22 aprile - MIRCEA ELIADE: il mito come ierofania.

Autore: Silvio Restelli. Curatore: Mangiarotti don Gabriele.

MIRCEA ELIADE (Bucarest, 13 marzo 1907 – Chicago, 22 aprile 1986) è grande storico delle religioni e scrittore rumeno. Uomo di cultura vastissima e di straordinaria erudizione, grande viaggiatore, parlava e scriveva correntemente otto lingue: rumeno, francese, tedesco, italiano, inglese, ebraico, persiano e sanscrito.


Eliade fu fenomenologo delle religioni, studioso ed espertissimo di yoga e di sciamanesimo, filosofo e saggista. Per i contatti giovanili con il fascismo rumeno lo studioso fu screditato tra gli intellettuali italiani e, per converso, assai caro e citato da ambienti della destra italiana.

Eliade fu candidato dieci volte, pur senza esito, al premio Nobel della letteratura.
Al centro del pensiero di Eliade c'è il concetto di "MITO COME IEROFANIA" (apparizione/rivelazione del sacro).

La storia delle religioni è quindi storia delle ierofanie che si ripetono nel tempo dell'uomo, riproponendovi l'alternanza sacro/profano (sia nel tempo - con le feste - che nello spazio - con i "centri del mondo") e riattualizzando per questa via i miti primordiali.

Docente all'École des hautes études succedette poi (1957) a J.Wach come professore di storia delle religioni nell'università di Chicago.
È uno dei maggiori specialisti dello sciamanesimo (Lo sciamanesimo e le tecniche dell'estasi, 1951), dello yoga (Lo yoga. Immortalità e libertà, 1954), dei rapporti fra magia e alchimia (Alchimia asiatica, 1935-37; Arti del metallo e alchimisti,1956; Il sacro e il profano, 1956).
Ha inoltre scritto alcune opere di carattere più generale (Trattato di storia delle religioni, 1949; Il mito dell'eterno ritorno, 1949).
In esse Eliade formula la sua concezione fondamentale del mito e della religione.

Il mito è un atto di creazione autonoma dello spirito, indipendente dalle condizioni socioeconomiche.
Il valore dei miti sta nel loro carattere fondamentale di «ierofanie», cioè di rivelazioni del sacro.
Secondo Eliade, NON VI È RELIGIONE NATURALE, POICHÉ LA NATURA NON È SACRA DI PER SÉ MA SOLO IN QUANTO MANIFESTA UN SIGNIFICATO SOPRANNATURALE. D'altra parte, tale significato è trascendente anche rispetto alla storia, dal momento che quest'ultima aggiunge continuamente significati nuovi ai simbolismi arcaici, ma non può distruggere la struttura originaria del simbolo.

Il mondo del mito si muove sempre entro la polarità sacro-profano, in cui la SACRALITÀ È RICONOSCIUTA COME LA VERA REALTÀ, contrapposta alla PROFANITÀ IN QUANTO IRREALTÀ.
L'unica comprensione corretta del mito è, dunque, quella religiosa, che lo considera come rivelazione del sacro. Per questo motivo una storia delle religioni deve svolgersi come una fenomenologia comparata delle ierofanie più diverse ed eterogenee, volta a individuare in esse, senza selezioni preventive, la comune modalità del sacro.

Il rapporto tra sacro e profano non si risolve, per Eliade, in una semplice opposizione, poiché il sacro, che si rivela pur sempre come «altro» dal profano, si manifesta però nel profano, che come strumento di questa manifestazione viene sacralizzato, diventa simbolo del sacro.
Attraverso l'esame delle varie ierofanie è possibile individuare alcune strutture principali, alcuni significati fondamentali della realtà, che acquistano particolare importanza in tutti i sistemi mitici e religiosi:
la trascendenza (cielo),
la fecondità (terra),
il centro del mondo (casa, palazzo, tempio) ecc.

Eliade sottolinea anche la differenza tra il tempo sacro e quello profano: mentre il secondo è in sé una durata evanescente, che assume un senso solo quando diventa momento di rivelazione del sacro, il primo è un susseguirsi di eternità periodicamente recuperabili durante le feste che costituiscono il calendario sacro: ESSO SI CONFIGURA PERCIÒ COME UN ETERNO RITORNO.
Eliade insiste anche sul valore archetipico del mito, che costituisce il modello e l'esempio per tutte le azioni umane e per tutta la realtà: le vicende cosmiche e storiche hanno quindi significato in quanto ripetono e riattualizzano la realtà sacra del tempo primordiale.

Il mito dell'eterno ritorno
È un saggio scritto nel 1945 e pubblicato nel 1949.
«L'essenziale della mia ricerca riguarda l'immagine che l'uomo delle società arcaiche si è fatto di se stesso e del posto che occupa nel cosmo»
Così spiega Eliade nella introduzione alla versione italiana de “Le Mythe de l'éternel retour”, dove indaga la fenomenologia del sacro attraverso le sue tre manifestazioni, il rito, il mito e il simbolo, che riescono a esprimere concetti sull'essere ed il non essere, non riscontrabili altrimenti nelle lingue arcaiche.

La storia delle religioni si era mossa in un primo momento sull'indagine sociologica ed etnologica; è con Rudolf Otto che la ricerca si muove in un'ottica di manifestazione, di ierofania, e separa nettamente il sacro da ciò che gli storici chiamarono “mana” una "forza impersonale".

Eliade, comparando differenti tradizioni e testi, dimostra la volontà nell'uomo arcaico di tornare a quel tempo primordiale, quando il gesto sacro fu compiuto da dei, eroi o antenati.
Così nelle tradizioni dell'India vedica troviamo che ogni creazione riproduce la creazione originale quella da caos a cosmos ossia la lotta originaria fra un'entità ordinatrice e formante contrapposta a quella indistinta e informe, è il caso di Tiamat e Marduk, nella tradizione babilonese.

Nel pantheon greco è Crono, figlio di Gea e Urano (terra e cielo), che non voleva che i suoi figli venissero alla luce.
Ma anche in ciò che noi riteniamo oggi attività profane, come la danza, esiste un archetipo.
La danza del labirinto per i Greci rievocava la danza che Teseo fece dopo aver ucciso il minotauro e liberato le 7 coppie di giovani. Chiunque la eseguisse diveniva Teseo, ma non solo, i movimenti di questa danza si rifacevano al movimento dei pianeti.

Altre ritualità arcaiche si muovono attorno all'investitura del centro. Per un luogo l'essere il CENTRO DELLA TERRA è importante perché diviene la residenza della divinità, sia questo un palazzo o una montagna; per i babilonesi Marduk, il dio della creazione, risiedeva a Babilonia (bab è porta, letteralmente porta degli dei), che diveniva così “Axis Mundis”, punto d'incontro fra regioni infere, terra e cielo.
Il riconoscere una montagna o un palazzo, come centro del mondo, fa sì che queste diventino anche centro della creazione che in tutte le "genesi" si muove a partire dal centro di un qualcosa, come per l'embrione umano. Eliade pone in evidenza come attraverso la ritualità e quindi la sacralizzazione di luoghi persone o cose, l'uomo arcaico aspiri al rendere il mondo in cui vive "reale".