30 Gennaio - MOHANDAS KARAMCHAND GANDHI, la grande anima.
Oggi 30 Gennaio, tra gli altri anniversari importanti (Carlo Maderno, architetto di S. Pietro nel 1629; Carlo I Stuart, primo re condannato a morte nel 1649; Arnold Gehlen antropologo e sociologo nel 1976; Gerald Durrel, zoologo e saggista nel 1995) ricordiamo la figura di fondamentale importanza di GANDHI (Porbandar, 2 ottobre 1869 – Nuova Delhi, 30 gennaio 1948), fondatore del pensiero e del movimento pacifista a partire dalla strettissima relazione tra ricerca della verità e nonviolenza.“…non c’è liberazione per alcuno su questa terra, né per tutta la gente di questa terra, se non attraverso la verità e la nonviolenza, in ogni cammino della vita, senza eccezione”. (M.K.Gandhi, La forza della Verità, vol.1, Sonda, Torino, 1991, p.78).
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Mohandas Karamchard Gandhi, detto il Mahatma (soprannome datogli dal poeta indiano R.Tagore che in sanscrito significa “Grande Anima”), è il fondatore della nonviolenza e il padre dell’indipendenza indiana.
"Non ho nulla di nuovo da insegnare al mondo. La verità e la nonviolenza sono antiche come le montagne."
Il pensiero di Gandhi relativo al satya e all’ahimsa fu influenzato dalla religione, in parte anche dalla lettura del Vangelo.
La verità e la nonviolenza costituiscono le colonne portanti dell'intero pensiero gandhiano: intrecciate indissolubilmente, esse sono state le due vie lungo le quali Gandhi ha cercato di condurre la propria vita e diffondere la sua visione della vita.
La ricerca della verità
«NON SONO CHE UN UMILE CERCATORE DELLA VERITÀ, RISOLUTO A TROVARLA. NON CONSIDERO NESSUN SACRIFICIO TROPPO GRANDE PER VEDERE DIO FACCIA A FACCIA.»
Per Gandhi l'uomo nella sua vita terrena deve cercare di avvicinarsi il più possibile alla verità, che è Dio:
«La mia fervente ricerca mi portò alla massima rivelatrice "La Verità è Dio", invece della solita "Dio è la Verità".»
La fede nella Verità è il fondamento più solido della ricerca di una vita sociale improntata alla nonviolenza, all'amore e alla giustizia.
Il compito del satyagrahi, cioè del rivoluzionario non-violento, è proprio quello di combattere la himsa – il male – nella vita sociale e politica, per realizzare la Verità. Il sentiero che conduce a Dio è dentro ogni uomo, e consiste nel cercare di improntare quanto più la propria vita verso la giustizia e l'amore:
Il cammino verso la verità è irto di ostacoli, e colui che lo intraprende deve essere dotato di una grande volontà, oltre ad essere disposto a compiere grandi sacrifici: emblematico in questo senso è il sottotitolo dell'autobiografia di Gandhi: La storia dei miei esperimenti con la verità.
L’ahimsa
Ahimsa è una parola sanscrita tradotta nelle lingue europee moderne con il termine nonviolenza (a = non, a privativa; "himsa" = "violenza", "ingiuria", "male", danno). Ahimsa significa non usare violenza, non far del male, amare e anche essere giusti nei confronti degli altri. Per Gandhi la ahimsa è un atteggiamento etico derivante dalla fede nella Verità (Satya), il fondamento più solido della ricerca della ahimsa, cioè di una vita sociale improntata alla nonviolenza, all'amore, alla giustizia.
L'amore per il prossimo
L’ahimsa è amore verso il prossimo, sentimento disinteressato di fare il bene degli altri, anche a costo di sacrifici personali: secondo Gandhi tutti gli esseri viventi, in quanto creature di Dio, sono legati tra loro e devono essere uniti da amore fraterno.
Seguendo l'insegnamento cristiano dell'"Ama il prossimo tuo come te stesso" Gandhi predica l'amicizia fraterna tra tutti gli esseri umani, musulmani e indù, uomini e donne, paria e brahmini, in nome dell'amore e dell'uguaglianza:
Ognuno deve essere disposto anche a morire per l'altro, a lottare per le ingiustizie fino in fondo, purché la verità e la giustizia trionfino.
