17 aprile - GUIDO CALOGERO: il liberalsocialismo e il "Partito d'Azione".

Oggi 17 aprile ricordiamo GUIDO CALOGERO (Roma, 4 dicembre 1904 – Roma, 17 aprile 1986) filosofo, saggista e politico italiano. Ha rappresentato per la sua intensa attività politica e di pensiero uno fra i più attivi e impegnati intellettuali del nostro Paese.
Diresse l'Istituto italiano di cultura a Londra. Fu membro dell'Accademia Nazionale dei Lincei.

La vita e la formazione culturale
Nacque a Roma il 4 dicembre 1904, da padre messinese, Giorgio, professore di francese e da Ernesta Michelangeli, figlia di Luigi. Quest'ultimo, di origini marchigiane, fu professore universitario di letteratura greca e poeta carducciano. Al nonno poeta, Calogero, tra le altre voci che scrisse per incarico della Enciclopedia Italiana (e di queste: "Socrate", "Platone", "Logica"), ne dedicò una.

La madre Ernesta era stata la prima studentessa universitaria a giungere alla laurea nell'Università di Messina. Guido, figlio unico fu particolarmente curato nella sua formazione culturale sia da parte dei genitori che dei nonni: del resto le sue qualità intellettuali ebbero modo di rivelarsi sin dall'inizio quando, ad appena 16 anni, ebbe pubblicata una raccolta di poesie, dai toni dannunziani, dalla casa editrice Signorelli. Aveva frequentato il ginnasio a Pisa e il Liceo al ‘Mamiani' di Roma, dove conseguì la maturità classica con un anno di anticipo, nel 1921. Si iscrisse alla Facoltà di Lettere de La Sapienza, dove sviluppò i suoi interessi per l'italiano, il latino e il greco.

Ma la lettura di Benedetto Croce e l'esperienza dell'insegnamento di Giovanni Gentile lo portarono a dedicarsi agli studi filosofici. Nel 1925 si laurea con una tesi che sarà pubblicata nel 1927 col titolo "I fondamenti della logica aristotelica". Pur divisi ideologicamente i rapporti tra Giovanni Gentile e Calogero, che aveva aderito all'antifascismo, furono sempre di amicizia anche durante i frequenti soggiorni di quest'ultimo in Germania, dove verrà schedato dalla polizia come nemico politico.

Il liberalsocialismo
Dal 1935 Calogero - dopo essere stato chiamato alla cattedra di storia della filosofia all'Università di Pisa - venne chiamato da Gentile a tenere esercitazioni di "Storia della Filosofia" alla Normale di Pisa, dove tenne le sue lezioni impegnandosi intellettualmente nel frattempo nell'attività antifascista clandestina dentro e fuori la Scuola.
In Toscana conobbe e frequentò Aldo Capitini, e dalla loro comunanza del sentire politico nacque nel 1940 il "Manifesto del liberalsocialismo".

L'antifascismo nazionale fu attirato dal loro programma politico, in special modo i giovani che in seguito alla guerra di Spagna stavano scoprendo la vera natura del fascismo. Il liberalsocialismo si faceva portatore di un antifascismo etico-politico, distinto rispetto all'antifascismo popolare che si opponeva al regime soprattutto per le proprie difficili condizioni di vita.

Mentre le classi popolari antifasciste confluivano naturalmente nelle file degli organizzati partiti di matrice marxista, i giovani intellettuali si ritrovavano più adatti all'opposizione etico-culturale di Capitini e degli antifascisti laici borghesi tra cui Luigi Russo, Piero Calamandrei, Ranuccio Bianchi Bandinelli e Alberto Carocci che s'impegnarono, prima ancora dell'entrata in guerra dell'Italia a fianco dei tedeschi, nel diffondere l'antifascismo soprattutto nella regione toscana.

"Giustizia e libertà"
Dopo l'entrata in guerra dell'Italia, motivo questo preminente nel generare un più diffuso antifascismo tra le classi popolari, i liberal-socialisti continuarono a fare opposizione prevalentemente nell'ambito dell'antifascismo borghese. Mentre ebbero contatti sporadici e individuali con gli antifascisti cattolici e comunisti, divenne più frequente e continua la collaborazione con il movimento politico di Giustizia e Libertà fondato da Carlo Rosselli nel 1929 a Parigi, anche se i liberalsocialisti si dedicarono prevalentemente all'opposizione interna evitando volutamente contatti con l'emigrazione giellista. Si confrontavano i due movimenti: i liberal-socialisti di Calogero, prendendo ispirazione dalla dottrina crociana volevano approdare ad un socialismo democratico, il percorso invece del socialismo liberale di Rosselli con "Giustizia e Libertà" era l'inverso: da un socialismo aperto e riformatore giungere ad un nuovo sistema liberale. I due movimenti si trovavano comunque concordi nel mettere in atto il punto principale dei loro programmi: rendere quanto più attivo l'impegno nella lotta al fascismo.

