19 Ottobre - CAPITINI (1968) e POPIELUSKO (1984): due diversi modi di realizzare la nonviolenza
Oggi 19 Ottobre ricordiamo due grandi protagonisti della nonviolenza molto diversi tra di loro: Aldo Capitini (1968) e Jerzy Popielusko (1984).Possiamo dire che la nonviolenza è un metodo di lotta che mette d'accordo persone che abbracciano visioni del mondo e filosofie a volte anche contrapposte.
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ALDO CAPITINI fu uno tra i primi in Italia a cogliere e a teorizzare il pensiero gandhiano, al punto da essere chiamato il Gandhi italiano.
Aveva l'abitudine di definirsi un "religioso laico". Egli accomunava la religione alla morale in quanto essa critica la realtà e la spinge al cambiamento in positivo.
Quella di Capitini era un'opposizione religiosa al fascismo. Il sentimento religioso, inoltre, nasce nei momenti di difficoltà e sofferenza, in particolare nel rapporto individuale con la morte.
L'idea di laicità nasceva dal distacco di Capitini dalla Chiesa cattolica, complice - a suo avviso - del regime: egli sosteneva che col concordato del 1929 la Chiesa avesse legittimato il potere di Mussolini dimenticando le violenze squadriste e, in tal modo, lo sostenesse garantendo la sua moralità di fronte alla maggior parte della popolazione che riponeva fiducia nell'istituzione religiosa.
Col termine persuasione, ripreso da Carlo Michelstaedter, Capitini indicava la fede, la profonda credenza in determinati valori ed assunti.
L'apertura è l'opposto della chiusura conservatrice ed autoritaria del fascismo, è l'elevazione dell'anima verso l'alto e verso Dio.
Un concetto chiave nella filosofia capitiniana era la compresenza di tutti gli esseri, dei morti e dei viventi, legati tra loro ad un livello trascendente, uniti e compartecipi nella creazione di valori.
Nella vita sociale e politica la compresenza si traduce in omnicrazia, o governo di tutti, un processo in cui la popolazione tutta prende parte attiva alle decisioni e alla gestione della cosa pubblica.
Non può mancare il concetto di nonviolenza, un ideale nobile, sinonimo di amore, coerenza di mezzi e fini, la forza in grado di sconfiggere il fascismo.
L'educazione profetica è quella di colui che, con uno sguardo al futuro, è capace di criticare la realtà sulla base di valori morali, anche a costo di sembrare fuori dal suo tempo.
Con l'espressione civiltà pompeiana-americana intende biasimare la mentalità materialista che vede nel lusso e nel possesso la realizzazione dell'uomo.
Il "tempo aperto" è il tempo libero che ognuno potrebbe destinare alla discussione, alla socializzazione, al raccoglimento, all'elevazione spirituale.
Antonio Vigilante in un articolo pubblicato con il titolo "L’educazione nella pace per l’intelligenza, contro la stupidità", sulla rivista "Azione nonviolenta", Numero 6 - Giugno 2009, pag. 10, ci presenta anche il suo pensiero pedagogico nella chiave della reciprocità: il maestro - per Capitini - porta nella relazione educativa il senso doloroso del limite e la consapevolezza dei valori, il fanciullo porta l'apertura ad una realtà liberata. Entrambi contribuiscono all'incontro – il più straordinario incontro che sia possibile tra esseri umani – con qualcosa di essenziale.
Entrambi hanno qualcosa da comunicare. Comunicando profondamente, essi mettono in comune quello che sono. La comunicazione si fa comunione, accettazione e riconoscimento reciproco.
L'educazione è pace – cioè educazione piena – quando la nozione si fa esperienza, e l'esperienza si fa intelligenza.
Il primo passo è la conoscenza ricevuta, la nozione, il dato trasmesso attraverso la lezione disciplinare del docente o quella di vita del genitore. E' un primo passo assolutamente insufficiente, anche se in molte realtà che si pretendono educative non si tentano passi ulteriori.
