu ispirato soprattutto dagli studi storici, nei quali cercò distrazione dopo essersi ritirato a Brusuglio.
Intanto, con l'episodio dell'Innominato, storicamente identificabile come Francesco Bernardino Visconti, iniziò a prendere forma il romanzo Fermo e Lucia, la versione originale de I promessi sposi, che fu completato nel settembre 1822. Dopo la revisione da parte di amici tra il 1825 ed il 1827, esso fu pubblicato, un volume per anno, portando ad un tratto grande fama letteraria all'autore.
Sempre nel 1822, Manzoni pubblicò la sua seconda tragedia, Adelchi, che tratta del rovesciamento da parte di Carlo Magno della dominazione longobarda in Italia e che contiene molte velate allusioni all'occupazione austriaca; in particolare la figura di Ermengarda ricorda quella dell'amica d'infanzia Teresa Casati in Confalonieri, per la quale nel 1830 comporrà l'epitaffio tombale presso lo storico Mausoleo Casati Stampa di Soncino in Muggiò (Milano).
In seguito Manzoni, per dare vita alla stesura finale del romanzo a livello formale e stilistico, si trasferì a Firenze nel 1827, in modo da entrare in contatto e "vivere" la lingua fiorentina delle persone colte, che rappresentava per l'autore l'unica lingua dell'Italia unita. L'11 dicembre 1827 fu eletto socio dell'Accademia della Crusca. Rielaborò I promessi sposi dopo la "risciacquatura in Arno", facendo uso dell'italiano nella forma fiorentina colta e nel 1840 pubblicò questa riscrittura. Con ciò assumeva che quella era la prima vera opera frutto totale della lingua italiana. Dette alle stampe anche la Storia della colonna infame, un saggio che riprende e sviluppa il tema degli untori e della peste, che già tanta parte aveva avuto nel romanzo, del quale inizialmente costituiva un excursus storico.
Sul piano privato, la perdita della moglie nel 1833 fu seguita da quella di molti dei figli di Alessandro Manzoni, tra cui la primogenita Giulia, già moglie di Massimo D'Azeglio, della madre e dell'amico Fauriel. Il 2 gennaio 1837 sposò Teresa Borri (11 Novembre 1799 - 23 Agosto 1861), vedova del conte Decio Stampa. Egli sopravvisse anche a quest'ultima. Dei nove figli nati dal primo matrimonio solo due morirono successivamente al padre.
Nel 1860 fu nominato senatore nel Primo Parlamento dell'Italia Unita: con questo incarico votò nel 1864 a favore dello spostamento della capitale da Torino a Firenze fintanto che Roma non fosse stata liberata. Come presidente della commissione parlamentare sulla lingua scrisse, nel 1868, un breve trattato sulla lingua italiana: Dell'unità della lingua italiana e dei mezzi per diffonderla.
La morte del figlio maggiore Pier Luigi il 28 aprile 1873 fu il colpo che accelerò la fine di Manzoni, il quale, dopo aver battuto la testa su di uno scalino all'uscita dalla chiesa di San Fedele di Milano, morì in pochi istanti per una grave lesione al cranio. Era il 22 maggio 1873. Nel Cimitero Monumentale della città ambrosiana si tenne il solenne funerale, che vide una grandissima partecipazione e la presenza dei principi e di tutte le più alte autorità dello stato. Nel 1874, nell'anniversario della morte, Giuseppe Verdi compose la Messa di requiem per onorarne la memoria e ne diresse personalmente l'esecuzione nella chiesa di San Marco. Nel 1883, a dieci anni dalla morte, la sua tomba venne spostata nel Famedio del Cimitero Monumentale di Milano.
Le prime biografie di Manzoni furono scritte da Cesare Cantù (1885), Angelo de Gubernatis (1879), Arturo Graf (1898). Una parte delle lettere di Manzoni fu pubblicata da Giovanni Sforza (storico) nel 1882. L'ultimo ramo rimasto della famiglia di Alessandro è quello dei conti Manzoni di Lugo di Romagna.
Il 28 giugno 1872 Manzoni fu nominato cittadino onorario di Roma.

