5 dicembre - PIETRO GERMI: il geniale narratore cinematografico della "mutazione antropologica" del secondo dopoguerra.
Autore: Silvio Restelli. Curatore: don Gabriele Mangiarotti.Regista, attore e sceneggiatore italiano, Pietro Germi (Genova, 14 settembre 1914 – Roma, 5 dicembre 1974) è stato il cantore geniale di quella mutazione antropologica che annuncia IL TRIONFO DEL TOTALITARISMO DI OGGI. Ma la cultura popolare non è facile a morire e rimane sotterranea e attaccata alle sue radici giudaico cristiane e greco romane.
Nel corso degli anni Cinquanta, con la seconda tumultuosa modernizzazione (industrializzazione, migrazioni interne dall'agricoltura alle fabbriche e dal Sud al Nord, televisione) che investì il Paese, si avviò quel processo di omologazione dei comportamenti, della mentalità e del linguaggio che lo stesso Pasolini più tardi avrebbe denunciato come una impressionante "mutazione antropologica", e che poi nei decenni successivi si è completata e diffusa fino ad arrivare all'attuale trionfo del nichilismo.
Non scomparvero solo i dialetti, scomparve la civiltà di cui erano espressione e testimonianza. Di questa rivoluzione culturale Pietro Germi fu il geniale narratore, conservando insieme lucidità di analisi, amore all'umanità che si perdeva in un atteggiamento empatico con i personaggi popolari e di satira sferzante nei confronti di quelli che apparivano come nuovi.
Nel 1955, con “Il ferroviere”, PIETRO GERMI gira una delle sue opere più riuscite ed intense. Ottiene un notevole successo di pubblico ed è considerato uno dei capolavori del regista genovese e una fra le ultime grandi espressioni del neorealismo cinematografico italiano.
Ad esso succedono film come “L'uomo di paglia” (1958), e il capolavoro “Un maledetto imbroglio” (1959) tratto dal romanzo “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” di Gadda: uno dei primi esempi di poliziesco italiano apprezzato, tra gli altri, da Pier Paolo Pasolini.
Nel 1961 spiazza pubblico e critica dando alla sua carriera una svolta imprevedibile: comincia infatti a girare commedie pungenti, satiriche e grottesche. Il capolavoro “Divorzio all'italiana” (1961), in cui tratteggia l'indimenticabile barone Cefalù interpretato da Marcello Mastroianni, irretito dall'adolescente Stefania Sandrelli, apre questa nuova fortunata stagione della sua carriera; il film, scritto con Ennio De Concini e Alfredo Giannetti e incentrato sul delitto d'onore, riceve una nomination all'Oscar per la miglior regia, un'altra a Mastroianni come miglior attore ed ottiene quello per il miglior soggetto e sceneggiatura originale oltre ad altri prestigiosi riconoscimenti. Dal titolo del film ha preso il nome un certo tipo di commedia prodotta in Italia in quel periodo nota come COMMEDIA ALL'ITALIANA.
Germi e i meridionali
Con “Sedotta e abbandonata” (1964) Germi torna per l'ultima volta a girare in Sicilia, una regione legata ad una particolare empatia con il regista ligure. Pietro Germi era un uomo del Nord ma il suo carattere umorale e passionale, nascosto sotto l'apparente scorza di scontrosità e intransigenza, lo faceva essere vicino alla gente meridionale di cui conosceva e criticava severamente il modo di concepire la vita, i pregiudizi e gli errori ma di cui apprezzava anche le qualità innate.
Un rapporto di amore-odio il suo per il Sud e i meridionali che si ritrova in tanti suoi film: nel personaggio del MAFIOSO RISPETTABILE nella sua coerenza ed adesione ad una sua legge che si contrappone alla legge di uno Stato lontano e indifferente, come nel film “In nome della legge” (1949) e nel MALINTESO SENSO SICILIANO DELL'ONORE di “Divorzio all'italiana” e di “Sedotta e abbandonata”, film questi ultimi dove prevale ormai in Germi, che sta perdendo la fiducia in un rinnovamento culturale meridionale, la critica corrosiva verso una società che vede incapace di scuotersi e di abbandonare le sue convinzioni secolari.
