Condividi:

27 giugno - CIRILLO DI ALESSANDRIA, detto anche Doctor Incarnationis: la questione di IPAZIA al di là degli stereotipi laicisti.

Autore: Silvio Restelli. Curatore: Mangiarotti don Gabriele.

Patriarca di Alessandria e teologo, CIRILLO (370 – Alessandria d'Egitto, 27 giugno 444) fu coinvolto nelle dispute cristologiche della sua epoca. Si oppose a Nestorio durante il Concilio di Efeso del 431 (del quale fu la figura centrale).
In tale ambito, per contrastare le tesi di Nestorio che negava la maternità divina di Maria, sviluppò una TEORIA DELL'INCARNAZIONE, che gli valse il titolo di DOCTOR INCARNATIONIS e che è considerata ancora valida dai teologi cristiani contemporanei. Fu infaticabile difensore della fede e della dottrina di fronte ad attacchi sia interni che esterni alla chiesa: novaziani, ebrei e pagani.

"La fede cristiana È INNANZITUTTO INCONTRO CON GESÙ, «una Persona che dà alla vita un NUOVO ORIZZONTE» (Enc. Deus caritas est, 1). Di Gesù Cristo, Verbo di Dio incarnato, san Cirillo di Alessandria è stato un instancabile e fermo testimone, sottolineandone soprattutto l’unità, come egli ripete nel 433 nella prima lettera al Vescovo Succenso:
«Uno solo è il Figlio, uno solo il Signore Gesù Cristo, sia prima dell’incarnazione sia dopo l’incarnazione. Infatti non era un Figlio il Logos nato da Dio Padre, e un altro quello nato dalla santa Vergine; MA CREDIAMO CHE PROPRIO COLUI CHE È PRIMA DEI TEMPI È NATO ANCHE SECONDO LA CARNE DA UNA DONNA».
Questa affermazione, al di là del suo significato dottrinale, mostra che la fede in Gesù Logos nato dal Padre è anche ben radicata nella storia perché, come afferma san Cirillo, questo stesso Gesù è venuto nel tempo con la nascita da Maria, la Theotókos, e sarà, secondo la sua promessa, sempre con noi. E questo è importante: Dio è eterno, è nato da una donna e rimane con noi ogni giorno. In questa fiducia viviamo, in questa fiducia troviamo la strada della nostra vita"
. (Benedetto XVI)

Secondo lui era PRECISO DOVERE DEI PASTORI DI PRESERVARE LA FEDE DEL POPOLO DI DIO. Questo era il suo criterio, valido peraltro anche oggi: la fede del Popolo di Dio è espressione della Tradizione, è garanzia della sana dottrina. Così scrive a Nestorio:
«Bisogna esporre al popolo l’insegnamento e l’interpretazione della fede nel modo più irreprensibile e ricordare che chi scandalizza anche uno solo dei piccoli che credono in Cristo subirà un castigo intollerabile».

Il clima di violenza allora esistente nella città ai danni dei pagani, degli ebrei e dei cristiani considerati eretici contribuì a rendere possibile l'omicidio della filosofa e scienziata pagana IPAZIA, TRUCIDATA DALLA CONFRATERNITA DEI PARABOLANI.


Eccone la ricostruzione da parte della filosofa Luisa Muraro.

Ipazia di Alessandria ha un conto aperto con la nostra civiltà che dobbiamo incominciare a pagare.
Parlo, per chi ancora non conoscesse questo nome, della scienziata e filosofa neoplatonica, maestra nel Museo di Alessandria d’Egitto (non un museo, ma un centro di studi superiori) che, nell’anno 415 dell’era cristiana, venne trucidata da un GRUPPO ORGANIZZATO DI CRISTIANI FANATICI. Il delitto restò impunito perché l’inviato imperiale non fece il suo dovere.

Da parte di chi ha a cuore la tradizione religiosa cristiana, io mi aspetto un preciso contributo. Posto che le fonti non consentono di attribuire al vescovo di Alessandria, il futuro santo e padre della Chiesa Cirillo, alcuna responsabilità diretta nella morte violenta della filosofa, si stabiliscano le innegabili responsabilità indirette, nel contesto di una diffusione del cristianesimo che è piena di luci e ombre.

