27 novembre - QUINTO ORAZIO FLACCO - Carpe diem.
Autore: Silvio Restelli. Curatore: don Gabriele Mangiarotti.Maestro di eleganza stilistica e dotato di inusuale ironia, seppe affrontare le vicissitudini politiche e civili del suo tempo da placido epicureo amante dei piaceri della vita, dettando quelli che per molti sono ancora i canoni dell'ars vivendi.
«Dum loquimur fugerit invida
aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.»
«Mentre parliamo il tempo, invidioso, sarà già fuggito.
Cogli l'attimo, fiducioso il meno possibile nel domani».(Orazio)
Oggi 27 Novembre ricordiamo un poeta latino, Quinto Orazio Flacco, (Venosa, 8 dicembre 65 a.C. – Roma, 27 novembre 8 a.C.) particolarmente attuale nel tempo di "cambiamento d'epoca" che viviamo.
Il tempo è in una fuga perpetua, che non lascia adito a speranze future: occorre sfruttare al massimo il tempo che ci è concesso, e considerare ogni momento che ci è dato come un dono, così come afferma nell’Ode 9, del libro I (vv.14-15: "...Quem Fors dierum cumque dabit, lucro/Adpone..." - e qualunque giorno ti darà il destino consideralo un guadagno).
La sua concezione della fuga temporis sarà un perfetto modello per un grande poeta italiano come Francesco Petrarca, che, dopo aver letto classici come Orazio, Seneca e Agostino, lamenterà, nel Canzoniere, la caducità del tempo e la sua essenza fuggitiva in liriche come "La vita fugge via e non s'arresta un'ora", molto vicina alla poetica oraziana.
È chiaro dai suoi versi quanto la visione della morte condizioni in modo netto l’esperienza di vita del poeta, che ci viene vivacemente descritta dalla sua poesia: la morte non è, al contrario di quanto si crede, un evento che ci attende alla fine del nostro percorso vitale, ma è qualcosa che ci lasciamo dietro ogni giorno e dietro ogni momento, che estingue e brucia, attraverso il tempo, tutto ciò che è.
Alla sua affermazione possiamo avvicinare due affermazioni di papa Francesco a Strasburgo:
"A ciò si associano alcuni stili di vita un po' egoisti, caratterizzati da un'opulenza ormai insostenibile e spesso indifferente nei confronti del mondo circostante, soprattutto dei più poveri. Si constata con rammarico un prevalere delle questioni tecniche ed economiche al centro del dibattito politico, a scapito di un autentico orientamento antropologico. L'essere umano rischia di essere ridotto a semplice ingranaggio di un meccanismo che lo tratta alla stregua di un bene di consumo da utilizzare, così che - lo notiamo purtroppo spesso - quando la vita non è funzionale a tale meccanismo viene scartata senza troppe remore, come nel caso dei malati, dei malati terminali, degli anziani abbandonati e senza cura, o dei bambini uccisi prima di nascere.
È il grande equivoco che avviene «quando prevale l'assolutizzazione della tecnica», che finisce per realizzare «una confusione fra fini e mezzi».
Risultato inevitabile della “cultura dello scarto” e del “consumismo esasperato”. (Al Parlamento europeo)
"Le radici si alimentano della verità, che costituisce il nutrimento, la linfa vitale di qualunque società che voglia essere davvero libera, umana e solidale. D’altra parte, la verità fa appello alla coscienza, che è irriducibile ai condizionamenti, ed è perciò capace di conoscere la propria dignità e di aprirsi all'assoluto, divenendo fonte delle scelte fondamentali guidate dalla ricerca del bene per gli altri e per sé e luogo di una libertà responsabile.
Occorre poi tenere presente che senza questa ricerca della verità, ciascuno diventa misura di sé stesso e del proprio agire, aprendo la strada dell'affermazione soggettivistica dei diritti, così che al concetto di diritto umano, che ha di per sé valenza universale, si sostituisce l'idea di diritto individualista. Ciò porta ad essere sostanzialmente incuranti degli altri e a favorire quella globalizzazione dell'indifferenza che nasce dall'egoismo, frutto di una concezione dell'uomo incapace di accogliere la verità e di vivere un'autentica dimensione sociale.
Un tale individualismo rende umanamente poveri e culturalmente sterili, perché recide di fatto quelle feconde radici su cui si innesta l'albero. Dall'individualismo indifferente nasce il culto dell'opulenza, cui corrisponde la cultura dello scarto nella quale siamo immersi." (Al Consiglio d'Europa)
Vedi qui.