Il calendario del 10 Maggio
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Eventi
▪ 1291 - I nobili scozzesi riconoscono l'autorità di re Edoardo I d'Inghilterra
▪ 1297 - Con la bolla pontificia "In excelso throno" vengono scomunicati i cardinali Giacomo e Pietro Colonna. Lo stesso giorno i due cardinali assieme a Jacopone da Todi e a due spirituali francescani firmano il così detto "manifesto di Lunghezza", un duro atto d'accusa contro Bonifacio VIII
▪ 1497 - Amerigo Vespucci lascia Cadice per il suo primo viaggio nel Nuovo Mondo
▪ 1503 - Cristoforo Colombo scopre le Isole Cayman e le battezza Las Tortugas a causa delle numerose tartarughe marine che vi sono presenti
▪ 1534 - Jacques Cartier scopre Terranova
▪ 1768 - John Wilkes viene imprigionato per aver scritto un articolo per il North Briton che critica pesantemente Re Giorgio III. Questa azione provoca delle rivolte a Londra
▪ 1774 - Luigi XVI diventa re di Francia
▪ 1775 - Guerra d'indipendenza americana: Il Forte Ticonderoga viene preso da una piccola forza guidata dal colonnello Benedict Arnold e da Ethan Allen
▪ 1796 - Prima coalizione: Napoleone I di Francia ottiene una vittoria decisiva contro le forze austriache al ponte di Lodi sul fiume Adda. Gli austriaci perdono 2.000 uomini
▪ 1801 - I pirati barbareschi di Tripoli dichiarano guerra agli Stati Uniti
▪ 1837 - Panico del 1837: le banche di New York falliscono e la disoccupazione raggiunge livelli da record
▪ 1857 - Ammutinamento indiano: In India, rivolta dei Sepoy contro l'esercito britannico
▪ 1865 - Jefferson Davis, Presidente degli Stati Confederati d'America, viene catturato dalle truppe degli Stati Uniti d'America vicino a Irwinville (Georgia)
▪ 1869 - La Prima Ferrovia Transcontinentale, che collega gli Stati Uniti occidentali a quelli orientali, viene completata a Promontory Summit, Utah
▪ 1872 - Victoria Woodhull diventa la prima donna candidata alla Presidenza degli Stati Uniti
▪ 1877 - La Romania si dichiara indipendente dalla Turchia, il riconoscimento avverrà il 26 marzo 1881, dopo la fine della Guerra d'indipendenza rumena
▪ 1908 - Viene celebrata per la prima volta la Festa della mamma
▪ 1924 - J. Edgar Hoover viene nominato capo dell'FBI
▪ 1933 - Censura: In Germania, i nazisti inscenano un vasto incendio di libri in pubblico
▪ 1940
- - seconda guerra mondiale: La Germania invade il Belgio, i Paesi Bassi, e il Lussemburgo: inizia la Campagna di Francia.
- - seconda guerra mondiale: Winston Churchill viene nominato Primo Ministro del Regno Unito
▪ 1941
- - seconda guerra mondiale: La Casa dei Comuni del Regno Unito viene distrutta da un raid aereo della Luftwaffe.
- - seconda guerra mondiale: Rudolf Hess si paracaduta in Scozia sostenendo di essere in missione di pace
▪ 1960 - Il sottomarino nucleare USS Nautilus completa la prima circumnavigazione subacquea della Terra
▪ 1979 - Gli Stati Federati di Micronesia ottengono l'auto-governo
▪ 1981 - François Mitterrand è stato eletto presidente della Repubblica Francese. È il primo presidente socialista in Francia.
▪ 1987 - Il Napoli conquista matematicamente il suo primo scudetto, Oltre un milione di persone scendono in strada per festeggiare l'avvenimento
▪ 1994
- - Nelson Mandela viene eletto presidente del Sudafrica
- - Berlusconi forma il suo primo governo
▪ 1997 - Un terremoto nei pressi di Ardekul nell'Iran nord-occidentale, fa almeno 2.400 vittime
▪ 1998 - Nascono a Fiuggi i Socialisti Democratici Italiani.