JERZY POPIELUSZKO, (1984) è eroe della libertà e testimone della fede, e ci appare come «l'autentico profeta dell'Europa, quella che afferma la vita attraverso la morte», ha detto Giovanni Paolo II.
Un messaggio più che mai attuale a trentotto anni dal suo martirio.
Usiamo le parole illuminate di Luigi Geninazzi per descrivere su Avvenire - nel 2004 - la sua fondamentale figura.
...Aveva solo 37 anni ed era già diventato un simbolo per i polacchi, nonostante l'aspetto modesto e il fisico malaticcio. Era un puro di cuore che dietro il viso da adolescente nascondeva una volontà di ferro e una passione incondizionata per la verità. Non era un politicante, anzi si mostrava fin troppo schivo e riservato. Quando una volta gli chiesi un'intervista rifiutò decisamente: «Sono solo un povero prete. Se vuol sapere come la penso venga a sentire quel che dico ai fedeli».
Era lì, nella chiesa affollata all'inverosimile di san Stanislao Kostka, nel quartiere operaio di Zoliborz a Varsavia, che don Jerzy una volta al mese celebrava la «Messa per la patria», una tradizione che risaliva all'Ottocento quando la Polonia senza Stato difendeva la sua identità rifugiandosi sotto il manto della Chiesa cattolica.
«Poiché con l'instaurazione della legge marziale (introdotta nel dicembre 1981, ndr) ci è stata tolta la libertà di parola, ascoltiamo la voce del nostro cuore e della nostra coscienza» diceva, invitando i polacchi «a vivere nella verità dei figli di Dio, non nella menzogna imposta dal regime».
Oltre che di grande coraggio il piccolo don Jerzy era dotato di humour. A conclusione delle Messe per la patria chiedeva ai fedeli di pregare «per coloro che sono venuti qui per dovere professionale», mettendo in imbarazzo gli spioni del Sb, il servizio di sicurezza, che in chiesa si trovavano a loro agio come un sordomuto a un concerto rock.
Avevano deciso di fargliela pagar cara. Iniziarono con le minacce, seguirono con le perquisizioni che portarono alla "scoperta" di materiale esplosivo in canonica e all'ordine d'arresto per il «prete sovversivo». Lui manteneva il suo sorriso triste da fanciullino. Fino a quando, la notte del 19 ottobre, gli maciullarono la bocca dopo avergli fracassato il cranio a colpi di manganello.
Un delitto compiuto con ferocia bestiale, raccontato nei macabri dettagli dagli assassini nel corso di un drammatico processo.
I mandanti non furono mai giudicati. Gli imputati vennero condannati ma ebbero la pena ridotta e sono già usciti tutti dal carcere. È triste ammetterlo, ma sembra che i crimini efferati di quel regime siano rimasti sepolti sotto le macerie del comunismo.
Don Jerzy invece continua a vivere: sulla sua tomba si recano in pellegrinaggio milioni di persone che lo venerano come il testimone della resistenza morale e spirituale della nazione polacca.
Il 19 dicembre 2009 papa Benedetto XVI ha autorizzato la Congregazione per le cause dei santi a promulgare il decreto riguardante "il martirio del Servo di Dio Giorgio Popieluszko, sacerdote diocesano; nato il 14 settembre 1947 ad Okopy Suchowola (Polonia) e ucciso in odio alla fede il 20 ottobre 1984 nei pressi di Wloclawek (Polonia)”.
La solenne messa di beatificazione di don Jerzy Popieluszko è stata celebrata a Varsavia domenica 6 giugno 2010, nella piazza intitolata al maresciallo Pilsudski.
Geninazzi su Popielusko
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Intervista a Geninazzi
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Quarantesimo anniversario di Danzica con intervista al regista del film su Popielusko
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Scheda film su Popielusko
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Ecco la bella intervista alla madre di Popielusko. Vedi qui.