Ma anche il Nord non è risparmiato dalla critica corrosiva di Germi. Il 1965 è l'anno del limpido “Signore & signori” con Virna Lisi e Gastone Moschin, satira SULL'IPOCRISIA BORGHESE DI UNA CITTADINA DEL VENETO e girato a Treviso. Il film vince la Palma d'oro al Festival di Cannes ex aequo con “Un uomo, una donna” di Claude Lelouch. Dirige la coppia Ugo Tognazzi e Stefania Sandrelli in “L'immorale” (1967), gradevole film ispirato, pare, alla vicende personali di Vittorio De Sica.
La critica della Sinistra
Germi non ebbe mai buoni rapporti con la critica cinematografica di sinistra che lo giudicava negativamente PIÙ PER LE SUE POSIZIONI POLITICHE CHE PER L'EFFETTIVO VALORE ESTETICO DEI SUOI FILM. Germi in particolare aveva osato, lui antifascista convinto, METTERE IN DISCUSSIONE LO STEREOTIPO CHE LA SINISTRA SI ERA COSTRUITO DELLA FIGURA DELL'OPERAIO.
Per questo motivo, per un lungo periodo sino alla fine degli anni ottanta Germi fu messo da parte dalla intellighentzia del partito comunista che non poteva accettare quello che Germi aveva intuito: la trasformazione sociale della classe operaia.
La colpa del regista era quella, secondo Guido Aristarco, direttore di "Cinema Nuovo" scrivendo de “Il ferroviere”, di avere dato al protagonista Marcocci una configurazione politica che «appartiene a un populismo storicamente sorpassato» con idee risalenti «all'epoca del movimento socialista esordiente [...] con i turatiani del primo dopoguerra...»
INSOMMA IL VERO OPERAIO NON PUÒ ESSERE UN CRUMIRO COME IL FERROVIERE DI GERMI.
Critiche queste della sinistra che venivano contraddette dal successo che la pellicola incontrò presso il pubblico popolare in Italia a Mosca e a Leningrado durante “La settimana del film italiano".
Le stesse critiche, se non più aspre, ritornarono in occasione della prima dell' “Uomo di paglia” dove addirittura il protagonista, UN OPERAIO, VIVEVA UN CLASSICO DRAMMA BORGHESE CHE NON POTEVA APPARTENERGLI.
Scriveva Umberto Barbaro: «Cari amici, a me questi operai di Germi che si comportano senza intelligenza e senza volontà, senza coscienza di classe e senza solidarietà umana - metodici e abitudinari come piccoli borghesi - la cui socialità si esaurisce in partite di caccia domenicali o davanti ai tavoli delle osterie - che non hanno né brio né slanci, sempre musoni e disappetenti, persino nelle cose dell’amore - che ora fanno i crumiri e ora inguaiano qualche brava ragazza, spingendola al suicidio - e poi piangono lagrime di coccodrillo, con le mogli e dentro chiese e sagrestie - questi operai di celluloide, che, se fossero di carne ed ossa, voterebbero per i socialdemocratici e ne approverebbero le alleanze, fino all’estrema destra, non solo sembrano caricature calunniose ma mi urtano maledettamente i nervi».
Anche gli intellettuali di sinistra dissidenti da queste posizioni estreme, che non potevano non apprezzare l'arte cinematografica di Germi, non avevano però il coraggio di dirlo apertamente mantenendosi su una posizione di "qui lo dico e qui lo nego", come Glauco Viazzi, che sosteneva che volesse dire ignorare la realtà sociale non riconoscere che «operai siffatti esistono nella realtà e in gran numero, e non solo tra quelli che poi votano dicì o socialdemocratico, ma anche tra quelli che danno il voto ai partiti di classe», ma insieme diceva che "L’uomo di paglia", valutato artisticamente, non meritasse che «un cauto e moderato elogio».
Altri come Antonello Trombadori, direttore de "Il Contemporaneo", insieme al vicedirettore Carlo Salinari e allo storico Paolo Spriano, scrivevano nel 1956 a Palmiro Togliatti una lettera destinata a rimanere privata - venne resa pubblica solo nel 1990 - con la quale chiedevano al segretario del partito di incontrarsi con Germi per non allontanare un uomo e i "mille come lui" così importante per il movimento antifascista :
«Veniamo proprio in questi giorni dall’aver visto un film italiano assai bello e commovente, certamente popolare: "Il ferroviere", di Pietro Germi. È un’opera di un socialdemocratico militante, eppure è un film pervaso da ogni parte di sincero spirito socialista».