▪ 2001 - Nel Ghana, la calca durante una partita di calcio, fa oltre 120 vittime
▪ 2002 - L'agente dell'FBI Robert Hanssen viene condannato all'ergastolo per aver venduto notizie segrete a Mosca in cambio di denaro e diamanti
▪ 2006 - Giorgio Napolitano viene eletto Presidente della Repubblica Italiana, è il primo Presidente già esponente del Partito Comunista Italiano
Anniversari
▪ 1569 - Giovanni d'Avila (Almodóvar del Campo, 6 gennaio 1499 – Montilla, 10 maggio 1569) è stato un presbitero spagnolo. Grande predicatore e mistico, è stato procalmato santo da papa Paolo VI (1970) ed è considerato l'Apostolo dell'Andalusia.
Giovanni d’Avila, mistico e scrittore, amico di Sant’Ignazio di Loyola e consigliere di Santa Teresa d’Avila, fu un santo sacerdote assai stimato nella Spagna del XVI secolo. Dopo secoli di oblio, solo la canonizzazione, avvenuta nel 1970 ad opera di Papa Paolo Vi, ha risvegliato un discreto interesse nei suoi confronti. Principale biografo del santo fu Luigi di Granada. Giovanni nacque nel 1500 ad Almodovar del Campo, in Spagna, un centinaio di chilometri a sud di Toledo. La sua famiglia, di condizioni agiate, era di origini giudaiche. Inviato all’università di Salamanca per studiare diritto, non si sentì però portato per tale genere di studi e, tornato a casa, trascorse tre anni in preghiera e penitenza. Un francescano gli consigliò di studiare filosofia e teologia, come fece presso Alcalà tra il 1520 ed il 1526, sotto la guida di Domenico de Soto. Nel frattempo rimase orfano e, ordinato sacerdote 1525, devolvette ai poveri gran parte della sua eredità. Ottimo predicatore, avrebbe desiderato partire missionario per il Messici, ma l’arcivescovo di Siviglia lo trattenette in patria per predicare in Andalusia. Per ben nove anni Giovanni d’Avila operò in tale regione, convertendo persone di ogni età e classe sociale e conducendole a notevoli progressi nel loro cammino di fede. Durante la riconquista della penisola iberica operata sotto i “re cattolici” Ferdinando d’Aragona ed Isabella di Castiglia, parecchie conversioni dall’ebraismo e dall’islam furono in realtà solo fittizie, quindi a maggior ragione si rivelarono indispensabili le predicazioni del santo per una piena conversione dei cuori. Dal 1529 al 1538 predicò con strepitoso successo, sino a quando un’immeritata accusa gli fu rivolta dall’Inquisizione, riguardante l’estremo rigore che caratterizzava i suoi insegnamenti sino ad escludere a priori i ricchi dal Regno dei Cieli. Scagionato dalle ingiuste accuse, fu accolto trionfalmente da popolo e riprese la sua attività presso Cordova, Granada e Siviglia. E’ pervenuto a noi integralmente il suo epistolario spirituale, nonché degli estratti delle sue omelie trascritti dai suoi uditori. Dal 1554 il suo corpo fu segnato dalla malattia, ma nonostante ciò proseguì il suo apostolato sino alla morte, avvenuta presso Montilla il 10 maggio 1569. Questo santo costituisce un raro esempio di valido esponente della controriforma spagnola non appartenuto ad alcun ordine religioso, benché abbia avuto un ruolo determinante nella conversione di San Francesco Borgia e San Giovanni di Dio ed abbia talvolta sognato di poter entrare nella Compagnia di Gesù. Dissuaso in tal proposito proprio dal provnciale dei gesuiti di Andalusia, alla sua morte trovò sepoltura proprio nella chiesa dei gesuiti di Montilla. I vari aspetti dell’insegnamento di questo santo, oggi candidato al titolo di “Dottore della Chiesa”, possono essere analizzati nel trattato sistematico “Audi filia”, piuttosto che nel suo epistolario spirituale, oppure rintracciandolo negli estratti delle sue prediche. Di questi ultimi riportiamo un esempio, volto a tratteggiare la diversità fra ogni anima: “I corpi degli uomini sono di diversa indole, e c’è grande dissomiglianza nella conformazione delle loro menti, perché Dio ha concesso doni diversi a individui differenti. Non guida tutti nel