2 Maggio - LEONARDO DA VINCI: il cosmopolitismo degli intellettuali come espressione della frattura fra cultura e popolo.
Autore: Silvio Restelli. Curatore: don Gabriele Mangiarotti.Fu artista, scienziato e pittore italiano. Uomo d'ingegno e talento universale del Rinascimento italiano, incarnò in pieno LO SPIRITO UNIVERSALISTA DELLA SUA EPOCA, portandolo alle maggiori forme di espressione nei più disparati campi dell'arte e della conoscenza. Fu pittore, scultore, architetto, ingegnere, anatomista, letterato, musicista e inventore, ed è considerato uno dei più grandi geni dell'umanità.
LA FORTUNA CRITICA DEL PITTORE
La fortuna critica del pittore è stata immediata e non ha mai subito oscuramenti. Già per il Vasari «volle la natura tanto favorirlo, che dovunque e' rivolse il pensiero, il cervello e l'animo, mostrò tanta divinità nelle cose sue che nel dare la perfezione di prontezza, divinità, bontade, vaghezza e grazia nessun altro mai gli fu pari», e per il Lomazzo «Leonardo nel dar il lume mostra che habbi temuto sempre di non darlo troppo chiaro, per riservarlo a miglior loco et ha cercato di far molto intenso lo scuro, per ritrovar li suoi estremi. Onde con tal arte ha conseguito nelle facce e corpi, che ha fatto veramente miracoli, tutto quello che può far la natura. Et in questa parte è stato superiore a tutti, tal che in una parola possiam dire che 'l lume di Leonardo sia divino».
Per Goethe, «Leonardo si rivela grande soprattutto come pittore. Regolarmente e perfettamente formato, appariva, nei confronti della comune umanità, un esemplare ideale di essa. Come la chiarezza e la perspicacia dell'occhio si riferiscono più propriamente all'intelletto, così la chiarezza e l'intelligenza erano proprie dell'artista. Non si abbandonò mai all'ultimo impulso del proprio originario impareggiabile talento e, frenando ogni slancio spontaneo e casuale, volle che ogni proprio tratto fosse meditato e rimeditato».
Per il pittore Delacroix, Leonardo «giunge senza errori, senza debolezze, senza esagerazioni, e quasi d'un balzo, a quel naturalismo giudizioso e sapiente, lontano del pari dall'imitazione servile e da un ideale vuoto e chimerico. Cosa strana! Il più metodico degli uomini, colui che fra i maestri del suo tempo si è maggiormente occupato dei metodi di esecuzione, che li ha insegnati con tanta precisione che le opere dei suoi migliori allievi sono sempre confuse con le sue, quest'uomo, la cui maniera è così tipica, non ha retorica. Sempre attento alla natura, consultandola senza tregua, non imita mai sé stesso; il più dotto dei maestri è anche il più ingenuo, e nessuno dei suoi emuli, Michelangelo e Raffaello, merita quanto lui tale elogio».
Scrive Hippolyte Taine che «non c'è forse al mondo un esempio di genio così universale, inventivo, incapace di contentarsi, avido d'infinito e naturalmente raffinato, proteso in avanti, al di là del suo secolo e di quelli successivi.
Per il Wölfflin, «è il primo artista che abbia studiato sistematicamente le proporzioni nel corpo degli uomini e degli animali e si sia reso conto dei rapporti meccanici, nell'andare, nel salire, nel sollevare pesi e nel portare oggetti; ma anche quello che ha scoperto le più lontane caratteristiche fisionomiche, meditando coordinatamente sopra l'espressione dei moti dell'animo. Il pittore è per lui il chiaro occhio del mondo, che domina tutte le cose visibili».
Per Emilio Cecchi «da lui ebbe origine una pittura d'intensità insuperata, dove il rude chiaroscuro e luminismo di Masaccio è genialmente dedotto in una quantità di espressione plastica che, se ancora una volta dobbiamo richiamarci al ricordo della Grecia, non si può confrontare che alla grazia misteriosa e sublime della scultura prassitelica»
Per l'Argan, infine, in Leonardo «tutto è immanenza. L'esperienza della realtà deve essere diretta, non pregiudicata da alcuna certezza a priori: non l'autorità del dogma e delle scritture, non la logica dei sistemi filosofici, non la perfezione degli antichi. Ma la realtà è immensa, possiamo coglierla solo nei fenomeni particolari [...] e il fenomeno vale quando, nel particolare, manifesta la totalità del reale». Se nell'arte di Michelangelo predomina il sentimento morale, per cui dalla natura occorre riscattare la nostra esistenza spirituale con la quale siamo legati a Dio, in Leonardo predomina il sentimento della natura, «quello per cui sentiamo il ritmo della nostra vita pulsare all'unisono con quello del cosmo».
Considerato, per la vastità dei suoi interessi, la massima e irripetibile manifestazione del Rinascimento, Leonardo, non legato a nessuna città, Stato o principe, è il primo esempio del COSMOPOLITISMO DEGLI INTELLETTUALI ITALIANI, unico in Europa, ESPRESSIONE DI UNA FRATTURA FRA CULTURA E POPOLO DESTINATA A PROLUNGARSI FINO AI NOSTRI GIORNI.
La prosa di Leonardo viene giudicata tra le migliori del Rinascimento italiano; aliena da ogni retorica, artificio e sonorità, è tutta aderente alle cose: rifacendosi al linguaggio parlato, ha colore, robustezza, concisione, in modo da dare energia e spigliatezza all'espressione.
Per Francesco Flora, Leonardo si dimostrò inventore anche nella scrittura, tanto da apparire molto più moderno rispetto tanto ai suoi predecessori che ai suoi contemporanei: «Non diremo più il Boccaccio padre della prosa italiana [...] nel suo insieme la prosa di Boccaccio tende alla sintassi lirica [...] prosa fu quella del Convivio di Dante e d'alcune cronache e trattati; ma la prosa grande, la prima prosa grande d'Italia, è da trovare negli scritti di Leonardo: la prosa più alta del primo Rinascimento, sebbene in tutto aliena dal modello umanistico e liberamente esemplata sul comune discorso».