Opere
Scrittore fecondo e versatile, Alessandro Manzoni iniziò negli anni giovanili con composizioni di ispirazione neoclassica. La conversione religiosa determinò una grande svolta nella sua attività letteraria. Tra il 1812 e il 1822 compose gli Inni sacri, cinque composizioni poetiche dedicate alle maggiori festività della Chiesa Cattolica: La Resurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione, La Pentecoste.
Nel 1821 scrisse le cosiddette "odi civili": Marzo 1821, dedicata alle insurrezioni anti-austriache di quell'anno, e Il Cinque Maggio, composta di getto all'annuncio della morte di Napoleone Bonaparte.
Tra il 1816 e il 1822 scrisse inoltre due tragedie, Il Conte di Carmagnola (1816) e Adelchi (1822), frutto di un'attenta riflessione teorica sul teatro e sul genere tragico in particolare. L'opera più completa e matura di Manzoni è però il romanzo I Promessi Sposi, scritto in una prima versione (con il titolo Fermo e Lucia) tra il 1821 e il 1823; poi profondamente modificato dal punto di vista della narrazione e pubblicato nel 1827; infine ancora rivisto, questa volta solo nella forma linguistica: nella ricerca di una lingua accessibile agli italiani di varia origine e cultura Manzoni scelse come modello il fiorentino parlato dai contemporanei. Questa versione definitiva fu pubblicata a dispense tra 1840 e il 1842.
Va ricordata inoltre la produzione saggistica di Manzoni, articolata in scritti critici, morali, storici e linguistici.

? 1885 - Victor-Marie Hugo (Besançon, 26 febbraio 1802 – Parigi, 22 maggio 1885) è stato uno scrittore, poeta e drammaturgo francese, considerato il padre del Romanticismo in Francia. Seppe tenersi lontano dai modelli malinconici e solitari che caratterizzavano i poeti del tempo, riuscendo ad accettare le vicissitudini non sempre felici della sua vita per farne esperienza esistenziale e cogliere i valori e le sfumature dell'animo umano.
I suoi scritti giunsero a ricoprire tutti i generi letterari, dalla poesia lirica al dramma, dalla satira politica al romanzo storico e sociale, suscitando consensi in tutta Europa.

Padre del Romanticismo
Una svolta epocale nella storia della letteratura avviene nel 1827, con l'uscita del dramma storico Cromwell, considerato il manifesto delle nuove teorie romantiche. Nella lunga prefazione Hugo si oppone alle convenzioni del teatro classico, tra cui le tre unità aristoteliche (contesta soprattutto le unità di tempo e di luogo) e l'obbligo di bienséance (che esclude azioni o anche solo parole considerate volgari o quotidiane, umili), ed espone le sue teorie sul teatro e sulla letteratura in generale, che metterà poi in pratica nel dramma Hernani, del 1830, data che segna convenzionalmente l'inizio del Romanticismo in Francia: la rappresentazione infatti segna l'inizio di una nuova querelle tra antichi e moderni che rimarrà nella storia col nome di bataille d'Hernani. Il dramma, che riscuote grande successo nonostante la prima rappresentazione venga interrotta dagli scontri, sarà poi trasposto in musica e rappresentato da Giuseppe Verdi (Ernani, 1844).
Inizia un periodo molto produttivo per lo scrittore: pubblica un romanzo, Notre-Dame de Paris, del 1831, accolto da un immediato e amplissimo successo; raccolte di poesie, Le foglie d'autunno dello stesso anno e I canti del crepuscolo del 1835; altri drammi, come per esempio Ruy Blas nel 1838. Incontra Hector Berlioz, Chateaubriand, Franz Liszt, Giacomo Meyerbeer; nel 1841 viene ammesso all'Académie française, dove occupa il seggio numero 14.

Opere
Victor Hugo è stato scrittore instancabile; la sua opera comprende soprattutto componimenti poetici, drammi, romanzi, oltre a testi di carattere letterario, politico o filosofico, e a un consistente epistolario. È autore anche di numerosi disegni.
«L'insieme della mia opera un giorno sarà come un tutto indivisibile. [...] Un libro molteplice che sintetizzi un secolo, ecco quello che lascerò dietro di me.»

* 1901 - Gaetano Bresci (Prato, 10 novembre 1869 – Isola di Santo Stefano, 22 maggio 1901) è stato un anarchico italiano, autore dell'uccisione del re Umberto I.