medesimo sentiero, perciò è impossibile indicare una devozione particolare come la più opportuna. Alcuni non sentono alcuna attrattiva speciale per qualsivoglia forma di devozione ed essi dovrebbero consultare qualcuno [...] così per conoscere se si siano lasciati guidare da una causa d’amore o di timore, di tristezza o di gioia, e come applicare i rimedi più adatti alle loro necessità”. Questo pare essere uno di quegli eterni insegnamenti già contenuti nella Regola Pastorale del papa San Gregorio Magno. Giovanni d’Avila insiste circa l’unicità della via tracciata da Cristi, valida per tutti: “Cristo di dice che se noi desideriamo unirci a lui, dobbiamo camminare sulla strada che egli ha percorso. Non è sicuramente cosa retta dire che il Figlio di Dio avrebbe camminato nei sentieri dell’ignominia mentre i figli dell’uomo vanno per le vie dell’onore mondano”. Innalza inoltre preghiere affinché il suo corrispondente posa gustare “quali tesori nascosti Dio ci elargisce nelle prove delle quali il mondo pensa solo a fuggire”. Similmente sottolinea come coloro i quali “immaginano di ottenere la santità per mezzo della loro sapienza e forza si ritroveranno, dopo molte tribolazioni, fatiche e sforzi gravosi, lontani dal possederla, e questo in proporzione alla loro certezza di averla ottenuta con le proprie forze”. (Fabio Arduino)
* 1927 - Alessandro Artom (Asti, 6 maggio 1867 – Roma, 10 maggio 1927) è stato uno scienziato italiano, inventore dell'antenna radio direzionale e del radiogoniometro.
Origini e studi
Di illustre famiglia ebrea artigiana e figlio di Enrichetta dei Conti Ottolenghi, crebbe nel vivo dell'Unità d'Italia, alla quale aveva contribuito lo zio Isacco Artom, collaboratore d Camillo Benso Conte di Cavour.
Diplomatosi nel 1889 alla Scuola di Applicazione per Ingegneri di Torino, nel 1896 conseguì il diploma di perfezionamento in elettrotecnica al politecnico di Torino, sotto la guida di Galileo Ferraris. Scelto come suo assistente, iniziò la carriera nelle applicazioni radiotelegrafiche a seguito delle scoperte del periodo di Guglielmo Marconi e dei suoi studi sulle onde elettromagnetiche e sulle comunicazioni senza filo.
In quella stessa scuola fondò la Scuola Superiore di comunicazioni elettriche, la prima in Italia, nella quale insegnò per oltre venti anni.
Prime ricerche
È facile intuire quali fossero i grandi problemi che dovette affrontare Artom agli inizi del XX secolo, tra la complessità degli studi nella radiotelegrafia e le scarse risorse a disposizione, cosa che però contribuì a far convolare in suo aiuto morale e materiale, personaggi come il senatore Pirelli ed Emanuele Jona.
Fin dal 1901 aveva posto le basi teoriche per le radiotrasmissioni in una sola direzione (unidirezionali) e a tale scopo costruì nel 1907 le prime antenne chiuse triangolari.
Nel 1903, ad una conferenza sulle onde Hertziane e sulla telegrafia senza fili, esaltò l'opera di Guglielmo Marconi senza però fare riferimento agli esperimenti che lui stesso aveva iniziato.
Nell'ottobre del 1904 in un'intervista, dopo alcuni felici risultati delle sue sperimentazioni, rispondeva: «"Sarà questione di temperamento, non è certo disprezzo dell'opinione pubblica, io lavoro e m'invecchio nello studio e per lo studio; se i frutti saranno buoni, come spero, parleranno essi per me" »
Risultati
Dopo uno studio su un sistema di radiotelegrafia dirigibile, che trasmetteva e riceveva onde elettromagnetiche in modo unidirezionale tramite un'antenna chiusa dalla forma geometrica qualunque, nel 1907 costruì le prime antenne chiuse triangolari.
Da questi studi sulla dirigibilità delle onde gettò le basi della radiogoniometria: creò il radiodireziometro, così chiamava il radiogoniometro a lettura diretta (una delle ultime invenzioni dello scienziato che individuava la posizione di stazioni trasmittenti lontane a emissione circolare) che fu realizzato successivamente la sua morte.
