28 gennaio - DONALD WOODS WINNICOTT: la centralità del rapporto madre-bambino.
Autore: Restelli Silvio. Curatore: Mangiarotti don Gabriele.DONALD WINNICOTT (Plymouth, 7 aprile 1896 – Londra, 28 gennaio 1971), medico e psicoanalista inglese, famoso per le teorie delle relazioni oggettuali.
Studiò medicina a Cambridge laureandosi nel 1923. Nello stesso anno cominciò un'analisi personale con James Strachey (il traduttore inglese delle opere di Freud), e successivamente, diventato psicoanalista della Società Psicoanalitica Britannica, continuò ulteriormente la sua analisi con Joan Rivière, quest'ultima di impostazione prettamente kleiniana.
Winnicott, che inizialmente abbracciò le concezioni della Klein circa il rapporto madre-bambino, poi si discostò dal suo pensiero divenendo meno ortodosso ed entrando nel gruppo degli indipendenti britannici (il cosiddetto middle group, gruppo di mezzo), passando alla storia come uno dei pionieri della scuola sulle “relazioni oggettuali”. La sua concomitante professione di pediatra lo porta a osservare a lungo i bambini e la loro interazione con la madre, permettendogli così di elaborare originali teorie sullo sviluppo psicologico ed emotivo del bambino.
Concetti introdotti da Winnicott
L'holding
Holding è un termine introdotto da Winnicott per definire la capacità della madre di fungere da contenitore delle angosce del bambino. L'holding è la capacità di contenimento della madre sufficientemente buona, la quale sa istintivamente quando intervenire, dando amore al bambino, e quando invece mettersi da parte nel momento in cui il bambino non ha bisogno di lei. All'interno dell'holding il bambino può sperimentare l'onnipotenza soggettiva, cioé la sensazione di essere lui, con i suoi desideri, a creare ogni cosa. Questa esperienza è necessaria ed indispensabile per il sano sviluppo dell'individuo, e può verificarsi soltanto all'interno di uno spazio fisico e psichico (un holding) che possa permettere la sua espressione.
Lo spazio transizionale
Per Winnicott il bambino inizialmente vive in una realtà costruita soggettivamente, dove tutto (compresa la madre) è sotto il suo controllo onnipotente (onnipotenza soggettiva); in questa realtà il bambino crede di costruire la madre con i suoi desideri. Gradualmente dovrà abbandonare questa visione edonistica per abbracciare una visione dello spazio oggettivo condiviso, dove la madre esiste indipendentemente dalla volontà egoistica del bambino. Tuttavia, tra le due forme di realtà ne esiste una terza, lo spazio transizionale, il quale è sia costruito soggettivamente che percepito oggettivamente. L'esperienza transizionale (della quale fanno parte gli oggetti transizionali), avendo la caratteristica di entrambe le forme di realtà, permette al bambino di spostarsi verso una realtà oggettiva condivisa, senza esserne traumatizzato. Inoltre permette lo sviluppo della capacità di vivere nella realtà oggettiva riuscendo però a conservare il nucleo dell'onnipotenza soggettiva, che permetterà l'espressione dell'originalità e della passione nell'individuo.
Per Winnicott l'esperienza transizionale è una sorta di luogo psichico dove il bambino può giocare creativamente, e per questo motivo Winnicott assimila le esperienze culturali umane alle esperienze transizionali.?In ogni caso, lo spazio transizionale non consiste solo in una fase evolutiva dello sviluppo umano, ma è anche e soprattutto lo spazio potenziale tra individuo e ambiente, in cui si modella, in "tutte le età successive dell'uomo" ogni forma di processo mentale creativo, che ci permette di sviluppare un'autonomia riflessiva personale e di cogliere l'opportunità che ciascuno di noi vuole concedersi, di dare un nuovo e personale senso alla propria esistenza e al mondo, a partire dalle pregresse esperienze sociali e culturali.