Il regicidio
La sera di domenica 29 luglio 1900, a Monza, Bresci uccise il re d'Italia Umberto I di Savoia, sparandogli contro tre o quattro (le fonti storiche non concordano) colpi di pistola. Il sovrano stava rientrando in carrozza nella sua residenza monzese dopo aver assistito a un saggio ginnico cui seguì una premiazione presso la società sportiva Forti e Liberi. L'assassinio, immortalato in una celebre tavola del pittore Achille Beltrame per La Domenica del Corriere, avvenne sotto gli occhi della popolazione festante che salutava il monarca. Bresci si lasciò catturare dal carabiniere Andrea Braggio senza opporre resistenza; e fu lo stesso carabiniere a salvarlo, proteggendolo dal linciaggio a cui stava per essere sottoposto dalla folla inferocita.
Emigrato tempo prima a Paterson (New Jersey, USA), l'anarchico era rientrato appositamente in Italia con il preciso intento di uccidere Umberto I: intendeva così vendicare la strage avvenuta a Milano nel 1898, quando l'esercito guidato dal generale Bava-Beccaris sparò su una folla di manifestanti (il totale dei morti non è mai stato accertato, ma superò sicuramente il centinaio).
Bresci, difeso dall'avvocato Francesco Saverio Merlino, dopo il rifiuto di Filippo Turati, fu processato per regicidio e condannato a morte, con pena poi commutata in lavori forzati a vita da re Vittorio Emanuele III (fu l'ultimo caso che si ricordi in cui un re d'Italia commutò una pena)[senza fonte]. Alle ore 12 del 23 gennaio del 1901 dopo un trasferimento via mare sulla nave da guerra Messaggero il Bresci è rinchiuso nel suo ultimo domicilio. Per poterlo controllare a vista venne edificata per lui una speciale cella di tre metri per tre, priva di suppellettili, nel penitenziario di Santo Stefano, presso Ventotene (Isole Ponziane). Il suo numero di matricola è il 515.
Indossa la divisa degli ergastolani, con le mostrine nere che indicano i colpevoli dei delitti più gravi. I piedi sono avvinti in catena. Ogni giorno riceve il vitto di spettanza: una gamella di zuppa magra ed una pagnotta. Ha facoltà di acquistare generi alimentari allo spaccio, ma si avvale raramente di questa concessione. Delle sessanta lire depositate presso l'amministrazione dell'ergastolo (e spedite dall'America dalla moglie) riesce a spenderne meno di dieci. Il comportamento del detenuto è giudicato tranquillo, normale. Bresci riceve la visita del cappellano del carcere don Antonio Fasulo, ma rinunzia al conforto della conversazione. Si fa dare una Bibbia, che legge ogni tanto, poi, tra gli scarsi volumi della biblioteca carceraria, sceglie un vocabolario italiano-francese. Lo troverà aperto, quel pomeriggio del 22 maggio 1901 il direttore del carcere venuto a constatare la sua morte.

La morte
Il 22 maggio 1901, l'ufficio matricola della Regia Casa di Pena di Santo Stefano registra la morte del detenuto Bresci Gaetano fu Gaspero, condannato all'ergastolo per l'uccisione a Monza del re d'Italia. Alle ore 14,55 il secondino Barbieri, che aveva l'incarico di sorvegliare a vista l'ergastolano, ma che si era allontanato per alcuni minuti, scopre il corpo del Bresci, ormai cadavere, penzolare dall'inferriata, alla quale il recluso si era appeso per il collo mediante l'asciugamano in dotazione o secondo altri un lenzuolo. Accorre il direttore del carcere cavalier Cecinelli, accorre anche il medico, ma soltanto per constatare l'avvenuto decesso.
Tuttavia le circostanze della sua morte hanno sempre destato perplessità. Voci sotterranee fatte circolare da cella a cella e presto uscite dal penitenziario, avvalorano un'altra ipotesi. Tre guardie avrebbero fatto irruzione nella cella, avrebbero immobilizzato il Bresci buttandogli addosso una coperta e poi lo avrebbero massacrato a pugni. Nel gergo carcerario questo trattamento è chiamato fare il sanantonio. Serve a dare una lezione ai riottosi, qualche volta questa lezione è mortale. Un delitto di Stato sarebbe stato dunque la pena per un delitto contro lo Stato. Così come incertezza vi è anche sul luogo della sua sepoltura: secondo alcune fonti, fu seppellito assieme ai suoi effetti personali nel cimitero di Santo Stefano; secondo altre, il suo corpo venne gettato in mare. Le sole cose rimaste di lui sono il suo cappello da ergastolano (andato distrutto durante una rivolta di carcerati nel dopoguerra) e la rivoltella con cui compì il regicidio.
Molti sono quindi i misteri che circondano ancora la figura dell'anarchico venuto dall'America, come la fantasia popolare lo aveva ribattezzato. Riguardano prevalentemente dei documenti spariti misteriosamente: non è infatti mai stata trovata la pagina 515 che descriveva il suo status di ergastolano e le circostanze della sua morte; nessuna informazione su di lui è disponibile all'Archivio di Stato di Roma; non è mai stato ritrovato - come testimonia una approfondita biografia di Arrigo Petacco - il dossier che Giovanni Giolitti scrisse sulla vicenda Bresci.
Qualche anno dopo la morte del regicida, Ezio Riboldi, primo sindaco socialista di Monza, fece visitare la cappella espiatoria al giovane esponente della sinistra rivoluzionaria Benito Mussolini, il quale con un sasso puntuto incise la scritta: Monumento a Bresci.