Sicuramente contarono anche altre circostanze, fra cui il conflitto tra la cultura del mondo antico declinante e la nuova religione cristiana, purchè abbiamo chiaro che il conflitto non si configurava come un antagonismo e che la vittoria del cristianesimo era ormai evidente.

Contò il fatto che non di un filosofo si trattasse, ma di una filosofa?
La domanda va riformulata, considerato che non esistono culture in cui la differenza sessuale sia indifferente.
Quanto contò, nella vicenda di Ipazia? E abbiamo noi modo di stabilirlo? Senza addentrarci, consideriamo che la nascente religione cristiana, a differenza di quella grecoromana e di quella egizia, non rendeva pensabile e accettabile una donna con le prerogative di Ipazia, libera di sé, non subordinata a partiti o fazioni, presente e parlante in luoghi pubblici, sapiente, maestra dotata di una parola autorevole per donne e uomini.

Questa considerazione ci porta ai nostri tempi per costatare che il tipo umano femminile incarnato da una Ipazia non ha corso nella nostra cultura, forse perché essa deriva dalla versione cristiana del patriarcato. Il che ci fa capire il perché di certi stereotipi laici o laicisti: questi stereotipi resistono e si ripresentano per non poter ammettere che quello che faceva veramente problema ai cristiani di Alessandria, continua a fare problema anche ai nostri giorni, e non solo ai “cristiani”!
Voglio dire che gli stereotipi anticlericali con cui si accosta la figura e la vicenda di Ipazia (Chiesa nemica della scienza, della ragione, delle donne) sono fatti per coprire una certa coda di paglia.

Ed ecco le fonti principali disponibili e la loro ottima presentazione da parte di
Moreno Morani.

Ipazia, la verità e le bugie ideologiche di Moreno Morani 05-02-2011
Ipazia. La vera storia è il titolo del libro di Silvia Ronchey, e la fascetta editoriale porta questa frase di Umberto Eco:
«Una bizantinista, che sa lavorare sui documenti, racconta la vera storia di Ipazia – che non è meno affascinante delle leggende». Un programma impegnativo, dunque: ridare i contorni storici a una figura in cui storia e leggenda si mescolano in modo inestricabile.

Perché dell’Ipazia storica sappiamo poco, e tra la penuria di documenti storici e la mole di libri scritti su di lei la sproporzione è schiacciante. Tra l’Ipazia della storia e le sue proiezioni, quasi sempre avvelenate dalla volontà di usarla come simbolo (martire del libero pensiero, dell’intolleranza cristiana, del femminismo, della scienza, e via dicendo), sono le seconde a risultare vincenti. Nei buchi della storia si inserisce facilmente l’ideologia.

La Realencyklopädie di Pauly-Wissowa, il monumentale repertorio in diverse decine di volumi che raccoglie tutto ciò che sappiamo del mondo antico, elenca in poche colonne le scarne notizie che ci restano, e nota che già nei testi più antichi si assiste al formarsi del «romanzo di Ipazia, che proliferò in modo lussureggiante».

CHI FU VERAMENTE IPAZIA? Nessuna fonte risponde in modo soddisfacente alla domanda. Fu un personaggio di primo piano dell’élite culturale alessandrina del V secolo, uccisa durante un tumulto da un gruppo di cristiani fanatici SOBILLATI DA UN CERTO PIETRO IL LETTORE. Le modalità e le circostanze dell’uccisione non sono ben chiarite dalle fonti antiche, che le espongono in modo incerto e discordante.

Il mondo tardo-antico è un crogiolo di tensioni, e Alessandria, importante e agiato centro che ha alle spalle una prestigiosissima tradizione culturale, ma anche una tradizione di disordini e di violenze, è un microcosmo in cui i contrasti anziché attutirsi si dilatano. Vi è un contrasto sempre meno latente tra la Chiesa, naturalmente gelosa delle sue prerogative, e i rappresentanti del potere imperiale. Tra i cristiani vi sono drammatiche lacerazioni interne di eresie e sette.

