4 agosto - GIOVANNI MARIA VIANNEY, il santo curato d'Ars.

GIOVANNI MARIA VIANNEY (Dardilly, 8 maggio 1786 – Ars-sur-Formans, 4 agosto 1859) fu proclamato santo da Pio XI e patrono dei parroci, modello di santità raggiunta nella cura pastorale che valorizza il sacramento della riconciliazione, eccone la presentazione nella sua forte attualità fatta da papa Benedetto XVI in occasione dell'indizione dell'anno sacerdotale il 16 giugno 2009 per il 150 anniversario del suo “dies natalis”

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"Nel mondo di oggi, come nei difficili tempi del Curato d’Ars, occorre che i presbiteri nella loro vita e azione si distinguano per una forte testimonianza evangelica.
Ha giustamente osservato Paolo VI: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”.
Perché non nasca un vuoto esistenziale in noi e non sia compromessa l’efficacia del nostro ministero, occorre che ci interroghiamo sempre di nuovo: “Siamo veramente pervasi dalla Parola di Dio? È vero che essa è il nutrimento di cui viviamo, più di quanto lo siano il pane e le cose di questo mondo? La conosciamo davvero? La amiamo? Ci occupiamo interiormente di questa Parola al punto che essa realmente dia un’impronta alla nostra vita e formi il nostro pensiero?”.

Come Gesù chiamò i Dodici perché stessero con Lui (cfr Mc 3,14) e solo dopo li mandò a predicare, così anche ai giorni nostri i sacerdoti sono chiamati ad assimilare quel “nuovo stile di vita” che è stato inaugurato dal Signore Gesù ed è stato fatto proprio dagli Apostoli.

Fu proprio l’adesione senza riserve a questo “nuovo stile di vita” che caratterizzò l’impegno ministeriale del Curato d’Ars.

Il Papa Giovanni XXIII nella Lettera enciclica “Sacerdotii nostri primordia”, pubblicata nel 1959, primo centenario della morte di san Giovanni Maria Vianney, ne presentava la fisionomia ascetica con particolare riferimento al tema dei “tre consigli evangelici”, giudicati necessari anche per i presbiteri:
“Se, per raggiungere questa santità di vita, la pratica dei consigli evangelici non è imposta al sacerdote in virtù dello stato clericale, essa si presenta nondimeno a lui, come a tutti i discepoli del Signore, come la via regolare della santificazione cristiana”.
Il Curato d’Ars seppe vivere i “consigli evangelici” nelle modalità adatte alla sua condizione di presbitero.

La sua povertà, infatti, non fu quella di un religioso o di un monaco, ma quella richiesta ad un prete: pur maneggiando molto denaro (dato che i pellegrini più facoltosi non mancavano di interessarsi alle sue opere di carità), egli sapeva che tutto era donato alla sua chiesa, ai suoi poveri, ai suoi orfanelli, alle ragazze della sua “Providence”, alle sue famiglie più disagiate.
Perciò egli “era ricco per dare agli altri ed era molto povero per se stesso”. Spiegava: “Il mio segreto è semplice: dare tutto e non conservare niente”. Quando si trovava con le mani vuote, ai poveri che si rivolgevano a lui diceva contento: “Oggi sono povero come voi, sono uno dei vostri”. Così, alla fine della vita, poté affermare con assoluta serenità:
“Non ho più niente. Il buon Dio ora può chiamarmi quando vuole!”.

Anche la sua castità era quella richiesta a un prete per il suo ministero. Si può dire che era la castità conveniente a chi deve toccare abitualmente l’Eucaristia e abitualmente la guarda con tutto il trasporto del cuore e con lo stesso trasporto la dona ai suoi fedeli.
Dicevano di lui che “la castità brillava nel suo sguardo”, e i fedeli se ne accorgevano quando egli si volgeva a guardare il tabernacolo con gli occhi di un innamorato.

Anche l’obbedienza di san Giovanni Maria Vianney fu tutta incarnata nella sofferta adesione alle quotidiane esigenze del suo ministero. È noto quanto egli fosse tormentato dal pensiero della propria inadeguatezza al ministero parrocchiale e dal desiderio di fuggire “a piangere la sua povera vita, in solitudine”.
Solo l’obbedienza e la passione per le anime riuscivano a convincerlo a restare al suo posto. A se stesso e ai suoi fedeli spiegava: “Non ci sono due maniere buone di servire Dio. Ce n’è una sola: servirlo come lui vuole essere servito”. La regola d’oro per una vita obbediente gli sembrava questa: “Fare solo ciò che può essere offerto al buon Dio”

Nella sua opera fondamentale “L’anima di ogni apostolato”, il benedettino dom Jean-Baptiste Chautard (1858-1935) riferisce questo episodio significativo.
Un avvocato anticlericale va ad Ars sperando di ridere a spese di “quell’ignorante del parroco”. Ma torna a casa convertito. Agli amici che gli chiedono: “Ma dunque che cos’hai visto ad Ars?”, risponde: ”Ho visto Dio in un uomo”.
Cioè: la presenza di Dio si vedeva in San Giovanni Maria Vianney. Chiunque poteva accorgersi che Dio era con lui, anzi era in lui.
Mi sembra che la testimonianza dell’avvocato anticlericale sul curato d’Ars – “Ho visto Dio in un uomo” – sia uno dei più gloriosi omaggi che si possano rendere a una creatura umana.

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