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30 agosto - ILDEFONSO SCHUSTER, monaco, arcivescovo e santo.

Autore: Restelli Silvio. Curatore: Mangiarotti don Gabriele.

Grande pastore della Chiesa Cattolica (ebbe come modello Carlo Borromeo) (Roma, 18 gennaio 1880 – Venegono Inferiore, 30 agosto 1954), visse e operò in un periodo tanto cruciale della storia italiana e mondiale.
Fu arcivescovo di Milano dal 1929 al 1954. È stato proclamato beato da Giovanni Paolo II nel 1996.


Dirà san Giovanni Paolo II durante la cerimonia di beatificazione il 13 maggio del 1996:
"Il programma di san Benedetto "Ora, labora et noli contristari" può essere assunto come traccia per interpretare il suo lungo ministero episcopale a servizio del popolo ambrosiano.

"Ora", innanzitutto: la preghiera intensa, diffusa nella giornata, nutrita di respiro ecclesiale divenne il fondamento del suo instancabile ministero. Il popolo, vedendolo pregare, sentiva di trovarsi di fronte ad un santo.

L’altro punto del programma era il benedettino "labora": il Beato Alfredo Ildefonso volle che la sua vita fosse consumata dallo zelo pastorale, espresso in molteplici forme e modalità. Ricordo le cinque visite pastorali alle numerose parrocchie della vasta Arcidiocesi milanese; la partecipazione alla Santa Messa Capitolare della Cattedrale in ogni domenica e solennità; i cinque sinodi diocesani; il concilio provinciale nono; i sinodi minori, celebrati quasi ogni anno; i congressi eucaristici, mariani, catechistici, liturgici, delle Confraternite del Santissimo Sacramento e degli Oratori, vere testimonianze corali di fede; la celebrazione di particolari centenari, mezzo per appropriate catechesi; la presenza ovunque ci fosse da consolare o da portare aiuto, anche mediante concrete iniziative caritative ed assistenziali, soprattutto, ma non solo, durante il secondo conflitto mondiale, per la cui conclusione si adoperò con fiducioso coraggio e cristiana pietà; la costruzione di parecchie nuove chiese, per le necessità religiose sempre crescenti del popolo di Dio.

Sostenitore convinto del ruolo formativo degli oratori e della necessità dell’insegnamento della dottrina cristiana, volle che lo stesso zelo pastorale animasse il clero ed i laici, soprattutto coloro che appartenevano all’Azione Cattolica, da lui difesa con fermezza da ogni tentativo di ingerenza politica.
Un’amorevole e vigile attenzione dedicò al Seminario diocesano, la cui sede principale di Venegono Inferiore, da lui voluta ed inaugurata, conserva con venerazione la stanza in cui concluse la sua vita terrena, stanza in cui anch’io ho avuto la grazia di sostare nel 1983.

Terzo elemento della sua spiritualità fu il "noli contristari": la gioia, la fiducia, la speranza, furono le componenti di un atteggiamento spirituale in lui così evidente da "contagiare" anche chi gli si avvicinava.
Giunto al termine della sua laboriosa giornata terrena, scriveva ai giovani dell’Azione Cattolica:
"Che dirvi, miei cari giovani, che già non vi ho detto? ... Dio ci benedica tutti e siate sempre ottimisti" ("Rivista Diocesana Milanese" 43 (1954), 269). (Giovanni Paolo II, Discorso ai pellegrini convenuti a Roma per la beatificazione del Cardinale Alfredo Ildefonso Schuster)

Dopo essersi illuso (come molti altri) sulla possibilità di "cristianizzare il fascismo" attraverso la collaborazione Schuster abbandonò tale illusione a seguito dell'approvazione delle “Leggi razziali" fasciste tra settembre e novembre 1938.

Il 13 novembre 1938 il cardinale Schuster dal pulpito del Duomo di Milano, per l'inizio dell'Avvento ambrosiano, pronunciò un'omelia che condannava tali provvedimenti, denunciandone l'ideologia neo-pagana:
«È nata all'estero e serpeggia un po' dovunque una specie di eresia, che non solamente attenta alle fondamenta soprannaturali della cattolica Chiesa, ma materializza nel sangue umano i concetti spirituali di individuo, di Nazione e di Patria, rinnega all'umanità ogni altro valore spirituale, e costituisce così un pericolo internazionale non minore di quello dello stesso bolscevismo. È il cosiddetto razzismo».

Durante il periodo bellico sostiene attivamente la Carità dell'Arcivescovo, dando il primo incarico di responsabile a Carlo Bianchi, il quale aveva avuto l'idea da una sua lettera pastorale. Carlo Bianchi morirà a Fossoli, fucilato.

Alla caduta della Repubblica Sociale Italiana promosse un incontro in Arcivescovado tra Benito Mussolini e i rappresentanti partigiani, nel tentativo di concordare una resa senza spargimento di sangue. Propose anche a Mussolini di fermarsi in Arcivescovado, sotto la sua protezione, per poi consegnarsi agli Alleati. Il Duce però rifiutò, preferendo tentare la fuga.

Quando il 29 aprile 1945 i corpi fucilati di Mussolini e degli altri gerarchi fascisti furono appesi in piazzale Loreto, Schuster informò Riccardo Lombardi, prefetto su nomina del Comitato di Liberazione Nazionale, che egli stesso «in porpora» avrebbe dato la benedizione alle salme «perché si deve aver rispetto di qualsiasi cadavere». Allo stesso modo il 14 agosto 1944, quando i tedeschi avevano trucidato quattordici partigiani e avevano abbandonato i corpi nello stesso luogo, Schuster aveva scritto all'ambasciatore tedesco chiedendo che i cadaveri fossero rimossi, «altrimenti sarebbe andato lui a trasportarli».
Anziano e malato, si ritirò nel dopoguerra nel seminario di Venegono, dove si spense il 30 agosto 1954.

Le parole più appropriate su di lui - credo - le ha pronunciate David M. Turoldo, in risposta a quanti - seguendo il pensiero diffuso dominante - cercano di inquadrarlo in etichette ideologiche o politiche.
«Sbagliano coloro che lo pensano coinvolto nel fascismo o altro. Schuster non era né fascista, né antifascista: e non era neppure neutrale. Schuster era un monaco e basta. Monaco è uno che ha solo Dio in testa. Un "monaco in battaglia" dopo essere stato "soldato nel monastero"»
Vedi qui.