Contesto storico in cui maturò l'uccisione di Umberto I di Savoia
Nel 1898, a circa 40 anni dall'annessione della Lombardia al Regno d'Italia, la situazione economica era gravissima. Si ricorda che in questi 40 anni emigrarono circa 519 000 lombardi. A Milano, a seguito dell'aumento del costo della farina e del pane, il cui costo cresceva da anni, il popolo affamato insorse e assaltò i forni del pane.
L'insurrezione milanese, passata alla storia come la "protesta dello stomaco", durò vari giorni e fu repressa nel sangue da reparti dell'esercito al comando del generale Fiorenzo Bava-Beccaris che, per questa azione di ordine pubblico fu insignito con la Croce di grand'ufficiale dell'ordine militare di Savoia, «per rimeritare il servizio reso alle istituzioni e alla civiltà» da Umberto I re d'Italia. Nella feroce repressione militare si calcola che vi furono più di cento persone uccise (i dati non sono precisi) e centinaia di feriti. Tra le vittime i miserabili in fila per ricevere la minestra dei frati, sui quali si sparò a mitraglia.
Gaetano Bresci intese vendicare l'eccidio e rendere giustizia, perciò uccise il re Umberto I di Savoia in quanto responsabile in capo di questi tragici avvenimenti.

Reazioni
Tutti gli amici più stretti e i parenti di Bresci vennero arrestati nel tentativo di dimostrare che Bresci non aveva agito individualmente, ma aveva preso parte a un vastissimo complotto anarchico internazionale. Anche la polizia di Paterson fu mobilitata per dimostrare l'esistenza di tale complotto, ma non trovò assolutamente nessuna prova.
L'Avanti, divenuto capro espiatorio nonostante fosse nient'affatto vicino agli anarchici, subì un'aggressione da parte dei conservatori, in seguito alla quale vennero arrestati alcuni lavoratori del giornale invece degli aggressori. Molti anarchici in tutta Italia furono arrestati, colpevoli di apologia di regicidio. A Bresci vennero dedicate feste e brindisi, tanto in Italia quanto a Paterson.

? 1945 - Antonio Seghezzi (Premolo, 26 agosto 1906 – Dachau, 22 maggio 1945) è stato un presbitero e partigiano italiano.

Biografia
Secondo di 10 figli, nato da Romano e Modesta Seghezzi. A dieci anni entra in seminario vescovile di Bergamo e, nel 1927, si laurea in scienze sociali all'Istituto cattolico di studi sociali di Bergamo. Ordinato sacerdote nel 1929 dal vescovo Luigi Maria Marelli nel Duomo di Bergamo e destinato alla parrocchia di Almenno San Bartolomeo la lascia per insegnare lettere in seminario a Bergamo. Nel 1935 viene inviato come cappellano militare in Eritrea, nell'ambito della guerra d'Etiopia. Dopo due anni ritorna a Bergamo e viene nominato assistente della Gioventù maschile di Azione Cattolica.
Dopo l'8 settembre, si impegna nella resistenza e segue i suoi ragazzi in montagna, i nazifascisti lo scoprono e decidono di eseguire una rappresaglia contro l'Azione Cattolica e la Chiesa di Bergamo. Don Seghezzi, per evitarla, si consegna spontaneamente, il 4 novembre 1943 viene arrestato e rinchiuso nel carcere di Sant'Agata.?Il 12 dicembre, dopo essere stato processato, viene condannato a 5 anni di lavori forzati, poi ridotti a 3; 10 giorni dopo viene deportato in Germania. Rinchiuso fino ai primi di febbraio del 1945 nel campo di Kaisheim vicino a Monaco di Baviera, viene trasferito successivamente a Dachau.
Quando gli Alleati arrivano al campo per liberare i superstiti viene ricoverato nell'ospedale da campo, ma qualche giorno dopo muore per emottisi.