Egli elaborò anche un piano che, grazie all'uso di antenne direzionali, assicurava la relativa segretezza delle comunicazioni costiere e navali.
Diede quindi alla marina militare, durante la prima guerra mondiale, la possibilità di individuare la posizione delle navi in caso di nebbia e soprattutto di controllare l'invasione nemica in mare contribuendo alla difesa radiotelegrafica nell'Adriatico.
Le antenne radio direzionali sono oggi alla base dei sistemi di telecomunicazione radiofonica e televisiva, di navigazione marittima, aerea e spaziale, di radioastronomia e radarastronomia.
Si interessò anche a fenomeni atmosferici, alla protezione dalle scariche (brevettò nel 1920 un tipo di parafulmine radioattivo), formazione e prevenzione della grandine; in particolare Artom suppose che in condizioni temporalesche, le goccioline di acqua trasformatesi in ghiaccio, inizino a ruotare attirando a se altre goccioline d'acqua congelandole, dando origine alla formazione di chicchi maggiori.
Morte
Alessandro Artom morì a Roma il 10 maggio 1927 ed è sepolto nella tomba di famiglia del cimitero ebraico di Asti.
Riconoscimenti
L'interesse per la scienza, i validi e disinteressati contributi resi alla nazione, gli valsero l'alto riconoscimento del re Vittorio Emanuele III ed il conferimento del titolo nobiliare di barone, trasmissibile ai discendenti.
«"Sua Maestà il Re, in considerazione di una speciale segnalazione del Primo Ministro, si degnava di conferire al Prof. Gr. Uff. Alessandro Artom il titolo di Barone, trasmissibile ai discendenti, come alto riconoscimento delle grandi benemerenze scientifiche e patriottiche da lui acquistate con le sue importanti invenzioni in materia radiotelegrafica, che furono elemento essenziale della difesa marittima ed aerea del paese durante la guerra vitto riosa, per le quali il Prof. Artom nobilmente rinunciò a qualsiasi lucro e compenso".»
Nel 1928 Asti gli dedicò un busto di pietra, opera dello scultore Carlo Reduzzi.
Nel 1957 la " Institution of Radio Engineers " di Dayton gli conferì, tra gli altri (Volta, Pacinotti, Meucci, Galileo Ferraris e Marconi), il premio alla memoria "Pioniere della navigazione elettronica aeromarittima" quale riconoscimento per il contributo dato alla sviluppo della scienza elettrica.
Ad Alessandro Artom è dedicato l'Istituto tecnico industriale di Asti.
Principali brevetti
▪ 1902 "Perfezionamenti nel metodo e negli apparecchi per la telegrafia senza fili"
▪ 1905 "Disposizioni di apparato ricevitore per telegrafia senza filo"
▪ 1906 "Disposizione per apparato ricevitore per telegrafia senza filo" (perfezionamento del brevetto precedente)
▪ 1907 "Apparecchio ricevitore per segnalazioni elettriche attraverso lo spazio"
▪ 1907 "Apparecchio trasmettitore di onde elettriche"
▪ 1908 "Sistema di telegrafia senza filo dirigibile"
▪ 1908 "Sistema di dispositivo che permette di evitare la rotazione delle antenne in una stazione di telegrafia senza filo dirigibile e particolarmente di determinare la direzione di una stazione trasmettitrice"
▪ 1915 "Sistema di collegamento e disposizione di palloni" aerostatici dirigibili e di apparecchi relativi alla dirigibilità delle onde elettriche"
▪ 1917 "Circuito ricevente, comprendente due palloni aerostatici e due bobine mobili, per mezzo del quale si può rilevare direttamente la direzione di provenienza delle onde elettromagnetiche
▪ 1920 "Sistema di protezione contro scariche elettriche"
▪ 1922 "Metodo di protezione contro i dannosi effetti" dell'elettricità atmosferica, mediante la ionizzazione locale"
▪ 1982 - Peter Weiss (Babelsberg, 8 novembre 1916 – Stoccolma, 10 maggio 1982) è stato uno scrittore e drammaturgo tedesco. Con lui, sulla strada aperta da Bertolt Brecht, il teatro si fa documento ed atto di accusa.
