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21 Marzo - SAN BENEDETTO DA NORCIA: la nascita della vera Europa.

Fonte:
CulturaCattolica.it
Oggi 21 Marzo (1617 - Pocahontas; 1729 - John Law ; 1983 - Ezio Franceschini; 1989 - Cesare Ludovico Musatti ; 1999 - Jean Guitton) muore nel 547 un uomo a cui noi europei dobbiamo molto, S. BENEDETTO DA NORCIA (Norcia 480 - Montecassino 547).

Così Antonio Livi nella sua breve storia della filosofia.
A questo periodo critico (quello della nascita della filosofia occidentale ndr) appartiene san Benedetto da Norcia (480-547), la cui opera, analoga a quella di Cassiodoro, costituisce un valore inestimabile, non solo nel campo della religione cattolica, ma anche per la filosofia e per tutta la cultura classica.


I monasteri da lui fondati, e perpetuati dai suoi monaci in Italia e in Europa, costituiscono l’unico rifugio, il solo scrigno in cui il patrimonio della sapienza classica e cristiana viene trascritto, custodito e trasmesso alle generazioni successive.
L’istituto cenobitico di Vivarium non ebbe, almeno immediatamente, grande risonanza, né ebbe lunga vita. E lo stesso monastero di Montecassino, distrutto dai Longobardi poco più di mezzo secolo dopo la sua fondazione, risorgerà verso la metà del secolo VIII.

Ma intanto la creazione di san Benedetto (la spiritualità monastica compendiata nel precetto benedettino «ora et labora», cioè sulla preghiera contemplativa unita al lavoro manuale) s’imponeva come modello a tutto l’Occidente, in Francia, in Germania e specialmente in Inghilterra.

Dappertutto sorgono monasteri, dominati dallo stesso spirito di lavoro e di apostolato che nella vita cenobitica aveva infuso san Benedetto: dappertutto le sue regole trionfano. Per quel che riguarda l’Inghilterra e particolarmente l’Irlanda, la relativa tranquillità di cui esse godevano, al sicuro dalle invasioni barbariche, fu condizione favorevole per la intensificazione della cultura conforme alla tradizione romana. Anzi, vi fu in questi secoli come un rifluire della corrente culturale-religiosa da quelle regioni lontane nei paesi del continente, da cui erano partiti i pionieri, che uno o due secoli prima le avevano iniziate alla civiltà e al cristianesimo.
Perciò san Benedetto è il pioniere dello sviluppo culturale, civile ed economico della società medioevale. La sua regola, infatti, costituisce non solo un complesso di norme religiose, ma è anzitutto un Codice pedagogico etico e sociale, che fermenta di perenne vitalità l’intero progresso della civiltà occidentale di tutte le epoche successive.

Per capire la sua importanza ci possiamo riferire alla presentazione della sua figura da parte di due grandi pontefici: Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Il primo nella sua LETTERA APOSTOLICA SANCTORUM ALTRIX ; il secondo nella conferenza tenuta il 1 Aprile 2005 a Subbiaco dal titolo significativo, L'EUROPA NELLA CRISI DELLE CULTURE.

Così san Giovanni Paolo II.
E così accade che il lavoro, anche se umile e poco apprezzato, tuttavia arricchito di una certa qual dignità, viene intrapreso e diventa parte vitale «di quella ricerca somma ed esclusiva di Dio nella solitudine e nel silenzio, nel lavoro umile e povero, per dare alla vita il significato di una orazione continuata, di un "sacrificium laudis", insieme celebrato, insieme consumato, nel respiro di una gaudiosa e fraterna carità» (cfr. Pauli VI «Allocutio ad Benedectinas Antistitas», die 28 oct. 1966: «Insegnamenti di Paolo VI», IV [1966] 514).

L'Europa è divenuta terra cristiana, specialmente perché i figli di san Benedetto hanno comunicato ai nostri antenati una istruzione che abbracciava tutto, insegnando appunto loro non solo le arti e il lavoro manuale, ma anche, specialmente, infondendo in loro lo spirito evangelico, necessario per proteggere i tesori spirituali della persona umana.
Il paganesimo, che in quel tempo da folte schiere di monaci missionari è stato trasformato in cristianesimo, torna oggi a propagarsi sempre più nel mondo occidentale, ponendosi come causa ed effetto di quella perduta maniera di considerare il lavoro e la sua dignità.