Riconoscimenti
Nel 1999 la Diocesi di Bergamo ha concluso il processo di beatificazione di don Antonio Seghezzi e gli atti sono stati trasferiti alla congregazione per le cause dei santi.
Nel centenario della nascita le spoglie di don Seghezzi sono state traslate nella cripta ipogea ricavata nella chiesa parrocchiale di Sant'Andrea del suo paese natale. Il suo paese e Bergamo gli hanno intitolato una strada.

? 1988 - Giorgio Almirante (Salsomaggiore Terme, 27 giugno 1914 – Roma, 22 maggio 1988) è stato un politico italiano.
Fu il più importante esponente del Movimento Sociale Italiano, partito politico di destra, da lui fondato nel 1946 insieme ad altri reduci della Repubblica Sociale Italiana (come Pino Romualdi) ed ex esponenti del regime fascista (come Augusto De Marsanich).

? 1990 - Rocky Graziano pseudonimo di Thomas Rocco Barbella (New York, 1º gennaio 1919 – 22 maggio 1990) è stato un pugile statunitense di origini abruzzesi e siciliane.
La International Boxing Hall of Fame lo ha riconosciuto fra i più grandi pugili di ogni tempo.
Tre suoi famosi incontri furono dichiarati Ring Magazine fight of the year:
? 1945 - Rocky Graziano KO10 Red Cochrane I
? 1946 - Tony Zale KO 6 Rocky Graziano I
? 1947 - Rocky Graziano KO6 Tony Zale II
Incontri dichiarati Ring Magazine upsets of the year:
? 1945 - Rocky Graziano KO 3 Billy Arnold
? 1946 - Rocky Graziano KO 2 Marty Servo
? La rivista Ring Magazine lo ha classificato al 23° posto nella propria classifica dei 100 più grandi puncher di ogni epoca.

? 1996 - Sergio Quinzio (Alassio, 5 maggio 1927 – Roma, 22 maggio 1996) è stato un teologo ed esegeta italiano, tra i più originali del XX secolo.
«Sono rimasto quello che ero, con il mio obbediente adeguarmi alla situazione, nella consapevolezza dell'impossibilità di cambiarla nel senso decisivo che sento indispensabile, con la mia sorridente disperazione, con la mia, giustamente, sempre più stanca e confusa confusione» (dal Diario profetico, Adelphi, p.19)
Ha prestato servizio per 17 anni nella Guardia di Finanza. Dopo la morte della giovane moglie Stefania, si è ritirato in isolamento per 14 anni a Isola del Piano, un piccolo paese delle Marche, dove si è dedicato totalmente allo studio della Bibbia. Tra le sue opere è da segnalare un monumentale Commento alla Bibbia (1972). Ha collaborato con diversi quotidiani nazionali (La Stampa, il Corriere della sera, l'Espresso).

