22 novembre - CLIVE STAPLES LEWIS, le lettere di Berlicche.

Grande ma poco apprezzato scrittore, filosofo e filologo irlandese, (Belfast, 29 novembre 1898 – Oxford, 22 novembre 1963) fu docente di lingua e letteratura inglese all'Università di Oxford, dove divenne amico di J. R. R. Tolkien col quale - insieme anche a Charles Williams ed altri - fondò il circolo informale letterario degli Inklings.
Morto lo stesso giorno in cui fu assassinato J.F.Kennedy, è noto al grande pubblico soprattutto come autore del ciclo di romanzi:
"Le cronache di Narnia".

Nel 1942 Lewis raggiunge una enorme notorietà (tanto da meritare nel 1947 la copertina del settimanale Time) per il libro "Le lettere di Berlicche".
Il libro è incentrato sulla bizzarra corrispondenza tra un funzionario di Satana e suo nipote, apprendista diavolo custode.
SI TRATTA DI UNA GENIALE RIFLESSIONE SULLA NATURA UMANA MIRATA A RECUPERARE IL SENSO DEL CONCETTO DI PECCATO E A STRAPPARLO ALLA BANALIZZAZIONE CUI L'HA RIDOTTO LA CULTURA CONTEMPORANEA. L'opera costituisce una precisa descrizione dei conflitti interni dell'animo umano non trascurando, in questo intento, l'ingrediente sublime dell'ironia, elemento essenziale in pressocché tutta l'opera di Lewis.

Nel 1945 Lewis pubblica "Il grande divorzio", un sogno o visione ispirato alla Divina Commedia di Dante. Lewis immagina di viaggiare nell'oltretomba guidato da George MacDonald e di incontrare le anime dei defunti che devono dimostrare di aver superato IL PREGIUDIZIO FONDAMENTALE CHE LE MANTIENE PRIGIONIERE DELL'INFERNO: L'IDEA PER CUI "IO SONO MIO".

Lewis lascia insieme alle ombre un Paese grigio e tetro e con loro arriva ad una terra luminosa e di tale splendente consistenza che le ombre ne sono ferite in tutti i loro movimenti (un richiamo al mondo delle idee di Platone). Qui egli assiste agli incontri tra le ombre e gli abitanti di quella terra, che sono venuti incontro ai fantasmi per accompagnare ciascuno di loro alle montagne lontane.
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a) Il pensiero
Nei romanzi di Lewis è sempre presente una visione filosofica abbastanza complessa anche se non esposta organicamente. Comprenderne i fondamenti è importante per cogliere a fondo anche gli altri aspetti delle sue opere.
POICHÉ UNA PARTE IMPORTANTE DELLA VITA DELL'AUTORE È STATA OCCUPATA DAL PERCORSO PERSONALE CHE LO HA PORTATO DALL'ATEISMO ALLA CONVINZIONE CHE ESISTE UN DIO PERSONALE E CHE QUESTO DIO È QUELLO RIVELATO DAL CRISTIANESIMO, l'analisi delle motivazioni razionali che stanno alla base della fede di Lewis è importante per comprenderne il pensiero.
Ma un posto altrettanto importante (o forse più importante) va assegnato ad altre tematiche a cui Lewis dedica spazio nelle sue opere, e cioè IL TEMA DEL DESIDERIO COME ELEMENTO ESSENZIALE COSTITUTIVO DELL'ESPERIENZA UMANA E IL TEMA DELLA FONDAMENTALE CONTINUITÀ E AFFINITÀ TRA LE RELIGIONI E I MITI PRECRISTIANI E LA VERITÀ RIVELATA NEL CRISTIANESIMO.

b) Perché è vero che Dio esiste
I temi prettamente filosofici sono trattati da Lewis in alcuni libri che si possono definire come apologetici. Lewis sviluppa la sua apologia del cristianesimo in tre tappe.
Dapprima comincia a dimostrare l'esistenza di Dio sulla base di fondamenti che appaiono eminentemente filosofici (1). In seguito cerca di dimostrare che Dio si è rivelato in maniera particolare in Cristo e nella religione cristiana (2). Infine difende il teismo e il cristianesimo contro le obiezioni come il problema del male (3).
Contro l'agnosticismo che era influente ai suoi tempi negli ambienti intellettuali, Lewis ritiene che sia possibile dimostrare l'esistenza di Dio, almeno nel senso di mostrare che L'ESISTENZA DI DIO È PIÙ VEROSIMILE DELLA SUA NON ESISTENZA.