Se Cristo non dà all'azione umana alto e perpetuo significato, colui che lavora diviene schiavo - nelle forma portate dai nuovi tempi - della sfrenata produzione che cerca solo il guadagno. Al contrario, san Benedetto afferma la necessità impellente di dare al lavoro un carattere spirituale, dilatando i confini dell'operosità umana, così che questa si preservi dall'esasperato esercizio della tecnica produttiva, e dalla cupidigia del privato guadagno. (San Giovanni Paolo II)

Così Benedetto XVI
Di fatto, l’opera del Santo e, in modo particolare, la sua Regola si rivelarono apportatrici di un autentico fermento spirituale, che mutò nel corso dei secoli, ben al di là dei confini della sua Patria e del suo tempo, il volto dell’Europa, suscitando dopo la caduta dell’unità politica creata dall’impero romano una nuova unità spirituale e culturale, quella della fede cristiana condivisa dai popoli del continente. E’ nata proprio così la realtà che noi chiamiamo “Europa”. (Udienza Generale 9.04.2008)

La vera contrapposizione che caratterizza il mondo di oggi non è quella tra diverse culture religiose, ma quella tra la radicale emancipazione dell’uomo da Dio, dalle radici della vita, da una parte, e le grandi culture religiose dall’altra.
Se si arriverà ad uno scontro delle culture, non sarà per lo scontro delle grandi religioni – da sempre in lotta le une contro le altre ma che, alla fine, hanno anche sempre saputo vivere le une con le altre –, ma sarà per lo scontro tra questa radicale emancipazione dell’uomo e le grandi culture storiche.

Così, anche il rifiuto del riferimento a Dio, non è espressione di una tolleranza che vuole proteggere le religioni non teistiche e la dignità degli atei e degli agnostici, ma piuttosto espressione di una coscienza che vorrebbe vedere Dio cancellato definitivamente dalla vita pubblica dell’umanità e accantonato nell’ambito soggettivo di residue culture del passato.

Il relativismo, che costituisce il punto di partenza di tutto questo, diventa così un dogmatismo che si crede in possesso della definitiva conoscenza della ragione, ed in diritto di considerare tutto il resto soltanto come uno stadio dell’umanità in fondo superato e che può essere adeguatamente relativizzato. In realtà ciò significa che abbiamo bisogno di radici per sopravvivere e che non dobbiamo perdere Dio di vista, se vogliamo che la dignità umana non sparisca. …

...É stato ed è merito dell’illuminismo aver riproposto questi valori originali del cristianesimo e aver ridato alla ragione la sua propria voce.

Il Concilio Vaticano II, nella costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, ha nuovamente evidenziato questa profonda corrispondenza tra cristianesimo ed illuminismo, cercando di arrivare ad una vera conciliazione tra Chiesa e modernità, che è il grande patrimonio da tutelare da entrambe le parti.

Con tutto ciò, bisogna che tutte e due le parti riflettano su se stesse e siano pronte a correggersi. Il cristianesimo deve ricordarsi sempre che è la religione del logos. Esso è fede nel Creator spiritus, nello Spirito creatore, dal quale proviene tutto il reale. Proprio questa dovrebbe essere oggi la sua forza filosofica, in quanto il problema è se il mondo provenga dall’irrazionale, e la ragione non sia dunque altro che un "sottoprodotto", magari pure dannoso, del suo sviluppo, o se il mondo provenga dalla ragione, ed essa sia di conseguenza il suo criterio e la sua meta. La fede cristiana propende per questa seconda tesi, avendo così, dal punto di vista puramente filosofico, davvero delle buone carte da giocare, nonostante sia la prima tesi ad essere considerata oggi da tanti la sola "razionale" e moderna. Ma una ragione scaturita dall’irrazionale, e che è, alla fin fine, essa stessa irrazionale, non costituisce una soluzione ai nostri problemi. Soltanto la ragione creatrice, e che nel Dio crocifisso si è manifestata come amore, può veramente mostrarci la via.

