9 dicembre - LIONETTO FABBRI, grande documentarista della cultura popolare.
Limoneto Fabbri (Firenze, 4 aprile 1924 – Firenze, 9 dicembre 2011), regista e documentarista italiano, produttore di opere di fondamentale importanza PER LA DOCUMENTAZIONE STORICA DELLA VITA POPOLARE in Italia nel secondo dopoguerra. Su di lui È CADUTO IL SILENZIO DEL pensiero diffuso dominante.Cresce nel quartiere di San Frediano, a Firenze. Si appassiona alla fotografia tramite il contatto con Magrini, famoso fotografo di Viareggio, città dove si trovava il negozio di giocattoli del padre. Nel 1949 Antonio Basetti Sani, il presidente della Pontificia Commissione di Assistenza, gli commissiona il suo primo film, un documentario sui ragazzi in colonia: Colonie per l'infanzia. Comincia poi a lavorare come reporter di cinegiornale e in seguito come documentarista scientifico.
Vince due volte il Gran Premio Orso d'Oro al Festival internazionale del cinema di Berlino con i documentari Gente lontana (1957) e La lunga raccolta (1958).
Realizza anche due lungometraggi ascrivibili all'interno del genere mondo movie: Malesia magica (1961) e Uomo, uomo, uomo (1977, uscito solo sul mercato giapponese e di Hong Kong nel 1979 col titolo Man, Man, Man).
Nel 2008 il Consiglio regionale della Toscana gli conferisce il Gonfalone d'argento.
Il regista Roberto Schoepflin gli ha dedicato il documentario "Un Ulisse rustico. Il cinema di Lionetto Fabbri" (2010)
Omaggio a Fabbri il regista dimenticato che vinse due Berlino.
Del cinema gli manca tutto. «Gli amici e i nemici. Il rischio. L' imprevisto in agguato».
Anche se dei suoi film, nell' abitazione di via Milanesi, ci sono pochissime tracce. Solo il cartellone dell'edizione giapponese di “Uomo uomo uomo”: un bambino incontrato sulle strade della Cappadocia, nella valle di Goreme, che fuma una sigaretta e nasconde l'età dietro lo sguardo compiaciuto dell' adulto.
Lionello Fabbri oggi ha 85 anni e un grande pudore nei confronti del suo passato di regista super premiato, omaggiato ieri dalle "Giornate del cinema familiare" di Stia.
Vive con la moglie Gabriella, vestale di un' esistenza pazza e meravigliosa che Fabbri racconta con naturalezza. Se non fosse per Gabriella, non mostrerebbe neanche l'Orso d'oro vinto a Berlino nel 1958 per il miglior documentario, La lunga raccolta, che racconta - su musiche di Carlo Savina - la vita delle raccoglitrici d'olive in Calabria.
Quell' anno, presidente della giuria era Frank Capra. Miglior film: Il posto delle fragole di Bergman. Migliore attrice: Anna Magnani. «E pensare che non andai a ritirare il premio. Nei giorni fissati per la mia sosta berlinese - racconta Fabbri - non era compreso quella della premiazione. La medaglia mi arrivò per posta: dovetti andare a ritirarla alla Guardia di finanza, in via della Dogana. E pagare 36 mila lire, che allora erano una fortuna: è la tassa che si pagava per l'importazione dell' oro in Italia».
La lunga raccolta ritrae una condizione femminile subalterna con partecipazione emotiva: troppa, per la censura di quegli anni.
«Un giorno fui chiamato dal ministero. Mi comunicarono che il mio documentario avrebbe potuto partecipare al Festival di Berlino - che già nel 1957 avevo vinto con Gente lontana sui cavatori di pomice delle Eolie - solo se avessi inferto qualche taglio nella parte finale del commento, scritto da Vito Taverna. Dove si metteva in luce la vita disumana condotta da queste donne, trattate come schiave. Al governo questa cosa non piaceva: l' Italia ci faceva una brutta figura. Io cedetti: Berlino era troppo importante. Ma questo è uno dei motivi per cui oggi, ad esempio, odio la falsità della tivù, che ci racconta solo ciò che vuole».
Ogni giorno Fabbri prelevava le raccoglitrici con un pulmino, «le portavo sotto i giganteschi ulivi calabresi: trascorrevano la loro giornata chine per terra, alla fine il compenso era un sacchetto d'olive. Un giorno, mentre stavo facendo delle riprese, queste donne cominciano a fuggire. Erano in arrivo i loro mariti, che controllavano cosa facessero davanti alla macchina da presa, quale rapporto ci fosse tra me e loro. Qualcuna venne picchiata. Il loro guardiano mi prese da parte e mi fece capire che era arrivato il momento di andarmene». Sarà perché è nato e cresciuto in San Frediano («in una famiglia agiata, ma che mi ha insegnato il valore della fatica»), il quartiere degli artigiani, ma a Fabbri è sempre piaciuto raccontare «le vessazioni del lavoro».
I suoi documentari sono testimonianza di professioni scomparse: Antico mestiere, del 1955, è sulle lavandaie di Grassina; Gente del bosco, del 1958, su boscaioli, carbonai e braciai della Maremma, I mammalucchi sui figurinai di Bagni di Lucca.
La passione del ritrarre il vero nacque da ragazzino, quando il padre Angiolo (che a Firenze aprì il cinema Eolo), realizzava giocattoli a Viareggio e il suo negozio era accanto allo studio fotografico Magrini: «Comprai una macchinetta da 15 lire, e cominciai a ritrarre la gente che mi stava intorno». Poi passò al 35 mm, ai reportage per i cinegiornali, ai documentari scientifici tra cui uno sulla Tassidermia girato alla Specola. Per approdare, a fine carriera, a qualcosa di molto vicino ai «mondo movies» di Gualtiero Jacopetti, quei documentari shock tra sesso e violenza che tanto irretirono il pubblico negli anni Sessanta, «solo che nei miei film tutto era assolutamente vero - dice Fabbri - mentre Jacopetti s' inventava le cose».
Ma nell'incontro con il cinema di cassetta qualcosa non funzionò. Le riprese di Malesia magica durarono più del previsto «perché la produzione mandava i soldi un mese sì e uno no. Alla fine dettero la colpa a me: per i miei svolazzi poetici, disse il produttore. Io lasciai baracca e burattini: ecco perché quel film non è montato e completato da me. Ecco perché tutte quelle scene scollacciate».
Uomo uomo uomo invece non obbediva fino in fondo ai canoni del mondo movie: «I produttori volevano sesso al limite della pornografia. A me invece interessava raccontare l' uomo con le sue lotte quotidiane, i suoi tic, le sue delusioni, tra dramma, ironia e grottesco».
Quel film in Italia non uscì mai. In Giappone e a Hong Kong invece fu un grande successo. Oggi Lionetto Fabbri scrive racconti. E ricorda in silenzio, a meno che qualcuno non arrivi a stuzzicarlo. Come la Mediateca del Casentino, che ha organizzato la giornata di ieri a Stia, o il giovane regista fiorentino Roberto Schoepflin che sta concludendo un documentario su di lui, Un Ulisse rustico.
«Realizzare documentari è stato sempre un viaggio verso la conoscenza: mia, ma anche del pubblico», dice Fabbri che ha girato il mondo insieme ai suoi inseparabili collaboratori Alfredo Garuti e Augusto Bertelli, «sempre pronto a pagare di persona, soddisfatto solo dalla mia sete d' avventura e di sapere». Ora chiede solo d' essere ricordato.
(Repubblica 13 settembre 2008)