Lewis conosce l'argomento ontologico che risale a Cartesio e Anselmo d'Aosta e gli argomenti cosmologici presentati da Tommaso d'Aquino. Ma sull'argomento ontologico, che deduce l'esistenza di Dio dal concetto stesso di "Essere Necessario", Lewis in una lettera al fratello Warren dice che l'argomento non è valido a meno che non si stabilisca inizialmente che l'idea di Essere Necessario è obiettivamente fondata e non è una vaga fabbricazione del nostro spirito.
Lewis non rifiuta gli argomenti cosmologici della filosofia medioevale che partono dal divenire, dalla causalità e dalla contingenza, ma confessa che non li ritiene efficaci per lui personalmente. INVECE LE PROVE FAVORITE DI LEWIS SONO QUELLE BASATE SULLA MORALITÀ, SULLA RAGIONE E SUL DESIDERIO.

1) L'origine della morale
L'argomento della moralità (PRIMA PROVA) che Lewis aveva ampiamente sviluppato durante i suoi discorsi alla radio "The Case for Christianity" comincia con l'affermazione che NOI SIAMO INCONDIZIONATAMENTE COSTRETTI A FARE IL BENE E AD EVITARE IL MALE.
Tutti gli essere umani normali ritengono spontaneamente che certe azioni sono malvagie e non dovrebbero essere compiute. Ci possono essere disaccordi sui dettagli del codice morale, ma non sul suo carattere obbligatorio.
SI SA CHE SI DOVREBBE ESSERE ONESTI, SINCERI, TEMPERANTI GIUSTI VERSO GLI ALTRI E CHE BISOGNA EVITARE DI COMMETTERE IL FURTO, LO SPERGIURO, L'ADULTERIO, L'OMICIDIO E TUTTO QUESTO GENERE DI COSE. IL PROBLEMA È SCOPRIRE DA DOVE VIENE QUESTA OBBLIGATORIETÀ.
Secondo la tradizione classica della teologia cristiana che risale a san Paolo, questa obbligatorietà deriva da Dio che, per così dire, ha scritto la sua legge nel cuore dell'uomo. Persino chi commette il male ne soffre nella sua coscienza e capisce che merita di essere punito.
MA ANCHE SE SI NEGASSE QUESTO FATTO, RESTA COMUNQUE INDUBITABILE CHE ALMENO CHI L'AZIONE MALVAGIA LA SUBISCE È FERMAMENTE CONVINTO DI SUBIRE QUALCOSA DI INGIUSTO, CHE VA CONTRO UN CODICE MORALE CHE ANDAVA IN QUALCHE MODO RISPETTATO.
Lewis affronta anche le obiezioni più comuni a questo argomento. Dimostra che il senso di obbligatorietà della morale non deriva da un istinto gregario o da una convenzione sociale o da un superego in senso freudiano. Rivolgendosi ad un uditorio popolare Lewis non entra nei dettagli tecnici né rifiuta le difficoltà, ma privilegia l'essenziale con un linguaggio semplice e persuasivo.

2) L'origine della ragione
La SECONDA PROVA favorita di Lewis, l'argomento a partire dalla RAGIONE, appare nel suo libro "Miracles". Un certo tipo di naturalismo, osserva, caratterizza il pensiero razionale come semplice prodotto del riflesso nervoso, dell'istinto e dell'abitudine. Lewis replica che i condizionamenti fisici o psicologici non possono spiegare la nostra capacità di formulare giudizi sulla verità o sull'errore.
Noi siamo coscienti che i nostri giudizi sono determinati non da forze subrazionali, ma dalla realtà stessa che ha effetto sul nostro spirito.
La capacità di arrivare alla comprensione attraverso la spiegazione razionale è una prova di una affinità tra lo spirito e la realtà. Questa non è spiegabile se non con uno spirito altrettanto autentico che rende conto simultaneamente dell'esistenza dell'intelligenza e della cosa intellegibile.
L'argomento di Lewis risale a Platone e Anassagora e riassume l'argomento proposto in termini estremamente tecnici da Bernard Lonergan e reso popolare dai libri apologetici di Hugo Meynell. PER QUESTI AUTORI LA MERAVIGLIOSA CORRISPONDENZA TRA LA REALTÀ E LA RAGIONE IMPLICA CHE LA REALTÀ È IMPREGNATA DI UN ORDINE CHE RISALE A UNO SPIRITO CREATORE. L'attenzione di Lewis si appunta non tanto sull'intellegibilità razionale del mondo, quanto sulla capacità dello spirito di conoscere la verità, che secondo Lewis non può essere spiegata dalla selezione naturale, ma unicamente dall'esistenza necessaria di un Dio creatore intelligente.

