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2 dicembre - DE SADE, il padre del pensiero diffuso dominante

Autore: Silvio Restelli. Curatore: don Gabriele Mangiarotti.

Oggi 2 dicembre ricordiamo il vero padre filosofico del pensiero diffuso dominante il conte Donatien-Alphonse-François DE SADE conosciuto anche come D.A.F. de Sade, Marchese de Sade, Divin marchese, o semplicemente De Sade o Sade (Parigi, 2 giugno 1740 – Charenton-Saint-Maurice, 2 dicembre 1814), scrittore, filosofo, poeta, drammaturgo, saggista, aristocratico, criminale e politico rivoluzionario francese, delegato della Convenzione nazionale.

Come ha brillantemente argomentato Massimo Introvigne sul n. 54/79 di Cristianità nell’opera del marchese de Sade troviamo un preciso programma di ascetica sovversiva che mira a raggiungere l’apatia nella vita terrena attraverso un’ossessionante e monotona sequela di peccati: il culto della morte del corpo e dell’anima come culmine del pensiero sadiano.
Con de Sade la Rivoluzione sessuale viene enunciata come programma: ad altri, e in particolare a Reich (e alla attuale società dei consumi n.d.r.), spetta il compito di trasformarla in prassi rivoluzionaria.

L’elemento che riassume l’odio rivoluzionario è la volontà di distruggere i legami del mondo, le connessioni e le interdipendenze che costituiscono la regolarità del creato e quindi le sue leggi e il suo ordine.
Il processo storico può essere letto in questa chiave: la prima Rivoluzione, protestante-assolutista, distrugge i legami religiosi della società, il religamen (religio da religare, secondo la nota ipotesi etimologica) che faceva dell’Europa medievale un’unica Cristianità; la seconda Rivoluzione, liberale-illuminista, distrugge i legami politici, le solidarietà organiche dell’antica società di ordini e di stati; la terza Rivoluzione, comunista, con l’abolizione della proprietà privata, distrugge i superstiti legami economici. La "Quarta Rivoluzione", rivoluzione ulteriore allo stesso comunismo, si configura, in questa prospettiva, come tentativo di distruggere anzitutto i legami micro sociali, dopo che l’ordine macro sociale è stato negato e sconvolto dalle rivoluzioni precedenti.

E anzitutto mira a distruggere la più importante microsocietà, che è la famiglia; mentre il terrorismo, - considerato, qui, nel suo significato psicologico prima che politico - agendo da solvente del corpo sociale, distrugge le piccole solidarietà di quartiere e di vicinato, isola ogni individuo circondandolo con quel muro di paura che fa sì che non si osi più reagire quando il vicino è aggredito. L’aborto, infine, attenta a un legame non più sociale, ma biologico: il gesto del medico abortista che taglia il cordone ombelicale non per la vita ma per la morte raffigura efficacemente il programma rivoluzionario di dissoluzione che si esprime nella distruzione di ogni legame.
L’attacco ai legami che presuppongono un’alterità, e quindi una relazione fra soggetti diversi, non costituisce, tuttavia, l’elemento conclusivo della operazione rivoluzionaria. Se il movente della negazione dell’ordine del mondo è il fatto che quest’ordine riflette la perfezione di Dio, la Rivoluzione dovrà aggredire, da ultimo, l’ente che in modo eminente è creato a immagine e somiglianza di Dio, l’uomo, e volgersi contro i legami e le gerarchie che esistono in interiore homine.
"L’eroe sadico – scriverà il caposcuola della "filosofia del desiderio" post-strutturalista, Deleuze - appare come colui che si pone, quale compito da pensare, l’istinto di morte".