Il rifiuto di ogni violenza: il pacifismo
«Ci sono cose per cui sono disposto a morire, ma non ce ne è nessuna per cui sarei disposto ad uccidere.»
Se da una parte l’ahimsa è amore disinteressato d'altra parte essa è anche rifiuto totale di ogni tipo di odio verso gli altri: Gandhi afferma come anche se sottoposti ai più terribili soprusi, alle più gravi ingiustizie, ai più strazianti dolori, mai e poi mai si deve ricorrere alla violenza verso il prossimo. Si tratta di una negazione assoluta e senza appello di ogni forma di violenza, prima fra tutte la guerra: non è con la forza che si risolvono le controversie, ma con la volontà e il coraggio di sopportare il male pur di vincere l'ingiustizia. La nonviolenza si contrappone alle pratiche di giustizia che avevano regolato per secoli la storia, a partire dalla
Legge del taglione
("occhio per occhio, dente per dente"):
«Occhio per occhio... e il mondo diventa cieco.»
In questo senso Gandhi riveste un ruolo fondamentale nell'evolversi del pensiero pacifista, per il totale rifiuto della violenza e della guerra come strumenti per la soluzione di conflitti:
«Non c'è strada che porti alla pace che non sia la pace, l'intelligenza e la verità.»
Come pacifista Gandhi si oppose strenuamente a qualsiasi ipotesi di risoluzione bellica dei conflitti tra stati o interni ad essi: nonostante l'appoggio alla Gran Bretagna durante la seconda guerra mondiale Gandhi cercò sempre di mediare e predicare la fine delle ostilità tra le parti, pur sempre riconoscendo come il nazismo costituisse un pericolo per il mondo intero. A questo proposito Gandhi fu, fin dall'inizio della sua attività politica, un forte sostenitore del disarmo, che considerava l'unico modo per evitare la catastrofe della guerra; a tal proposito suonano terribilmente profetiche le parole che pronunciò nel 1925 nel corso di una discussione sulle reazioni politiche alla Prima guerra mondiale:
«L'ultima guerra è stata una guerra espansionistica, per entrambe le parti. È stata una guerra per spartirsi il bottino dello sfruttamento delle razze più deboli – chiamato eufemisticamente mercato mondiale... Prima che cominci in Europa un disarmo generale - che prima o poi dovrà essere realizzato, se l'Europa non vuole andare incontro al suicidio – qualche nazione deve avere il coraggio di procedere autonomamente al proprio disarmo, accettando i gravi rischi che ciò comporta.»
Non violenza e progresso
Gandhi ha posto la nonviolenza al centro della sua concezione del progresso umano: l'essere umano è sia animale sia spirito. Come animale l'essere umano basa il suo rapporto col mondo sulla trasformazione materiale dei corpi e dunque sull'uso della forza, sulla himsa; come spirito l'essere umano fonda le sue relazioni col mondo sulla comunicazione verbale e sulla persuasione razionale, dunque sulla ahimsa.
Il progresso è l'umanizzazione dell'uomo, la graduale affermazione della sua identità specifica, del suo essere spirito. Il progresso è di conseguenza la graduale riduzione del tasso di violenza (himsa) presente nei rapporti umani e la graduale affermazione della verità e della ahimsa, cioè della nonviolenza, del bene, della giustizia, nella vita sociale e politica.
Da questi concetti deriva naturalmente come per seguire la via della ahimsa sia preferibile per l'uomo distaccarsi dai bisogni materiali, da cui derivano i concetti sopraesposti di castità, povertà e digiuno.
Giustizia e violenza
Secondo Gandhi la giustizia risiede nella riduzione del tasso di violenza presente nella società. Se si utilizza la violenza, anche se per un breve periodo, per ottenere giustizia questa porta inevitabilmente a un aumento del tasso di violenza. Il mezzo deve essere coerente con il fine; non si può adottare un mezzo che porta alla negazione del fine. Se il fine della lotta per la giustizia è la ahimsa, cioè la negazione della violenza nei rapporti umani, non lo si può realizzare facendo ricorso alla violenza.