3) Il desiderio come fattore costitutivo dell'esperienza umana
Il TERZO ARGOMENTO con cui Lewis ritiene di poter dimostrare che l'esistenza di Dio è razionalmente verosimile PARTE DAL DESIDERIO NATURALE DI UNA UNIONE CON DIO. L'idea che l'uomo è naturalmente attirato verso una unione con Dio è presente in tutta la tradizione cristiana. Sant'Agostino la esprime nella forma classica quando esclama nelle Confessioni "Ci hai fatti per te Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te".
Questo desiderio di Dio non era mai stato proposto come prova dell'esistenza di Dio fino al XX secolo e Lewis non fa altro che seguire la scia di Richard Hooker, un teologo anglicano che aveva già provato questa via in precedenza.
L'esistenza di un desiderio di Dio presuppone la sua esistenza, se si ammette che non può esistere un desiderio in natura che non può essere soddisfatto.
Nella sua autobiografia "Sorpreso dalla gioia" Lewis definisce questo ardente desiderio con il termine tedesco SEHNSUCHT, e ne parla in termini allegorici nel romanzo "Le due vie del pellegrino" dove viene rappresentato con l'immagine di un'isola meravigliosa.
Questa rappresentazione del desiderio come forza ancestrale innata nella natura umana è presente anche nelle "Cronache di Narnia" e in altre opere di Lewis. Fondamentale su questo tema è il saggio pubblicato nel 1960 "I quattro amori". In esso Lewis DISTINGUE L'AMORE COME BISOGNO (ad esempio l'amore del bambino per la madre) DALL'AMORE COME DONO (esemplificato dall'amore di Dio per l'umanità) e poi suddivide questi due concetti in ulteriori categorie per arrivare a quattro definizioni, denominate secondo le quattro parole greche usate per significare il termine amore: affetto, amicizia, eros e carità.

c) La continuità tra la mitologia pagana e il cristianesimo
Un tema di fondamentale importanza per comprendere l'opera di Lewis è la sua convinzione che TUTTA LA MITOLOGIA (sia quella nordica, che lo aveva affascinato da ragazzo, che quella greco-romana che era stata oggetto dei suoi studi filologici) SIA DA LEGGERE FONDAMENTALMENTE COME UN PERCORSO ATTRAVERSO CUI L'UMANITÀ SI È AVVICINATA PROGRESSIVAMENTE ALLA RIVELAZIONE CRISTIANA.
Contrariamente ad alcuni antichi pensatori cristiani che si erano confrontati direttamente con la religione pagana e ritenevano che essa andasse rifiutata in blocco come mistificazione diabolica, Lewis è convinto che vi sia qualcosa di vero nella mitologia di tutti i popoli. Questo spiega il massiccio uso di figure mitologiche all'interno delle Cronache di Narnia ed il ruolo assegnato alla religiosità pagana (una religiosità descritta nei suoi aspetti terribilmente sgradevoli e apparentemente poco affine all'umanesimo cristiano) nella sua opera della maturità "A viso scoperto".
Le ragioni che stanno alla base di questa convinzione di Lewis sono complesse e difficili da riassumere ma si può dire in sintesi che esse sono strettamente intrecciate con la tematica del desiderio come fattore costitutivo dell'esperienza umana. Secondo Lewis tutti i miti delle religioni non cristiane aprono comunque una finestra sull'assoluto e svelano qualcosa sulla natura umana che si sente nello stesso tempo attratta da qualcosa di misteriosamente altro e impaurita dalla sua enigmaticità.