Figlio di un commerciante cecoslovacco ebreo convertitosi al protestantesimo, nacque a Babelsberg, l'attuale Nowawes, un paese vicino a Berlino, e nel 1918, a soli due anni, seguì la famiglia nel trasferimento a Brema. Nel 1929 un altro trasferimento, stavolta a Berlino, mobilitò la famiglia Weiss. Qui il giovane Peter si iniziò alla lettura di nuovi autori e condusse esperienze significative che troveranno eco nelle pubblicazioni successive.
Nel 1934, per sfuggire al campo di concentramento, si rifugiò a Londra, dove il giovane Weiss si dedicò alla pittura, allestendo una mostra personale all'interno di un garage. Nel 1936 la famiglia si trasferisce però a Warnsdorf, in Boemia, e Weiss si stabilisce però a Praga, dove viene accolto all'Accademia di Belle Arti. In questo periodo prende contatti epistolari con lo scrittore Herman Hesse dopo averne letto Il lupo della steppa, che lo raccomandò per l'accettazione all'Accademia tramite la figura del giornalista e scrittore Max Barth[1], rifugiato anch'esso a Praga per via delle persecuzioni naziste a danno della sua attività di socialista. L'anno successiva Weiss andò in visita da Hesse, che risiedeva in Svizzera, nel Canton Ticino, precisamente a Montagnola: incoraggiato dallo scrittore che ne appoggiava l'operato, Weiss trovò nella dimora di Hesse rifugio nel 1938, dopo la situazione creatasi a Praga in seguito alle pressioni naziste, e ivi illustrò per lui la favola L'infanzia del mago.
Nel frattempo la famiglia Weiss aveva riparato in Svezia, dove Peter li raggiunse nel 1939 per accertarsi della loro incolumità. Dopo pochi mesi si separò da loro per andare a Stoccolma, da Barth, dove si unì ad un gruppo di socialdemocratici composto da un gran numero di rifugiati di diversa provenienza, ideologica e geografica[2]. Qui Weiss strinse amicizia con il medico Max Julius, che ricorderà in scritti successivi come Punto di fuga e Estetica della resistenza.
Nel 1943 si sposa con l'artista Helga Henschen, ma il matrimonio è destinato a naufragare in breve tempo, nel giro di quattro anni: con lei avrà però una figlia. Nel 1946, un anno prima del divorzio dalla Henschen, Weiss pubblica il suo primo scritto, illustrato da lui stesso, dal titolo in svedese: Di isola in isola (Frân ö till ö). La raccolta di poesie riceve una buona accoglienza da parte della critica.
Il 1947 si configurò come un anno importante del suo percorso esistenziale. Terminato il matrimonio, Weiss si recò a fine marzo in visita a Parigi, dove capii di non aver finalità nella pittura (arte ed attività che abbandonò) e recuperò l'importanza della lingua tedesca come natia e figuratrice dell'individualità ed identità di se stesso, volgendo l'attenzione alla letteratura come mezzo espressivo. Scrisse dunque nel 1948, nella propria lingua, il radiodramma Der Turm e, dopo un ultimo testo in svedese scritto nel 1951 (Il duello, in originale Duellen), nel 1952 Weiss scrisse due opere ancora in tedesco: il dramma L'assicurazione (Die Versicherung) e il romanzo breve L'ombra del corpo del cocchiere (Der Schatten des Körpers des Kutschers), che resterà ineditò fin quasi gli anni sessanta. A Berlino, sempre nel 1947, incontra l'editore Peter Suhrkamp che lo aiuterà poi a pubblicare diverse opere.
Nonostante l'interesse per la letteratura e l'attività di scrittore, gli scarsi risultati fecero sì che Weiss si dedicasse alla saggistica sul cinema, per il quale l'artista ebbe sempre un particolare amore. Pubblica nel 1955 Avantgarde Film e nel 1960 Il grosso sogno del postino Cheval (Der grosse Traum des Brieftärgers Cheval) e Diario di Copenhagen (Aus dem Kopenhagener Journal).