L'oggetto transizionale
All'interno dello spazio transizionale acquista notevole importanza l'oggetto transizionale. Questo termine denota un oggetto, generalmente di qualità tattile-pressoria (lembo di coperta, peluche, pezzo di stoffa. ecc.) che viene acquisito dal bambino per aiutarlo nel suo sviluppo psicologico; esso viene ad essere il primo oggetto assimilato dal bambino come "non-me". Tale oggetto, rappresentando l'unione con la madre, ne permette anche il distacco e l'autonomia da essa, un processo definito come individuazione-separazione dalla Mahler. Quindi l'oggetto transizionale permette l'ammortizzazione del passaggio dallo stadio dell'onnipotenza soggettiva a quello della realtà oggettiva condivisa, e lo fa rappresentando in maniera pre-simbolica l'area (o spazio) transizionale, uno spazio dove la madre non è né costruita soggettivamente né esistente oggettivamente. Il fenomeno (o oggetto) transizionale non è quindi né percepito onnipotentemente né visto come appartenente alla realtà oggettiva, venendosi a trovare in uno spazio di mezzo, lo spazio potenziale, situato tra il sé e il non-sé.
La madre sufficientemente buona
Winicott definisce madre sufficientemente buona quella madre che, in maniera istintiva, possiede le capacità di accudire il bambino misurando opportunamente il livello della sua frustrazione. La madre sufficientemente buona possiede la cosiddetta preoccupazione materna primaria, uno stato psicologico indispensabile perché essa possa fornire le cure adeguate al piccolo e che le permette di "fornire il mondo" al bambino con puntualità, facendogli sperimentare l'onnipotenza soggettiva. Tra i compiti della madre, infatti, vi è anche quello di presentare il mondo al bambino (presentazione dell'oggetto); la madre sufficientemente buona sa istintivamente quando presentare gli oggetti al piccolo, quando accudirlo, quando e come frustrarlo facendo sì che il suo sviluppo proceda senza intoppi e senza traumi per lui soverchianti. Allo stesso modo Winnicott parla di madre non sufficientemente buona intendendo quella madre, in genere vittima di psicopatologie depressive o simili, che fornisce al bambino cure senza creatività, senza adattarsi a lui ma in maniera meccanica; con una madre non sufficientemente buona il bambino smetterà presto di vivere nell'illusione che sia lui a creare e distruggere gli oggetti, e vivrà in un mondo, presentatogli dalla madre, alla quale egli dovrà essere accondiscendente: la creatività nascente potrebbe cosi essere uccisa. Anziché essere la madre ad adattarsi al piccolo, in questo caso sarà il piccolo a doversi adattare alla madre (o alla principale figura di accudimento). La madre non sufficientemente buona può distruggere in maniera traumatica l'esperienza dell'onnipotenza soggettiva del bambino, favorendo in particolare lo sviluppo di un falso sé.
Il falso sé
Winnicott intendeva indicare, con questo termine, le situazioni nelle quali il paziente avvertiva un pesante senso di inutilità soggettiva, di non esistenza. Il falso sé deriverebbe da un rapporto primario madre-bambino insoddisfacente, quindi da una madre che non risponde in maniera soddisfacente ai bisogni del bambino. In questo caso non si parla tanto di bisogni fisiologici, quanto dei bisogni di crescita, di onnipotenza, di creazione e distruzione dell'oggetto. Inizialmente, infatti, è importante che il bambino sperimenti l'onnipotenza soggettiva, vivendo nell'illusione di essere lui (con i suoi desideri) a creare e distruggere la madre. Successivamente, grazie all'esperienza e all'oggetto transizionale, potrà muoversi verso un terreno di realtà condivisa, meno egocentrico. Per fare ciò ha bisogno di una madre sufficientemente buona che lo sottoponga a delle frustrazioni ottimali, che il piccolo possa recepire in maniera non traumatizzante.
La madre non sufficientemente buona, invece, interrompe bruscamente l'onnipotenza soggettiva del bambino, tarpandone le ali e impedendo la crescita del vero sé: è in questo modo che si forma il falso sé, un sé privo di energia soggettiva, fatto di accondiscendenze, non creativo, senza spinta. Al contrario, il vero sé è quello nato dal normale superamento dell'onnipotenza soggettiva, la quale rimane come base del vero nucleo della personalità, la fonte di energia dalla quale si sviluppano gli aspetti periferici della personalità. Il falso sé viene quindi a configurarsi come una patologia legata ad un deficit presente nell'ambiente del bambino, ad una carenza nelle cure materne; si passa così da una teoria del conflitto, tipica della psicoanalisi freudiana, della psicologia dell'Io e delle concezioni kleiniane, a una teoria del deficit che presuppone l'assenza o la carenza di importanti elementi dello sviluppo.