21 giugno - JOHANN GEORG HAMANN, grande apologeta del Cristianesimo contro la "ragione" proposta dall'illuminismo.
Autore: Silvio Restelli. Curatore: Mangiarotti don Gabriele.Filosofo prussiano, tra le più importanti personalità del Contro-Illuminismo, principale sostenitore dello Sturm und Drang e maestro di Herder e di Jacobi, Georg Hamann (Königsberg, 27 agosto 1730 – Münster, 21 giugno 1788) fu amico di Immanuel Kant, e tuttavia suo avversario nell'ambito intellettuale.
La sfiducia nella ragione e, di conseguenza, l'opposizione all'Illuminismo, lo portarono alla conclusione che solo la fede in Dio fosse l'unica soluzione per vagliare le problematiche filosofiche.
Hamann fu profondamente influenzato dagli scritti di Hume sui limiti del pensiero umano (in particolare dal "Trattato sulla natura umana") tanto che in un suo famoso saggio, i "Sokratische Denkwürdigkeiten" (1759), usò proprio la figura di Socrate come archetipo dell'uomo che dichiara di non avere conoscenze certe e di non sapere nulla.
Con tale esempio egli volle CRITICARE LA DIPENDENZA DELL'ILLUMINISMO DALLA RAGIONE UMANA, CHE, COME AFFERMAVA GIÀ HUME, SI BASA SOLO SU CONOSCENZE PROBABILI E NON CERTE.
Soprannominato dai suoi contemporanei il "Mago del Nord" ("Magus im Norden"); mentore di Herder, ebbe una grandissima influenza sul pensiero di numerosi filosofi del suo tempo e del secolo seguente, da Goethe a Jacobi, da Hegel a Kierkegaard.
Hamann e il linguaggio
Il linguaggo per Hamann ha un'origine divina, è manifestazione di Dio che si rivela. La sua critica a Kant, e in generale ad una certa impostazione razionalista, va letta come critica al secolarismo che l'Illuminismo stava portando a compimento.
Da apologeta radicale del Cristianesimo non poteva non vedere con diffidenza gli avvenimenti che stavano sconvolgendo la tradizione cristiana e che, di lì a poco, avrebbero portato agli "orrori" della Rivoluzione francese. Tutta la sua poliedrica e disordinata produzione era quindi inserita nello spirito apologetico e protoromantico; era finalizzata all'esaltazione dei valori spirituali cristiani.
Il linguaggio è per il nostro pensatore una categoria a priori, la verità di fede è pertanto assoluta e incontrovertibile. La sua concezione del linguaggio va letta in funzione pedagogica e teologica. Egli stesso, come si legge nei suoi scritti, amava considerarsi guida morale della Germania. Partendo dall'assioma che non c'è affatto frattura tra pensiero e linguaggio, ma anzi stretta connessione, finalizzò tutta la sua speculazione nel mostrare come i diversi linguaggi (simboli) potessero essere compresi solo in chiave teologica, partendo dalla premessa che tutta la creazione è opera di Dio.
Tutto è Parola di Dio, non solo le Sacre Scritture ma anche la natura parla all'uomo. Le sue critiche spesso erano colorate da vere e proprie invettive di tipo "oscurantista". Il dialogo acceso che ebbe con Herder in merito all'origine divina ci mostra come la sua impostazione e il suo punto di vista era in realtà imbevuto della cultura luterana e conservatrice prussiana. Egli tacciò Herder di anticristianesimo, poiché assertore di un'origine storico-immanentistica del linguaggio, e sebbene tale condanna possa apparire esagerata, la posizione di Hamann non deve stupire: per il filosofo prussiano negare la divinità della parola (linguaggio) significava negare la divinità del Verbum, della Parola e della Rivelazione di Dio che si manifesta nel creato. Posizioni affini a quelle di Hamann sull'origine divina del linguaggio saranno formulate indipendentemente anche dal visconte de Bonald nelle sue "Recherches philosophiques" (1818).
Ecco l'argomentazione filosofica di ROBERT SPAEMANN che, riprendendo Hamann, tiene in conto la posizione di Nietzche e la sua obiezione radicale.
"Vorrei chiarire ciò che penso, il fatto cioè che la verità presuppone Dio, con un ultimo esempio, una dimostrazione di Dio che sia, per così dire, Nietzsche-resistente, una dimostrazione di Dio a partire dalla grammatica, più esattamente dal cosiddetto Futurum exactum (il futuro anteriore).
Il Futurum exactum, il secondo futuro è per noi necessariamente connesso al presente. Dire di qualcosa che è adesso, equivale a dire nel futuro che quella cosa è stata. In questo senso ogni verità è eterna. Il fatto che il 10 dicembre 2009 numerose persone siano riunite a Roma per una conferenza di Robert Spaemann su “Razionalità e fede in Dio” non è vero solo oggi, ma è vero per sempre. Se noi oggi siamo qui, noi domani saremo stati qui. Come passato, come essere stato del futuro presente, il presente rimane sempre reale, sempre passato reale.
Tuttavia di che tipo è questa realtà? Si potrebbe dire: come visibilità nelle tracce che essa lascia con la sua azione causale. Tuttavia queste tracce si diradano sempre di più. E restano tracce fintantoché ciò che le ha lasciate, viene esso stesso ricordato.
Fintantochè il passato viene ricordato, non è difficile rispondere alla domanda sul genere del suo essere. Ha la sua realtà appunto nell’essere ricordato. Tuttavia il ricordo prima o poi svanisce. E prima o poi nessun uomo ci sarà più sulla terra. Alla fine perfino la terra scomparirà.
Poiché al passato appartiene sempre un presente, del quale il passato è passato, dovremmo dunque dire che con il presente che ricordiamo scompare anche il passato, e il futuro anteriore perde il suo significato. Tuttavia è proprio questo che non possiamo pensare.
La proposizione “nel futuro più lontano non sarà più vero che noi questa sera eravamo riuniti qui” è insensata. Non si lascia pensare. Se noi un giorno non saremo più stati, allora noi di fatto non siamo reali neanche adesso, così come il Buddismo afferma in modo consequenziale. Se la realtà presente un giorno non sarà più stata presente, allora essa non è affatto reale. Chi elimina il futuro anteriore elimina il presente.
Tuttavia, ancora una volta: di quale tipo è questa realtà del passato, l’eterno essere vera di ogni verità? L’unica risposta suona così: siamo costretti a pensare una coscienza che custodisce tutto ciò che accade, una coscienza assoluta. Nessuna parola pronunciata un giorno sarà un giorno non pronunciata, nessun dolore non sofferto, nessuna gioia non vissuta. Il passato può diradare, ma non si può fare in modo che non sia stato. Se la realtà esiste, allora il futuro anteriore è inevitabile e con esso il postulato del Dio reale.
“Io temo”, così scrive Nietzsche, “che non ci libereremo di Dio finchè continuiamo a credere alla grammatica”. Il problema è che non possiamo fare a meno di credere alla grammatica. Anche Nietzsche ha potuto scrivere quello che scrisse soltanto perché ha affidato alla grammatica ciò che ha voluto dire."
Per il testo integrale del suo intervento scarica il file seguente.