Scrisse due opere autobiografiche (Congedo dai genitori del 1961 e Punto di fuga del 1962) che fecero conoscere il suo nome. Oltre alla fama acquisita con queste opere, criticate positivamente da pubblico e addetti ai lavori, l'adesione al Gruppo 47 e le letture effettuate nell'ambito degli incontri che l'associazione effettuava permisero a Weiss di divulgare maggiormente le sue idee sull'arte e sulla letteratura.
Solo nel 1964 si dedicò al teatro.
La persecuzione e l'assassinio di Jean-Paul Marat ottenne un enorme successo. Come Brecht, Weiss pose il pubblico nella condizione di giudice e critico anziché di passivo spettatore.
Nel 1965, inscenando L'istruttoria contemporaneamente in 14 teatri della Germania dell'Est e dell'Ovest, portò sulla scena gli stessi personaggi e le stesse parole che da un anno risuonavano al processo di Auschwitz nelle aule del tribunale di Francoforte, e riuscì a stabilire col pubblico un rapporto stimolante e provocatorio. Weiss infatti, procedendo oltre la denuncia dei crimini, accusava l'intero sistema capitalista che aveva permesso alla Germania nazista di produrre i campi di concentramento.
Nel 1967 la sua accusa si estese al colonialismo ed al razzismo, prendendo spunto dall'operato dei portoghesi in Angola (Cantata del fantoccio lusitano, rappresentato anche da Giorgio Strehler).
Nel 1968 allargò ancora la sua problematica inscenando un Discorso sugli antefatti e sullo svolgimento della lunga guerra di liberazione in Vietnam come esempio della necessità della lotta armata degli oppressi contro gli oppressori, come anche anche sui tentativi degli Stati Uniti di distruggere i principi della rivoluzione.
* 1984 - Angelo Narducci (L'Aquila, 17 agosto 1930 – Milano, 10 maggio 1984) è stato un giornalista e politico italiano. È stato direttore di Avvenire negli anni settanta ed esponente della Democrazia Cristiana al Parlamento europeo (elezioni europee del 1979). Una volta eletto, ha aderito al gruppo parlamentare del Partito Popolare Europeo ed è divenuto membro della Commissione per lo sviluppo e la cooperazione.
Angelo Maria Narducci nasce il 17 agosto 1930 a L'Aquila. Quarto di cinque figli. Il padre Adolfo, maresciallo della Polizia di Stato, e la madre Carmela Mauro, casalinga, gli trasmettono, insieme a don Vincenzo Narducci, fratello del nonno, un grande senso della famiglia e una formazione umana e culturale fondata su solide basi cristiane.
Nel 1946, in occasione del referendum istituzionale, fa libera propaganda per la Repubblica, legge Cronache Sociali e si sente molto vicino ai dossettiani. Nel 1949 si iscrive alla Democrazia Cristiana e fa il suo esordio da giornalista: è corrispondente della cronaca locale per il Giornale d’Italia e scrive su Lo studente d’Italia, Per l’Azione e collabora a Civitas. Conseguita la maturità si trasferisce a Roma, i genitori vorrebbero che faccia l’avvocato, lui, invece, preferirebbe fare filosofia, alla fine sceglie la facoltà di compromesso: scienze politiche. Ma non ha nessuna intenzione di fare né il diplomatico né l’impiegato statale, anche se coltiverà sempre la passione per la politica. A Roma è alloggiato nella pensione-comunità del Porcellino, ovvero quella in cui sono nati i dossettiani, ed è qui che, insieme con Corrado Guerzoni, Franco Maria Malfatti, Bartolo Ciccardini, Franco Salvi e tanti altri, si forma all’attività politica.
Dopo le esperienze professionali in Prospettive Meridionali (1955-1958), mensile di studi e cultura del Mezzogiorno a cura del Centro democratico di cultura e di documentazione, e nella Discussione (1956-1958), settimanale della Democrazia Cristiana; nel 1956 entra ne Il Popolo di Ettore Bernabei, dove, perché ritenuto un letterato, gli viene affidata la cura della terza pagina. Successivamente, diviene notista politico e alla fine redattore capo del giornale. Nel 1966, lascia il giornale della Democrazia Cristiana perché chiamato alla vice direzione de La Gazzetta del Popolo, dove resta fino al giugno 1968 quando Paolo VI lo chiama a far parte del gruppo degli iniziatori di Avvenire.
