19 luglio - PAOLO EMANUELE BORSELLINO, grande magistrato italiano, vittima della mafia o anche dello Stato? Un bilancio dopo 30 anni.

''UCCISI, TRADITI, DIMENTICATI. 57 GIORNI DOPO FALCONE: PAOLO BORSELLINO'' - 18 LUGLIO 2022, PALERMO
Vedi qui.

Per facilitare la visione riportiamo i minuti dei principali interventi.
Aaron Pettinari
Dal minuto 4 fino al minuto 9 e 45

Video sintetico
dal minuto 9 e 46 fino al minuto 15

Roberto Scarpinato.
Denuncia dello status quaestionis molto documentata.
Dal minuto 15 al minuto 1 h e 1m

Antonio Ingroia
dal minuto 2 h e 05 fino al 2h e 45 (40 minuti da ascoltare)

Sonia Bongiovanni legge Saverio Lodato
Da 2 h 58 minuti fino a 3 e 07 (7 minuti di sintesi)

Paolo Borsellino (Palermo, 19 gennaio 1940 – Palermo, 19 luglio 1992) è considerato un eroe italiano, come Giovanni Falcone, di cui fu amico e collega.
Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia di Carini con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si recò insieme alla sua scorta in via D'Amelio, dove viveva sua madre.

Una Fiat 126 imbottita di tritolo che era parcheggiata sotto l'abitazione della madre detonò al passaggio del giudice, uccidendo oltre a Borsellino anche i cinque agenti di scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
L'unico sopravvissuto fu l'agente Antonino Vullo, scampato perché al momento della deflagrazione stava parcheggiando uno dei veicoli della scorta.
Una settimana dopo la strage, la giovanissima testimone di giustizia Rita Atria, che proprio per la fiducia che riponeva nel giudice Borsellino si era decisa a collaborare con gli inquirenti pur al prezzo di recidere i rapporti con la madre, si uccise.

Diversi pentiti di mafia ritrattarono alcune accuse precedentemente espresse.
Ecco una sua dichiarazione in un intervento pubblico, rispondendo alla domanda degli studenti di una scuola superiore:
«L'equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. E NO! questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: beh! Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest'uomo è mafioso. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica.
Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto. Ma dimmi un poco, ma tu non ne conosci di gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c’è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia, non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati.» (Paolo Borsellino, Istituto Tecnico Professionale di Bassano del Grappa 26/01/1989)

Rilasciò interviste e partecipò a numerosi convegni per denunciare l'isolamento dei giudici e l'incapacità o la mancata volontà da parte della politica di dare risposte serie e convinte alla lotta alla criminalità. In una di queste Borsellino descrisse le ragioni che avevano portato all'omicidio del giudice Rosario Livatino e prefigurò la fine (che poi egli stesso fece) che ogni giudice "sovraesposto" è destinato a fare.

Alla presentazione di un libro alla presenza dei ministri dell'interno e della giustizia, Vincenzo Scotti e Claudio Martelli, nonché del capo della polizia Vincenzo Parisi, dal pubblico fu chiesto a Borsellino se intendesse candidarsi alla successione di Falcone alla "Superprocura"; alla sua risposta negativa Scotti intervenne annunciando di aver concordato con Martelli di chiedere al CSM di riaprire il concorso, invitandolo formalmente a candidarsi.
Borsellino non rispose a parole, sebbene il suo biografo Lucentini abbia così descritto la sua reazione: "dal suo viso trapela una indignazione senza confini".
Rispose al ministro per iscritto, giorni dopo:
"La scomparsa di Giovanni Falcone mi ha reso destinatario di un dolore che mi impedisce di rendermi beneficiario di effetti comunque riconducibili a tale luttuoso evento". (Umberto Lucentini, Paolo Borsellino. Il valore di una vita, Mondadori, 1994)

Ecco il link all'intervista di Gianni Minà ad Antonino Caponnetto.

Per una esauriente analisi vedi la voce STRAGE DI VIA D'AMELIO al seguente link