17 maggio - LUIGI CALABRESI, martire della giustizia.
Oggi 17 maggio ricordiamo i 52 anni dell'assassinio di LUIGI CALABRESI (Roma, 14 novembre 1937 – Milano, 17 maggio 1972), brillante funzionario di polizia e vero testimone di impegno cristiano riconosciuto immediatamente da Paolo VI e da Giovanni Paolo II e proposto per la beatificazione. Fu ucciso in un attentato i cui colpevoli vennero individuati solo dopo molti anni nelle persone di Ovidio Bompressi e Leonardo Marino quali esecutori, mentre Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri furono ritenuti i mandanti. Tutti erano esponenti di Lotta Continua.Il 17 maggio 1973, a un anno dall'assassinio, durante l'inaugurazione di un busto commemorativo in memoria del commissario nel cortile della Questura di via Fatebenefratelli di Milano, cerimonia cui partecipò l'allora Ministro dell'Interno Mariano Rumor, Gianfranco Bertoli, dichiaratosi anarchico (si scoprirà diversi anni dopo essere stato, tra il 1966 ed il 1971, informatore del SIFAR prima e agente infiltrato agli ordini del SID poi, con il nome in codice «Negro»), lanciò una bomba a mano tra i partecipanti alla commemorazione. L'esplosione uccise 4 persone e ne ferì 52, ma non colpì Rumor indicato come probabile obiettivo, già allontanatosi dal cortile. Gianfranco Bertoli, che era da poco tornato in Italia dopo un periodo trascorso in un kibbutz israeliano, rivendicò l'azione come vendetta per la morte di Pinelli urlando: «Morirete tutti come Calabresi e ora uccidetemi come Pinelli».
Nel 1988 Leonardo Marino, un ex militante di Lotta Continua, sì pentì e confessò di aver partecipato insieme ad Ovidio Bompressi all'assassinio del commissario, indicando i mandanti del delitto in Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri, anch'essi in precedenza militanti e ai vertici di LC. Leonardo Marino è stato condannato a 11 anni di reclusione (pena poi prescritta grazie alle attenuanti generiche), mentre Ovidio Bompressi, Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri a 22 anni (tutti - tranne Pietrostefani - sono attualmente in libertà).
Venne insignito della medaglia d'oro al merito civile alla memoria.
Pubblichiamo un articolo che dà l’idea della campagna di odio orchestrata per anni nei confronti del funzionario di pubblica sicurezza, accusato ingiustamente della morte dell’anarchico Pinelli, circostanza che il processo dimostrerà falsa. Il commissario, nonostante la campagna d'odio scatenata contro di lui, non fruiva di scorta, né di alcuna forma di tutela per la sua incolumità personale. Di seguito la copertina che annuncia l’omicidio senza alcun accenno di condanna.
Il giorno 13 giugno 1971, insieme a un articolo di Camilla Cederna intitolato “Colpi di scena e colpi di karate. Gli ultimi incredibili sviluppi del caso Pinelli”, nel quale erano ripresentate le diverse tesi sulla morte di Pinelli, L’Espresso pubblicò una lettera aperta, inizialmente sottoscritta da dieci firmatari (Marino Berengo, Anna Maria Brizio, Elvio Fachinelli, Lucio Gambi, Giulio A. Maccacaro, Cesare Musatti, Enzo Paci, Carlo Salinari, Vladimiro Scatturin e Mario Spinella), che nelle settimane successive raccolse l’adesione di oltre settecento personalità della cultura, della politica e del giornalismo, tra le quali Giorgio Amendola, Norberto Bobbio, Pierre Carniti, Lucio Colletti, Giulio Einaudi, Umberto Eco, Federico Fellini, Natalia Ginzburg, Luigi Nono, Giancarlo Pajetta, Natalino Sapegno, Mario Soldati, Bernardo Valli, Tiziano Terzani, Corrado Vivanti.
La lettera era molto dura nel merito e nei toni e contestava aspramente tutti coloro che avevano guidato le istituzioni in questa vicenda. Contestava Calabresi come «chi porta la responsabilità» della fine di Pinelli, il giudice Biotti che aveva «inquinato» il processo «con i meschini calcoli di un carrierismo senile», il difensore Lener per aver nascosto «le trame di un’odiosa coercizione», ma anche il questore Guida e il suo «arbitrio calunnioso» e la «indegna copertura» concessa dai giudici Caizzi e Amati, e si concludeva con una «ricusazione di coscienza – che non ha minor legittimità di quella di diritto – rivolta ai commissari torturatori, ai magistrati persecutori, ai giudici indegni», con la richiesta di allontanamento di tutti loro (cfr. Sofri, 2009, p. 267 ss.). Molto pochi dei 754 firmatari hanno chiesto scusa del loro gravissimo atteggiamento che ha armato la mano degli assassini del Commissario, dichiarato – anche in sede giudiziaria - totalmente estraneo alla morte di Pinelli, in qualunque modo sia avvenuta.