Pensiero
«Lungo le pagine della Bibbia la salvezza diventa sempre più lontana quanto più appare vicina, è sempre più sfuggente, è pagata sempre più terribilmente, è sempre più implicata nelle morte; eppure proprio per questo diventa sempre più necessaria e urgente, più disperatamente dolce. Il rantolo di chi muore esprime un infinito bisogno di vita, come il primo grido di Adamo (Gen. 2,23)»
Nel Commento alla Bibbia (prima edizione 1972), che è l'opera più importante, Quinzio riprende e commenta per citazioni tutte le scritture, dalla Genesi all'Apocalisse, affermando una tesi essenziale: la salvezza portata da Dio all'uomo è una salvezza disperata, perché Dio non è perfettamente onnipotente. L'unica vera speranza consiste nella venuta del Regno promessa da Cristo, in cui i morti risorgeranno e Gesù tornerà per sempre a vivere tra coloro che lo hanno atteso nei millenni.
In Dalla gola del leone (1980), forse l'opera più interessante (citata da Emanuele Severino in La strada), troviamo considerazioni intime dolorosamente e sinceramente autobiografiche, nate perlopiù dal carteggio con Anna Giannatiempo (con cui si è poi sposato in seconde nozze), e che si mescolano con intuizioni e riflessioni sulla verità biblica e sulla sua disperata speranza.
Ne La sconfitta di Dio (1992), palesa tutto il senso della debolezza di Dio di fronte all'urgenza di salvezza degli uomini: "E, mentre l'indice addita il futuro sperato, lo addita dall'esperienza di un Dio assente dal mondo, un Dio che deve misteriosamente pervenire alla propria divinità attraverso la lacerazione e la sconfitta" (p.49).
In Mysterium iniquitatis (1995), dal paolino 2 Tessalonicesi 2, 7, prende le profezie di Malachia come spunto per un esito di tipo escatologico: la Chiesa è destinata a scomparire con un'enciclica che sancisce "il dogma del fallimento del cristianesimo nella storia del mondo". E con tale fallimento divenuto vergognosamente insopportabile, scandalosamente insostenibile, l'ultimo papa presagisce anche la fine della Storia.

? 2008 - Paolo Giuntella (Roma, 5 ottobre 1946 – Roma, 22 maggio 2008) è stato un giornalista e scrittore italiano. Figlio del professor Vittorio Emanuele Giuntella (reduce dai lager nazisti), dal 1999 fin quasi alla morte è stato l'inviato del TG1 al seguito del presidente della Repubblica.
Fin da giovane si è impegnato nell'associazionismo cattolico, in particolare nella FUCI, e nello scautismo.
Nel 1966 fu tra gli "Angeli del Fango", i volontari, fra i quali molti scout, che scavarono senza sosta per soccorrere Firenze e i suoi cittadini colpiti in seguito all'alluvione. Nel 1979 fonda Rosa Bianca, un'associazione cattolica orientata a sinistra il cui nome s'ispira a quello dell'associazione di giovani cattolici e protestanti oppositori del nazismo. I convegni e le attività dell'associazione per tutto il corso degli anni ottanta saranno animati da molti dei futuri dirigenti e intellettuali dell'Ulivo e del Partito Democratico. In quegli anni si impegna intensamente anche nel sindacato dei giornalisti.
Laureatosi in Lettere moderne, ha collaborato con Il Popolo, Avvenire e diversi settimanali e mensili, ha diretto il mensile Appunti di cultura e politica, che si valeva di eccellenti firme come Achille Ardigò, Leonardo Benevolo, Ermanno Gorrieri, Luigi Pedrazzi, Pietro Scoppola.
Già capo della terza pagina e dei supplementi culturali de Il Mattino, passato in RAI ha coordinato TV7, per poi divenire caporedattore di Speciale TG1, e in seguito corsivista televisivo e inviato speciale in Irlanda, Albania, nelle zone colpite dal terremoto in Umbria e Marche del 1997 e in Kosovo, dove è stato menzionato al merito dall'ambasciatore italiano per aver salvato la vita di un disabile rimasto in un'abitazione incendiata, che per motivi etnici non veniva soccorso dai vicini.
Dal 1980 è stato sposato con Laura Rozza dalla quale ha avuto tre figli: Giovanni Osea, Tommaso Michea e Maria Irene.
Muore a Roma il 22 maggio 2008 dopo una lunga malattia, che non gli ha impedito di lavorare fino a 10 giorni prima di morire. Sorretto da una forte passione per la professione di giornalista e sempre coerente con il suo impegno civile, sofferente, con dignitoso riserbo, ha continuato a seguire per il TG1 le ultime consultazioni al Quirinale per la formazione del nuovo governo.
Simbolico l'episodio dei suoi funerali, quando la folla che gremiva la Chiesa di Cristo Re a Roma si è riversata su viale Mazzini (proprio accanto alla sede della Rai) fino a bloccare il traffico al ritmo dei canti e dei balli in un clima di festa protrattosi per oltre due ore dalla fine della cerimonia. La salma fu inoltre vegliata da un picchetto d'onore del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, al quale lo legava una profonda amicizia e ammirazione.
Dal 15 luglio 2008 la Biblioteca Rai di Viale Mazzini è intitolata alla sua memoria.