d) Il mito come strumento di conoscenza del reale
Lewis è convinto che IL MITO NON SIA SOLO UN MEZZO ARTISTICO, MA CHE ESSO SIA IN GRADO DI RIVELARE NUOVE DIMENSIONI DELLA REALTÀ CHE ALTRIMENTI RIMARREBBERO INACCESSIBILI ALLA RAGIONE.
L'origine del mito è per Lewis nella dimensione sacra della realtà e i miti sono spontanee istintive testimonianze del sacro, che egli come cristiano identifica in Dio. Citando direttamente Lewis, il mito si colloca a cavallo tra la verità astratta e l'esperienza concreta:
«L'intelletto umano è incurabilmente astratto. È quello puramente matematico il tipo di pensiero vincente. Eppure le sole realtà di cui facciamo esperienza sono concrete: questo dolore, questo piacere, questo cane, questo uomo. Quando concretamente amiamo l'uomo, sopportiamo il dolore, godiamo un piacere, non apprendiamo intellettualmente il Piacere, il Dolore o l'Individualità. D'altro canto, quando incominciamo a farlo, le realtà concrete decadono a meri campioni o esempi: non trattiamo più di esse, ma di ciò che esse esemplificano. È questo il nostro dilemma: o gustare senza conoscere, o conoscere senza gustare. O – per essere più rigorosi – mancare di un aspetto della conoscenza perché si è immersi nell'esperienza, o mancare di un altro perché se ne è fuori. Pensando, siamo tagliati fuori da ciò che pensiamo; gustando, toccando, volendo, amando e odiando, non comprendiamo con chiarezza. Più lucidamente pensiamo, più siamo tagliati fuori: più profondamente entriamo nella realtà, meno possiamo pensare. Nel contemplare un mito grandioso si giunge quanto più vicino possibile al fare esperienza concreta di ciò che altrimenti può essere compreso solo come astrazione. Ciò che invece fluisce in noi dal mito non è la verità ma la realtà (la verità riguarda sempre qualcosa, mentre la realtà è quel qualcosa che la verità riguarda) e dunque, sul piano dell'astrazione, ogni mito diviene padre d'innumerevoli verità. Ossia il mito è la montagna da cui sgorgano tutti i diversi fiumi che quaggiù a valle diventano verità; in hac valle abstractionis. O, se si preferisce, il mito è l'istmo che collega il mondo peninsulare del pensiero al vasto continente a cui davvero apparteniamo. Non è, come la verità, astratto; né è, come l'esperienza diretta, vincolato al particolare.»

e) Contro la demitizzazione del cristianesimo
Mentre il tedesco Rudolf Bultmann, contemporaneo di Lewis, introduceva nel dibattito teologico il concetto di "demitizzazione del cristianesimo", cioè l'idea che per raggiungere il nucleo di verità della dottrina cristiana bisognasse spogliare le narrazioni evangeliche di tutti gli elementi mitici ad esse sovrapposti, Lewis (in accordo con Tolkien) INTERPRETA LA NARRAZIONE DELLA MORTE SACRIFICALE DI CRISTO COME UN “MITO VERO”, UN MITO CON LA SPECIALE PREROGATIVA DI ESSERE STATO POSTO IN ATTO STORICAMENTE IN UN TEMPO E UNO SPAZIO BEN PRECISI.
Lewis scrive:
«La storia di Cristo è semplicemente un mito vero: un mito che opera su di noi allo stesso modo degli altri, ma con questa enorme differenza che questo mito è realmente accaduto.»
In questa ottica, i precedenti mitologici del dramma di Cristo sono accenni ispirati della verità divina che sarebbe diventata pienamente manifesta in un preciso momento e luogo, cioè nella Giudea romana.
A differenza di Bultmann, Lewis e Tolkien non intendono demitizzare il Vangelo, interpretando il mito come una intrinseca componente della sua verità. Invece, i due scrittori credono di poter fare uso del loro potere “subcreativo” per ricreare le stesse tematiche mitiche nelle loro opere letterarie.
Per leggere direttamente alcune sue opere ecco il
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