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27 febbraio - ADRIANO OLIVETTI: azienda e responsabilità sociale dell'imprenditore.

Autore: Restelli Silvio. Curatore: Mangiarotti don Gabriele.

Uno dei pochi imprenditori italiani che sentì pienamente la sua responsabilità sociale, ADRIANO OLIVETTI (Ivrea, 11 aprile 1901 – Aigle, 27 febbraio 1960), ingegnere e politico italiano, figlio di Camillo Olivetti fu uomo di grande e singolare rilievo nella storia italiana del secondo dopoguerra, si distinse per i suoi innovativi progetti industriali e sociali basati sul PRINCIPIO SECONDO CUI IL PROFITTO AZIENDALE DEVE ESSERE REINVESTITO A BENEFICIO DELLA COMUNITÀ.
Vedi una bella presentazione della sua esperienza, cliccando qui sotto al link dei suoi archivi.


Nacque sulla collina di Monte Navale, nelle vicinanze di Ivrea l'11 aprile del 1901, dal padre Camillo, ebreo, e dalla madre Luisa, valdese. Nel 1924 conseguì la laurea in ingegneria chimica e, dopo un soggiorno di studio negli Stati Uniti, durante il quale poté aggiornarsi sulle pratiche di organizzazione aziendale, entrò nel 1926 nella fabbrica paterna ove, per volere di Camillo, fece le prime esperienze come operaio. Divenne direttore della Società Olivetti nel 1933 e presidente nel 1938.

Adriano Olivetti riuscì a creare nel secondo dopoguerra italiano un'esperienza di fabbrica nuova ed unica al mondo in un periodo storico in cui si fronteggiavano due grandi potenze: capitalismo e comunismo.
OLIVETTI CREDEVA CHE FOSSE POSSIBILE CREARE UN EQUILIBRIO TRA SOLIDARIETÀ SOCIALE E PROFITTO, TANTO CHE L'ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO COMPRENDEVA UN'IDEA DI FELICITÀ COLLETTIVA CHE GENERAVA EFFICIENZA. Gli operai vivevano in condizioni migliori rispetto alle altre grandi fabbriche italiane: ricevevano salari più alti, vi erano asili e abitazioni vicino alla fabbrica che rispettavano la bellezza dell'ambiente, i dipendenti godevano di convenzioni.

Anche all'interno della fabbrica l'ambiente era diverso: durante le pause i dipendenti potevano servirsi delle biblioteche, ascoltare concerti, seguire dibattiti, e non c'era una divisione netta tra ingegneri e operai, in modo che conoscenze e competenze fossero alla portata di tutti. L'azienda accoglieva anche artisti, scrittori, disegnatori e poeti, poiché l'imprenditore Adriano Olivetti riteneva che la fabbrica non avesse bisogno solo di tecnici ma anche di persone in grado di arricchire il lavoro con creatività e sensibilità.
Lo storico e filosofo della politica Danilo Campanella traccia una relazione tra personalismo e olivettismo, postulando che Olivetti fu un personalista economico, come Aldo Moro lo fu in politica. Per Campanella Adriano Olivetti è stato il prosecutore della filosofia economica del Toniolo, immettendola però nel panorama imprenditoriale.

Adriano Olivetti credeva nell'idea di COMUNITÀ, unica via da seguire per superare la divisione tra industria e agricoltura, ma soprattutto tra produzione e cultura.
L'idea, infatti, era quella di creare una fondazione composta da diverse forze vive della comunità: azionisti, enti pubblici, università e rappresentanze dei lavoratori, in modo da eliminare le differenze economiche, ideologiche e politiche. Il suo sogno era di riuscire ad ampliare il progetto a livello nazionale, in modo che quello della comunità fosse il fine ultimo.

Dopo il delitto Matteotti Adriano manifestò la sua avversione al fascismo. mentre i rapporti con il regime migliorarono negli anni Trenta. Sarà soprattutto l’incontro con gli architetti Luigi Figini e Gino Pollini, i quali erano la punta più avanzata di quel razionalismo in architettura che in un primo periodo venne sostenuto anche da Mussolini.
I due architetti erano i corrispondenti italiani del grande Le Corbusier, il quale, pure lui, per un certo periodo fu estimatore di Mussolini in quegli anni che saranno definiti del consenso, tanto che Figini e Pollini aderirono al partito fascista.