Narducci è anche un poeta, scrive versi. Le sue poesie le raccoglie in libretti ad uso dei soli amici. Solo una raccolta è pubblicata, nel 1958: Il ragazzo che ero, editore Sciascia, presentazione di Giacinto Spagnoletti. La sua produzione poetica, in totale 85 componimenti, va dagli anni dell’adolescenza fino al 1975, ma il numero maggiore di poesie si addensa in poco più di un decennio, 1952-1964, durante i quali, vivendo a Roma, sente la nostalgia della terra natia, dei sogni dell’età adolescenziale non più realizzabili, degli amici lontani.
È anche un politico. Nel 1979 accetta di candidarsi al primo Parlamento europeo ma restando ai margini della Democrazia Cristiana. L’amico Roberto Formigoni gli assicura il sostegno di Comunione e Liberazione. Eletto con grande consenso di voti, a Bruxelles diviene membro della Commissione per la cooperazione allo sviluppo e capo della delegazione del Partito Popolare Europeo negli organi parlamentari previsti dalla Convenzione di Lomé. Dimostrando, ancora una volta, la sua sensibilità e la sua attenzione per gli ultimi del mondo. Muore a Milano il 10 maggio 1984.
L'esperienza di Avvenire
Il primo numero del quotidiano cattolico nazionale arriva in edicola il 4 dicembre 1968. Nasce dalla fusione dei due giornali a diffusione interregionale, L’Italia di Milano e L’Avvenire d’Italia di Bologna.
Dopo poco più di dieci mesi di vita, il giornale è affidato a Narducci che lo dirige per quasi undici anni, dal 19 ottobre 1969 al 30 aprile 1980; eletto al Parlamento di Bruxelles passa il testimone ad Angelo Paoluzi. Ma non rinuncia a collaborare da esterno con frequenti articoli fino all’ultimo del 29 aprile 1984, a undici giorni dalla morte.
L’Avvenire di Narducci è una palestra di prestigiosi collaboratori (Raimondo Manzini, Jean Guitton, mons. Dionigi Tettamanzi, Giorgio La Pira, Giuseppe Lazzati, Vittorio Bachelet, Paolo Brezzi, Giuseppe Dalla Torre), autorevoli intellettuali (Giorgio Petrocchi, Mario Pomilio, Valerio Volpini, Luigi Santucci, Giovanni Cristini, Gino Montesanto, Beniamino Dal Fabbro), collaudati professionisti (Gaetano Nanetti, Angelo Bertani, Nicolò Carosio, p. Carlo Cremona, don Claudio Sorgi), giovani talenti (Massimo Franco, Piero Badaloni, Gianguido Folloni, Angelo Scelzo, Barbara Scaramucci). Un merito non piccolo del quale va dato atto al direttore che è stato capace di essere.
Gli anni della sua direzione erano cominciati un mese prima delle bombe di piazza Fontana, con una serie impressionante di consultazioni elettorali, le regionali del 1970, referendum per l’abrogazione della legge a favore del divorzio, politiche anticipate, altre amministrative, altre politiche; con un mondo sindacale in grande movimento; con tutti gli autunni caldi che ha vissuto il Paese; con il clima di violenza che ha coinvolto molte città italiane. Questo il quadro storico, sommariamente enunciato. Poi la realtà ecclesiale. Due Sinodi, le lacerazioni all’interno del mondo cattolico, dovute a crisi di fede e a crisi politiche (basta ricordare per tutte la crisi delle ACLI e il passaggio di alcuni cattolici, anche autorevoli, nelle liste del Partito Comunista Italiano); il crescere della contestazione all’interno della Chiesa (basta ricordare il caso dell’ex abate Giovanni Franzoni e di monsignor Marcel Lefebvre); la dispersione di tante energie cattoliche o nella indifferenza o nell’intimismo o nel non agire; si pensi ancora all’esplosione della contestazione studentesca con tutto quello che significa di positivo e di negativo. E poi il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro, la morte di Paolo VI, la legge a favore dell’aborto e la conseguente battaglia per il referendum abrogativo. Sin dal primo momento Narducci avvertiva il peso e la responsabilità del proprio ruolo, che svolgeva con dignità e con umiltà. Un’umiltà che però non gli faceva venir meno la voce quando si trattava di richiamare anche gli altri alle loro responsabilità.