Nel dialogo, così necessario, tra laici e cattolici, noi cristiani dobbiamo stare molto attenti a restare fedeli a questa linea di fondo: a vivere una fede che proviene dal logos, dalla ragione creatrice, e che è perciò anche aperta a tutto ciò che è veramente razionale.

Ma a questo punto vorrei, nella mia qualità di credente, fare una proposta ai laici. Nell’epoca dell’illuminismo si è tentato di intendere e definire le norme morali essenziali dicendo che esse sarebbero valide etsi Deus non daretur, anche nel caso che Dio non esistesse.
Nella contrapposizione delle confessioni e nella crisi incombente dell’immagine di Dio, si tentò di tenere i valori essenziali della morale fuori dalle contraddizioni e di cercare per loro un’evidenza che li rendesse indipendenti dalle molteplici divisioni e incertezze delle varie filosofie e confessioni.
Così si vollero assicurare le basi della convivenza e, più in generale, le basi dell’umanità. A quell’epoca sembrò possibile, in quanto le grandi convinzioni di fondo create dal cristianesimo in gran parte resistevano e sembravano innegabili. Ma non è più così. La ricerca di una tale rassicurante certezza, che potesse rimanere incontestata al di là di tutte le differenze, è fallita. Neppure lo sforzo, davvero grandioso, di Kant è stato in grado di creare la necessaria certezza condivisa. Kant aveva negato che Dio possa essere conoscibile nell’ambito della pura ragione, ma nello stesso tempo aveva rappresentato Dio, la libertà e l’immortalità come postulati della ragione pratica, senza la quale, coerentemente, per lui non era possibile alcun agire morale. La situazione odierna del mondo non ci fa forse pensare di nuovo che egli possa aver ragione?
Vorrei dirlo con altre parole: il tentativo, portato all’estremo, di plasmare le cose umane facendo completamente a meno di Dio ci conduce sempre di più sull’orlo dell’abisso, verso l’accantonamento totale dell’uomo.

Dovremmo, allora, capovolgere l’assioma degli illuministi e dire: anche chi non riesce a trovare la via dell’accettazione di Dio dovrebbe comunque cercare di vivere e indirizzare la sua vita veluti si Deus daretur, come se Dio ci fosse.

Questo è il consiglio che già Pascal dava agli amici non credenti; è il consiglio che vorremmo dare anche oggi ai nostri amici che non credono. Così nessuno viene limitato nella sua libertà, ma tutte le nostre cose trovano un sostegno e un criterio di cui hanno urgentemente bisogno.
Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo.

La testimonianza negativa di cristiani che parlavano di Dio e vivevano contro di Lui, ha oscurato l’immagine di Dio e ha aperto la porta all’incredulità.
Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all’intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri.
Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini.

Abbiamo bisogno di uomini come BENEDETTO DA NORCIA, il quale, in un tempo di dissipazione e di decadenza, si sprofondò nella solitudine più estrema, riuscendo, dopo tutte le purificazioni che dovette subire, a risalire alla luce, a ritornare e a fondare a Montecassino, la città sul monte che, con tante rovine, mise insieme le forze dalle quali si formò un mondo nuovo.
Così Benedetto, come Abramo, diventò padre di molti popoli.
Le raccomandazioni ai suoi monaci poste alla fine della sua regola, sono indicazioni che mostrano anche a noi la via che conduce in alto, fuori dalle crisi e dalle macerie.
"Come c’è uno zelo amaro che allontana da Dio e conduce all’inferno, così c’è uno zelo buono che allontana dai vizi e conduce a Dio e alla vita eterna. È a questo zelo che i monaci devono esercitarsi con ardentissimo amore: si prevengano l’un l’altro nel rendersi onore, sopportino con somma pazienza a vicenda le loro infermità fisiche e morali… Si vogliano bene l’un l’altro con affetto fraterno… Temano Dio nell’amore… Nulla assolutamente antepongano a Cristo il quale ci potrà condurre tutti alla vita eterna" (capitolo 72). (Benedetto XVI)

E' stato proclamato PATRONO D'EUROPA da Paolo VI il 24 ottobre 1964.

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