Sicuramente Adriano da loro fu influenzato; essi saranno infatti gli architetti della nuova Olivetti e saranno anche, con Adriano, estensori del Piano per la provincia di Aosta (di cui Ivrea faceva parte in quegli anni).
Non sappiamo con quanta convinzione, ma ad ogni modo è provato (vedasi Valerio Occhetto, Adriano Olivetti, Milano, Mondadori, 1985) che Adriano Olivetti chiese ed ottenne la tessera al PNF. Non solo, ma fu ricevuto da Mussolini a Palazzo Venezia dove l’industriale eporediese presentò il suo piano al Duce.

Le sue affinità politiche del periodo furono con Giuseppe Bottai che nel fascismo sempre rappresentò una voce fuori dal coro.
Prudente tanto da non farsi radiare come avvenne a Massimo Rocca, Bottai fu pur sempre uno spirito libero che rappresentò l’altra faccia del fascismo, quella meno totalitaria e folcloristica e più problematica.
Quello con il Regime fu un feeling di breve durata.

Si oppose al regime fascista con momenti di militanza attiva (partecipò con Carlo Rosselli, Ferruccio Parri, Sandro Pertini ed altri alla liberazione di Filippo Turati). Durante gli anni del conflitto bellico, in cui Olivetti era inseguito da mandato di cattura per attività sovversiva, riparò in Svizzera. Rientrato dal suo rifugio alla caduta del regime, riprese le redini della azienda.

Alle sue capacità manageriali che portarono la Olivetti ad essere la prima azienda del mondo nel settore dei prodotti per ufficio, unì un’instancabile sete di ricerca e di sperimentazione su come si potessero armonizzare lo sviluppo industriale con la affermazione dei diritti umani e con la democrazia partecipativa, dentro e fuori la fabbrica.

NEL 1945 PUBBLICÒ L'ORDINE POLITICO DELLE COMUNITÀ CHE VA CONSIDERATO LA BASE TEORICA PER UNA IDEA FEDERALISTA DELLO STATO CHE, NELLA SUA VISIONE, SI FONDAVA APPUNTO SULLE COMUNITÀ, VALE A DIRE UNITÀ TERRITORIALI CULTURALMENTE OMOGENEA E ECONOMICAMENTE AUTONOME.

Nel 1948 fondò a Torino il "Movimento Comunità" e si impegnò affinché si realizzasse il suo ideale di comunità in terra di Canavese.
Il movimento, che tentava di unire sotto un'unica bandiera l'ala socialista con quella liberale, assunse nell'Italia degli anni Cinquanta una notevole importanza nel campo della cultura economica, sociale e politica.

Nel 1949 Olivetti si convertì al cattolicesimo «per la convinzione della sua superiore teologia» (cfr. Davide Cadeddu, «Adriano Olivetti, le utopie al potere», Avvenire, 25 febbraio 2010).

Sotto l'impulso delle fortune aziendali e dei suoi ideali comunitari, Ivrea negli anni cinquanta raggruppò una quantità straordinaria di intellettuali che operavano (chi in azienda chi all'interno del Movimento Comunità) in differenti campi disciplinari, INSEGUENDO IL PROGETTO DI UNA SINTESI CREATIVA TRA CULTURA TECNICO-SCIENTIFICA E CULTURA UMANISTICA.

Fu sindaco di Ivrea nel 1956 e nel 1958 venne eletto deputato come rappresentante di "Comunità".
Studioso di urbanistica, diresse il piano regolatore della Valle d'Aosta e fu anche presidente dell'Istituto Nazionale di Urbanistica.
Il 27 febbraio 1960 morì improvvisamente durante un viaggio in treno da Milano a Losanna: al momento del suo decesso l'azienda fondata dal padre e da lui per lungo tempo diretta vantava una presenza su tutti i maggiori mercati internazionali, con circa 36.000 dipendenti, di cui oltre la metà all'estero.