A questo proposito, rivolgendosi ai bolscevichi, Gandhi scrisse:
«Io non credo nelle vittorie ottenute in fretta, con la violenza. Gli amici bolscevichi che guardano con interesse al mio insegnamento, devono comprendere che per quanto possa condividere e ammirare le aspirazioni e i sentimenti nobili, io sono inflessibilmente contrario ai metodi violenti, anche quando vengono posti al servizio della causa più nobile... L'esperienza infatti mi insegna che dalla falsità e dalla violenza non possono scaturire risultati positivi duraturi.»
L'affermazione della Verità e della non violenza
Secondo Gandhi l'unico mezzo con il quale l'uomo giusto può proporsi di affermare la Verità e dunque la ahimsa nei rapporti umani è la persuasione razionale di coloro che con i loro comportamenti violenti causano ingiustizia:
«Bisogna convertire l'avversario ad aprire le sue orecchie alla voce della ragione.»
I mezzi della persuasione (conversione, non costrizione), per Gandhi, sono essenzialmente due: la discussione e la lotta non violenta. La discussione consiste nel battersi contro un'ingiustizia sociale e politica appellandosi alle autorità ingiuste e all'opinione pubblica.
La lotta non-violenta (satyagraha) è la dimostrazione pratica della Verità; essa dimostra la superiorità morale del ribelle, il suo essere dalla parte della verità. Ed è a questo punto che il pensiero filosofico e morale di Gandhi si unisce con quello politico: la nonviolenza per Gandhi è un mezzo per trovare la verità, che è il suo fine, e il satyagraha è l'arma con la quale l'uomo non-violento lotta.
La differenza tra questi due metodi di affermazione della verità sta nel fatto che, mentre la discussione fa appello esclusivamente alla ragione dell'avversario attraverso la dimostrazione teorica della sua ingiustizia, la lotta non-violenta fa appello anche al cuore dell'ingiusto, perché contiene una portentosa dimostrazione pratica della sua ingiustizia.
Visione mistica
Gandhi identificò sempre Dio con la Verità, ma la sua idea di Dio non si limitava ad un concetto filosofico, trascendendo essa ogni definizione:
«Per me Dio è Verità e Amore; Dio è etica e moralità; Dio è assenza di paura. Dio è la fonte della Luce e della Vita e tuttavia Egli è al di sopra e al di là di queste. Dio è coscienza. È lo stesso ateismo degli atei. Perché, nel Suo infinito amore, Dio permette all'ateo di esistere. Egli è il cercatore di cuori. [...] È un Dio personale per quelli che hanno bisogno della Sua personale presenza. È un Dio in carne ed ossa per quelli che hanno bisogno della Sua carezza. È la più pura essenza. [...] È tutte le cose per tutti gli uomini. È in noi e tuttavia al di sopra e al di là di noi.»
Per descrivere il legame tra Dio e le creature, Gandhi utilizzava l'immagine del sole e dei raggi:
«Credo nell'assoluta unicità di Dio e, perciò, anche dell'umanità. Perché, allora, abbiamo tanti corpi? Abbiamo una sola anima. La rifrazione moltiplica i raggi del sole. Ma la loro provenienza è la stessa.»
La fede in Dio aveva per lui un'importanza fondamentale:
«Sono più sicuro della Sua esistenza che del fatto che voi e io stiamo seduti in questa stanza. E posso anche affermare che potrei vivere senz'aria e senz'acqua, ma non senza di Lui. Potete strapparmi gli occhi, eppure non mi ucciderete. Ma distruggete la mia fede in Dio, e io sono morto»
Gandhi considerava la preghiera un'azione più «reale» di ogni altra.
«Quando non c'è più speranza, "quando cessano gli aiuti e manca la consolazione", scopro che l'aiuto mi arriva, non so da dove. Le suppliche, l'adorazione, la preghiera non sono superstizioni; sono azioni più reali che il mangiare, il bere, il sedersi o il camminare. Non è esagerazione affermare che solo esse sono vere e tutto il resto è illusione.»
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