Nel dicembre 1970, in una relazione alla Conferenza Episcopale Italiana, Angelo Narducci denunciava disimpegno e dissenso nei confronti di Avvenire da parte del mondo cattolico ed in alcune regioni una attenzione meno organica dell’episcopato. Da questo la decisione di dare vita alla tipografia di Pompei nel 1972 con la stampa di Avvenire in teletrasmissione, il primo quotidiano in Italia ad adottare tale tecnica, consentendo la diffusione capillare e puntuale anche nel Mezzogiorno.
Angelo Narducci, dal 1969 al 1984, fa di Avvenire il filo che lega i cattolici italiani. Un legame che realizza per mezzo delle sole parole. E anche se sono cosa povera le parole in una società che segue i miraggi, con il suo Avvenire dichiarava: «Noi ci ostiniamo a lavorare come artigiani sulla parola, perché sia onesta, perché non tradisca, perché corra, in qualche modo liberante, sulle labbra e nasca da coscienze illuminate, severe, semplici. Non cerchiamo il successo, ma interlocutori. Quella cosa povera che sono le parole vogliamo che sia la nostra grande ricchezza, la grande ricchezza dell’uomo» (Avvenire, 15 novembre 1970).
I due premi Angelo Narducci
Sin dal 1975 si celebra a Lerici, la città costiera della provincia di La Spezia, la Festa di Avvenire in cui, dal 1989, viene assegnato il Premio Angelo Narducci a eminenti personalità della comunicazione e della cultura che si sono distinte nell’anno per una informazione con l’anima per una civiltà dell’amore. La festa nacque per volontà dell’allora parroco don Franco Ricciardi aiutato da un gruppo di laici dediti alla diffusione della buona stampa ed è stata portata avanti ininterrottamente anche grazie al successore don Carlo Ricciardi.
Si svolge l’ultima settimana di luglio nel parco giochi adiacente la chiesa parrocchiale di San Francesco il cui programma prevede cene, dibattiti a tema, momenti di approfondimenti, una giornata sacerdotale e una vocazionale; infine, da quando il direttore di Avvenire è scomparso, l’assegnazione del Premio Narducci.
Nel corso degli anni i premiati sono stati: cardinale Ersilio Tonini ed Egidio Banti nel 1989, Gigi De Fabiani (1990), Piero Lugaro (1991), Mario Agnes (1992), Pier Giorgio Liverani (1993), Gianfranco Ravasi (1994), Vittorio Citterich (1995), Luigi Accattoli (1996), monsignor Francesco Ceriotti (1997), monsignor Giuseppe Cacciami (1998), Ettore Bernabei (1999), Mario Agnes (2000), Andrea Riccardi (2001), Pupi Avati (2002), Giuseppe De Rita (2003),Giuseppe De Carli (2004), Gigi De Fabiani (2005), monsignor Giancarlo Maria Bregantini(2006), padre Federico Lombardi (2007), l’ex direttore di Avvenire Dino Boffo (2008), infine l’attrice Claudia Koll (2009).
Altro premio, sempre dedicato a Narducci, è lo Zirè d’oro che viene assegnato a L'Aquila la prima settimana di aprile ogni anno dal 2000. La manifestazione è organizzata dall’Istituto di Abruzzesistica e Dialettologia, e riguarda due sezioni: il premio ai personaggi dell’anno ed il premio letterario nazionale di poesia e narrativa, in lingua e in dialetto. Nell’edizione del 2008 i premi come personaggi dell’anno sono stati assegnati, tra gli altri, alle seguenti personalità abruzzesi, nei rispettivi campi: Ottaviano Del Turco, presidente della Regione Abruzzo (politica), Vittoriano Esposito e Carlo De Matteis (saggistica), Sandro Arduini (arte), Goffredo Palmerini (rapporti con il mondo dell’emigrazione), Francesco Rivera (poesia, alla carriera).
L’edizione 2009 benché dovesse essere l’occasione per ricordare il venticinquesimo dalla scomparsa di Narducci, a causa del terremoto del 6 aprile, non è stata celebrata.