29 dicembre - SAN TOMMASO BECKET, uomo di Chiesa e di servizio e non di potere.
Autore: Silvio Restelli. Curatore: don Gabriele Mangiarotti.Oggi ricordiamo un uomo inglese, cancelliere del re, vescovo della Chiesa e martire san Tommaso Becket (Londra, 21 dicembre 1118 – Canterbury, 29 dicembre 1170).
Concludere l’anno con un martire è particolarmente indicato purtroppo dalla tragica situazione dei nostri fratelli in Medio Oriente. Nel secolo scorso poi sono stati milioni in tutte le parti del mondo i caduti, martiri delle persecuzioni contro la fede cristiana. E questo martirologio, già di per sé tragicamente lungo, viene arricchito continuamente, richiamandoci a tenere “fisso lo sguardo su Gesù Cristo, autore e perfezionatore della nostra fede” (Ebrei 12,2) per superare le prove piccole e grandi della nostra vita spirituale.
Anche Thomas Becket è uno di questi testimoni, anch’egli ebbe il suo carico di sofferenze e difficoltà lungo la sua vita a causa della sua fede. Ma perseverò fino alla fine, coronandola con il sigillo del proprio sangue.
È UN MARTIRE DELLA CHIESA, ED UN TESTIMONE DI CORAGGIO E DI COERENZA DI FRONTE ALLE PREPOTENZE DEL POTERE POLITICO.
Nel 1154 diventò arcidiacono della diocesi e nel 1155 il neo re, Enrico II, lo nominò cancelliere del regno. Era arrivato al vertice della carriera: numero 2, dopo il re.
I due inoltre erano legati da sincera amicizia e collaborazione.
Nella sua nuova carica Thomas si trovava a proprio agio e lavorava volentieri, anche perché ad essa era legato un grande potere, che significava immancabilmente un lungo e piacevole corollario di onori, lusso, magnificenza, divertimenti. Non disdegnava di andare a caccia, era infatti un abile falconiere. Ed era diventato anche, provetto nell’uso delle armi.
Alla morte dell’arcivescovo di Canterbury Teobaldo nel 1161, fu scelto da re Enrico come suo candidato. Chi c’era più degno di lui? Davanti a tanto sponsor poteva il suo numero due dirgli di no? Thomas infatti gli disse:
“Se Dio mi permettesse di essere arcivescovo di Canterbury, perderei la benevolenza di vostra maestà, e l’affetto di cui mi onorate si trasformerebbe in odio, giacché diverse vostre azioni volte a pregiudicare i diritti della Chiesa mi fanno temere che un giorno potreste chiedermi qualcosa che non potrei accettare, e gli invidiosi non mancherebbero di considerarlo un segno di conflitto senza fine tra di noi”.
Parole profetiche. Ma il re Enrico non diede loro importanza e insistette. Thomas declinò lo stesso l’invito regale, finché non intervenne il nunzio apostolico il card. Enrico di Pisa. Questi, non il re, lo convinse ad accettare il prestigioso incarico a vescovo di Canterbury.
Come primo atto egli si trasferì da Londra a Canterbury: iniziava così con un gesto concreto e ben visibile la SUA NUOVA MISSIONE E IL PROPRIO CAMBIAMENTO. Che fu coraggioso e totale. Era diventato un uomo di Chiesa, cioè di servizio, non più uomo di potere, secondo la logica di questo mondo. Non ci fu un semplice “lifting” per così dire, andò molto più in profondità: VOLEVA RAPPRESENTARE GESÙ CRISTO COME PASTORE DEL PROPRIO GREGGE, E VOLLE ASSOMIGLIARGLI IL PIÙ POSSIBILE NELLA PROPRIA VITA QUOTIDIANA.
Sobrietà nel mangiare e vestire, preghiera e meditazione della Scrittura ogni giorno, distribuzione ai poveri delle elemosine che furono più abbondanti che quelle del predecessore, visite agli ammalati e agli ospedali. Dalla sua elezione condusse quasi una vita monastica.
Ma ben presto vennero a galla i conflitti con il re. L’occasione furono le Costituzioni di Clarendon, con le quali la monarchia voleva limitare fortemente l'indipendenza e l'autonomia della Chiesa Cattolica.
Di che si trattava? Era il tentativo di codificazione, per iscritto, di antiche usanze e consuetudini del regno, che qualche volta erano in contrasto con la legislazione canonica che ne limitavano la libertà e l’indipendenza di azione. La polemica che ne scaturì era di ordine giuridico: l’arcivescovo difendeva le posizioni acquisite dalla Chiesa, secondo il diritto canonico. Il re e i suoi giuristi facevano riferimento a consuetudini feudali, che andavano a beneficio del potere regale (nascita del diritto civile). QUESTE COSTITUZIONI SI POSSONO CONSIDERARE ANCHE LA PRIMA DICHIARAZIONE LEGALE DELLA COMMON LAW (LEGGE COMUNE) INGLESE.
Thomas all’inizio fu conciliante, poi appresi i dettagli (il diavolo si nasconde sempre nelle clausole) le respinse affermando: “Nel nome di Dio onnipotente, non porrò il mio sigillo”.
Era come una dichiarazione di ostilità nei riguardi del re, e l’inizio del confronto tra i due. Finalmente arrivò anche il sostegno da Roma: il papa Alessandro III respinse vari provvedimenti dell’assise di Clarendon, e nello stesso tempo PREGÒ THOMAS, CHE AVEVA DATO LE DIMISSIONI, DI CONTINUARE.
Durante le trattative tra papa e re, fu ospite in un monastero cistercense e poi anche del re di Francia. Il suo soggiorno all’estero (era un vero esilio) durò sei anni.
Tornato a Canterbury fu bene accolto dalla popolazione, ma non dalla corte e dal re, ormai diventato suo nemico. Questi un giorno esclamò ad alta voce che qualcuno lo liberasse da quel vescovo. Non si conoscono le parole esatte, ma sembra che non intendesse o ancor meno che ordinasse, indirettamente, la sua eliminazione fisica. Invece quattro cavalieri che lo sentirono pensarono di avere avuto mano libera.
E partirono alla volta di Canterbury, per la soluzione finale del confronto.
Entrarono in chiesa con la forza gridando “Dov’è Thomas il traditore?”. Questi rispose: “Sono qui, ma non sono un traditore, bensì un vescovo e sacerdote di Dio”. E fu brutalmente ucciso a coltellate. L’assassinio si consumava nella cattedrale (episodio questo che fu fonte di ispirazione e rievocazione letteraria per molti artisti, tra i più famosi T. S. Eliot col suo "Assassinio nella cattedrale").
L’orrenda notizia si sparse velocemente per tutta l’Europa. Il re Enrico II ne fu profondamente addolorato e digiunò per molti giorni in segno di sincero dolore. “Thomas non aveva vissuto come un santo, ma morì come tale, un uomo dai molti aspetti che cercava la gloria, che trovò alla fine, con coraggio e abnegazione” (A. Butler).