23 ottobre - RIVOLUZIONE UNGHERESE DEL 1956: Togliatti sostiene i carri armati sovietici.

Oggi 23 ottobre ricordiamo l'inizio della RIVOLUZIONE UNGHERESE DEL 1956; nota anche come insurrezione ungherese o semplicemente rivolta ungherese, fu una sollevazione armata di spirito anti sovietico scaturita nell'allora Ungheria socialista che durò dal 23 ottobre al 10-11 novembre 1956. Per approfondire vedi il link seguente.

Per quanto riguarda la reazione in Italia riportiamo il paragrafo di Wikipedia dedicato a: Il PCI ed i "fatti d'Ungheria".

La linea ufficiale del PCI fu dettata dal suo segretario generale Palmiro Togliatti, secondo cui non bisognava perdere di vista la globalità del processo storico di affermazione del comunismo.
A partire dalla sollecitazione lanciata nell'ottobre 1986 dallo storico magiaro-francese François Fejto, sono stati trovati i documenti inediti che comprovano al di là di ogni ragionevole dubbio l'accusa che egli abbia sollecitato l'intervento armato sovietico contro la rivoluzione ungherese.

Inoltre nel 1957, alla Prima Conferenza mondiale dei partiti comunisti tenuta a Mosca, egli votò, insieme agli altri leader comunisti, a favore della condanna a morte dell'ex presidente del Consiglio ungherese Imre Nagy e del generale Pál Maléter, ministro della Difesa, arrestati l'anno prima dalle truppe sovietiche d'occupazione, rispettivamente il 3-11 nel quartier generale sovietico di Tokol e il 22-11 appena uscito dall'ambasciata jugoslava con il salvacondotto del governo Kádár, con l'accusa di aver aperto «la strada alla controrivoluzione fascista».

Palmiro Togliatti sostenne anche:
«Giunto a questo punto è mia opinione che una protesta contro l'Unione Sovietica avrebbe dovuto farsi se essa [...] non fosse intervenuta, e con tutta la sua forza questa volta, per sbarrare la strada al Terrore bianco e schiacciare il fascismo nell'uovo, nel nome della solidarietà che deve unire nella difesa della civiltà tutti i popoli, ma prima di tutto quelli che già si sono posti sulla via del socialismo».
A fine novembre 1957 Togliatti votò con tutti gli altri leader comunisti a Mosca, presente János Kádár, per la condanna a morte di Imre Nagy (tranne Gomulka, che si oppose), ma lo pregò di rinviare l'esecuzione di Nagy a dopo le imminenti elezioni politiche italiane.
L'invito fu accolto e Imre Nagy venne impiccato il 16 giugno 1958. A Pietro Ingrao, che era andato a trovarlo subito dopo l'invasione per confidargli il suo turbamento, riferendogli di non avere dormito la notte, Togliatti risponderà: «Io invece ho bevuto un bicchiere di vino in più».

L'Unità definì gli operai insorti "teppisti" e "spregevoli provocatori", nonché "fascisti" e "nostalgici del regime Horthyiano", giustificando l'intervento delle truppe sovietiche, sostenendo che si trattasse di un elemento di "stabilizzazione internazionale" e di un "contributo alla pace nel mondo". Luigi Longo sostenne la tesi della rivolta imperialista:
«L'esercito sovietico è intervenuto in Ungheria allo scopo di ristabilire l'ordine turbato dal movimento rivoluzionario che aveva lo scopo di distrugger e annullare le conquiste dei lavoratori».

La base comunista rimase in ogni caso fortemente scossa e negli anni immediatamente successivi si ebbe un calo degli iscritti al PCI. Anche la CGIL prese posizione a favore degli insorti:
«La Segreteria della CGIL esprime il suo profondo cordoglio per i conflitti che hanno insanguinato l'Ungheria..., ravvisa in questi luttuosi avvenimenti la condanna storica e definitiva dei metodi antidemocratici e di Governo e di direzione politica ed economica... deplora che sia stato richiesto e si sia verificato in Ungheria l'intervento di truppe straniere...» (L'Unità del 28 ottobre 1956).

Alcuni intellettuali deplorarono l'intervento sovietico nel "Manifesto dei 101", firmato tra gli altri da un gruppo di storici (Renzo De Felice, Luciano Cafagna, Salvatore Francesco Romano, Piero Melograni, Roberto Zapperi, Sergio Bertelli, Francesco Sirugo, Giorgio Candeloro), da alcuni universitari comunisti romani (Alberto Caracciolo, Alberto Asor Rosa, Mario Tronti, Enzo Siciliano), dal filosofo Lucio Colletti, da alcuni critici (Dario Puccini, Mario Socrate, Luciano Lucignani), da artisti e studiosi d'arte (Lorenzo Vespignani e Corrado Maltese), da uomini di cinema (Elio Petri), da giuristi (Vezio Crisafulli), da architetti (Piero Moroni) e da scienziati (Franco Graziosi e Luciano Angelucci).

Molti intellettuali iscritti o simpatizzanti del PCI si dimisero dal Partito - tra di essi Antonio Giolitti, Eugenio Reale, Vezio Crisafulli, Fabrizio Onofri, Natalino Sapegno, Domenico Purificato, Gaetano Trombatore, Carlo Aymonino, Carlo Muscetta, Loris Fortuna, Antonio Ghirelli, Italo Calvino, Elio Vittorini, Rachele Farina - ovvero presero le distanze in maniera netta dal Partito dopo l'appoggio dato all'invasione sovietica, in ciò unendosi alla critica nei confronti dell'invasione formulata pubblicamente da chi aveva già abbandonato da tempo il partito (Ignazio Silone).
Tale presa di posizione fu favorita da Giuseppe Di Vittorio e dalla corrente autonomista del Partito Socialista Italiano (in particolare Pietro Nenni), che condannò senza riserve la repressione. L'approvarono invece alcuni esponenti della sinistra socialista, che da allora vennero definiti carristi.

Giorgio Napolitano, ex Presidente della Repubblica italiana (nel 1956 responsabile della commissione meridionale del Comitato Centrale del PCI), condannò come controrivoluzionari gli insorti ungheresi.
«Il compagno Giolitti ha il diritto di esprimere le proprie opinioni, ma io ho quello di aspramente combattere le sue posizioni. L'intervento sovietico ha non solo contribuito a impedire che l'Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione ma alla pace nel mondo.» (1956: citato in Gian Antonio Stella, «Principe rosso», violò il tabù del Viminale, Corriere della sera, 8 maggio 2006)
A 50 anni di distanza da quei fatti Napolitano, nella sua autobiografia politica "Dal PCI al socialismo europeo", parla del suo "grave tormento autocritico" riguardo a quella posizione, nata dalla concezione del ruolo del Partito comunista come "inseparabile dalle sorti del campo socialista guidato dall'URSS", contrapposto al fronte "imperialista".
Il 26 settembre 2006 il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in visita ufficiale in Ungheria, rende omaggio al monumento ai caduti della rivoluzione e alla tomba di Imre Nagy, confermando definitivamente di aver superato le posizioni assunte allora con il PCI di cui faceva parte.