Ai margini della chiesa vi sono FRANGE DI ESTREMISTI (LAICI E MONACI), INCLINI A SCENDERE IN PIAZZA E A MENARE LE MANI PIÙ CHE A PREGARE.
Il paganesimo vive le sua stagione declinante, le scuole filosofiche pagane esprimono i loro ultimi pensatori.
Vi sono gli EBREI (coi quali la tensione è altissima), vi sono gli GNOSTICI, che organizzano parodie di culti cristiani nei giorni stessi delle festività cristiane, e forse vi sono anche i BUDDHISTI.
Sono accentuati i contrasti, ma esistono anche momenti di reciproca integrazione. Il pensiero cristiano apprezza e fa propri molti motivi del neoplatonismo, e vi sono persino episodi di sincretismo.
Nel 415, quando Ipazia viene uccisa, vescovo di Alessandria (una sede episcopale che aveva potuto sperimentare dal vivo la crudezza delle LOTTE CON L’ARIANESIMO, nelle quali il potere imperiale era intervenuto pesantemente, favorendo gli ariani e costringendo il vescovo Atanasio a un esilio temporaneo) è Cirillo, uomo energico e di straordinaria dottrina, AUTORE DI UN NUMERO IMPRESSIONANTE DI SCRITTI (nessun altro autore della Grecità cristiana scrisse quanto lui), in prima linea nella difesa dell’ortodossia contro l’eresia monofisita, che sosteneva la presenza in Cristo di due nature distinte, umana e divina, e limitava la maternità di Maria alla sola natura umana. Allo zelo dottrinale non sempre corrispose un equilibrio nella guida della diocesi: gli viene rimproverata una serie di atti imprudenti ed eccessivi, e soprattutto il fatto di NON AVERE PRESO SUFFICIENTEMENTE LE DISTANZE DALLE FRANGE FANATICHE.

Da questo a farne il mandante dell’uccisione di Ipazia ne corre. Il libro della Ronchey, arricchito da un apparato critico straordinariamente ampio (pp. 195-292), dà una panoramica delle fonti antiche e delle riletture moderne. Alle lacune della documentazione fatalmente lo storico è portato a sopperire con congetture e ipotesi, sulle quali purtroppo si costruiscono altre ipotesi. Questo vale, ad esempio, per la sopravvalutazione dei meriti filosofici di Ipazia, rispetto ai quali gli antichi sembrano piuttosto scettici («donna versata nella matematica, ma non meritevole del nome di filosofo» dice il pagano Damascio).
Sul suo pensiero non sappiamo nulla di nulla: da dove trae la Ronchey la certezza che Ipazia «cercava la verità, amava il dubbio, detestava la manipolazione» (p. 11)? Se il proposito è quello di ricostruirne la figura «in modo non settario. Di leggere la sua storia in maniera autenticamente laica e libera: per quanto possibile, vera» (p. 12), il risultato non sempre corrisponde all’intento. Un solo esempio. La Storia Ecclesiastica di Socrate Scolastico costituisce una fonte primaria per la ricostruzione degli avvenimenti.
Secondo la Ronchey (p. 60) «anche per il cristiano Socrate fu una non piccola infamia questa compiuta da Cirillo e dalla chiesa di Alessandria». Ma il testo non dice così. Precisamente vi si legge: «Questo fatto produsse una non piccola infamia per Cirillo e la chiesa di Alessandria».
Quindi nessuna palese intenzione accusatoria nei confronti del vescovo: semplicemente la segnalazione che l’uccisione di Ipazia dilatò un’immagine negativa della chiesa di Alessandria e del suo vescovo.
La Ronchey non ha esitazioni: «Cirillo fu colpevole della morte di Ipazia? Certo» (p. 133). Nemmeno il beneficio del dubbio! Come è poco garantista il pensiero laico, arroccato nelle sue certezze aprioristiche! Soprattutto, si richiederebbe allo storico moderno un minimo di prudenza, quando affronta fatti così delicati e dai contorni così incerti. A quanto pare, il fatto che l’insinuazione della responsabilità (o corresponsabilità) di Cirillo non compaia nelle fonti più antiche e si affacci solo più di un secolo dopo i fatti non sembra rilevante.
Forse le fonti successive si sono rifatte a tradizioni orali, ma nel CONTESTO SPECIFICO DIRE “TRADIZIONE ORALE” NON È MOLTO DIVERSO DAL DIRE “DICERIA POPOLARE” E MAGARI “CALUNNIA”.

La Ronchey ritiene sconcertante (p. 90) che nella voce Cirillo d’Alessandria dell’Enciclopedia Cattolica si legga che «non si può imputare a Cirillo questo assassinio». In realtà anche altri grandi repertori non cattolici arrivano alle stesse conclusioni, a partire dalla citata Pauly-Wissowa, che elenca le fonti e ne presenta con inappuntabile rigore critico il carattere poco attendibile, contraddittorio e incline all’amplificazione, e sottolinea l’inverosimiglianza di alcune affermazioni (p.es. la tesi di Damascio della gelosia di Cirillo per la cultura e il carisma di Ipazia).

E comunque, PERCHÉ LA RONCHEY HA UNA FIDUCIA COSÌ GRANITICA NELLE SUE CONVINZIONI, TANTO DA RITENERE CHE OGNI INTERPRETAZIONE NON COLLIMANTE CON LA SUA SIA SCANDALOSA?
L’enfasi sul fatto che fu «il cattolicesimo ottocentesco a promuovere Cirillo dottore della Chiesa … nel 1882 … da Leone XIII, un papa ossessionato dal nuovo paganesimo rappresentato dalla massoneria» (p. 91) è fuori luogo. Il titolo di dottore della Chiesa fu conferito a Cirillo in grazia della sua dottrina sull’Incarnazione e sulla Maternità di Maria (sostenne la formula “Maria Madre di Dio” contro la formula nestoriana “Maria Madre di Cristo”), e non ha nessun riferimento con la sua attività politica. Per la Ronchey «il monofisita Cirillo sarà fatto santo. Il suo fantasma di eresiarca intoccabile sopravviverà implacabilmente» (p. 35).

Ma da dove ha ricavato l’idea che Cirillo sia monofisita, quando sia la chiesa cattolica (si veda la Catechesi di Benedetto XVI del 3 ottobre 2007) sia le chiese ortodossa, copta, armena hanno riconosciuto in lui un intransigente paladino dell’ortodossia, gli anglicani ne hanno fatto uno dei “Maestri della fede”, e la liturgia siriaca lo saluta come «torre di verità e interprete del Verbo di Dio fatto carne»? Se la Ronchey protesta più volte sulla pretesa della Chiesa di ingerirsi in ambiti che non le competono, a maggior ragione dovrebbe astenersi dall’intervenire su questioni ecclesiali: CHE AUTORITÀ HA PER STABILIRE CHI È ERETICO E CHI NON LO È? La Ronchey parla di una «generale e millenaria omertà della Chiesa di Roma» e lamenta che «nonostante le scuse e le richieste di perdono dispensate un po’ a tutti tra la fine del ventesimo e l’inizio del ventunesimo secolo» (pp. 92-93) non vi sia mai stata una richiesta di perdono per Ipazia e una presa di distanza da Cirillo. Ma di che cosa dovrebbe chiedere perdono la Chiesa di Roma?

Se un gruppo di cristiani fanatici di Alessandria in un contesto di tensione estrema ha ucciso barbaramente una donna, si tratta sicuramente di un crimine deplorevole, ma che responsabilità può avere la Chiesa di Roma? Quanto al vescovo, posto che nessuna prova positiva si ha della sua corresponsabilità, e AL MASSIMO GLI SI POSSONO IMPUTARE IMPRUDENZE NELL’AZIONE TEMPORALE, è compito della Chiesa dispensare giudizi su questioni di natura storica che tocca agli studiosi ricostruire e interpretare?
Riassumendo, il libro presenta un esame molto ampio del materiale, ma, SOTTO IL MANTO DI UNA OBIETTIVITÀ SOLO APPARENTE, fornisce in realtà una lettura dei fatti viziata da un atteggiamento di fondo (ribadito con insistenza quasi ad ogni pagina) PREGIUDIZIALMENTE OSTILE ALLA REALTÀ ECCLESIALE. Questo, ovviamente ne fa un libro di parte e ne sminuisce l’affidabilità.