La repressione fascista
Questa più intensa attività causò naturalmente l'intervento della polizia e del Tribunale speciale che colpì duramente con un'ondata di arresti e di denunce gli esponenti del Partito d'Azione nato clandestinamente negli anni 1942-1943 dalla confluenza di Giustizia e Libertà e dei liberal-socialisti. Il programma del nuovo partito prevedeva la nascita di una repubblica italiana e la realizzazione di un'economia mista con la nazionalizzazione dei grandi monopoli industriali e finanziari.
Arrestato dalla polizia fascista a Bari, Calogero fu condannato al confino a Scanno, in Abruzzo. Qui, nel settembre del '43, dopo l'armistizio, incontrò un suo ex-discepolo Carlo Azeglio Ciampi, che aderì al Partito d'Azione.

L'attività politica nel dopoguerra
Finita la guerra Calogero continuò ad impegnarsi per realizzare il suo programma liberal-socialista allacciando rapporti d'amicizia e di comunanza politica con Norberto Bobbio che però si dimostrava piuttosto scettico sulle effettive possibilità che il liberalsocialismo riuscisse ad affermarsi in Italia.

Calogero continuò a militare nel Partito d'Azione che per il suo scarso radicamento popolare ottenne appena 7 seggi alla Costituente (1946) e quindi si dissolse poco dopo. Non per questo terminò l'impegno sociale e politico di Calogero che si schierò in seguito a sostegno del Fronte popolare nelle cruciali elezioni politiche del 1948, che contrariamente alle speranze della sinistra, segnarono il successo elettorale dei partiti guidati dalla Democrazia cristiana. Collaborò alla rivista “Il Mondo” di Mario Pannunzio dalle cui colonne avviò una campagna di stampa per la scuola laica. Fu a fianco di Danilo Dolci che denunciava lo strapotere della mafia siciliana appoggiata dal regime politico locale e nazionale.

Nel dicembre del 1955 fu tra i fondatori del Partito Radicale e nel 1958 s'iscrisse tra i candidati nella lista repubblicana-radicale per la Camera dei deputati. Uscito dal partito il 30 ottobre del 1966, aderì al Partito Socialista Unificato, che riuniva il Psi e il Psdi.

Ritiratosi dalla vita politica attiva, continuò a trattare temi sociali come direttore della rivista Panorama. Fu inoltre Direttore de «La Cultura. Rivista di filosofia, letteratura e storia», sulla copertina della quale fece incidere una riproduzione di un'antica erma di Socrate che reca la famosa frase, tratta dal Critone di Platone (46 b), «sono sempre stato tale da non lasciarmi persuadere da nient'altro se non dal discorso che, alla mia ragione, appaia il migliore». Morì a Roma il 17 aprile 1986.

Il pensiero
La filosofia della presenza
La sua «filosofia della presenza», intesa come continua presenza e consapevolezza dell'io con se stesso («io non posso mai pensarmi fuori di me; io sono la mia continua consapevolezza») comporta la inevitabile responsabilità delle proprie azioni ispirate ai propri principi morali prescindendo da ogni gerarchia di valori che si pretendano assoluti.
Ciascuno di noi si trova quindi a dover operare delle scelte in riferimento ai propri valori: «Ogni valutazione è autonoma, compiendosi nella sfera di quella presenza soggettiva, che non può mai risolversi in nulla d'altro. Sono io che valuto, io che approvo e disapprovo, e che di conseguenza decido». (G. Calogero, Etica, Giuridica, Politica, II vol. delle Lezioni di filosofia, Einaudi, Torino 1960, III ed., p. 22).

L'inutilità della metafisica
Né l'ontologia né la metafisica possono, secondo Calogero orientare le nostre scelte. Se per esempio io decidessi di orientare la mia vita in vista dell'immortalità: «L'immortale non ha valore per il solo fatto di essere immortale, ma anzi merita di essere immortale solo se ha valore anche quando è mortale. Solo quando un certo tipo di esistenza è preferibile, essa merita di diventare eterna: ma il semplice fatto che si annunci eterna non stabilisce che sia preferibile» (G. Calogero, "L'immortale", in Quaderno laico, Laterza, Bari 1967, pp. 21-22, la citaz. è a p. 22). L'immortalità quindi non serve come principio ispiratore della mia esistenza. È al contrario la nostra vita che dà senso alle teorie metafisiche che noi sceglieremo. Nessuno potrà mai giustificarsi per aver agito obbedendo a regole esterne: la responsabilità di ciò che ha fatto con la sua scelta sarà sempre e soltanto sua.

L'etica non determinata dalla logica
Alla base di ogni nostra scelta vi dovrà essere la scelta dell'etica che secondo C. non può essere determinata da principi logici. I filosofi hanno cercato spesso di fornire una dimostrazione della necessità logica dell'etica, non capendo, secondo Calogero, che non si può dimostrare il dovere etico, se quello stesso dovere non è sentito da chi lo accetta come tale.

Per Mario Peretti, invece, una teoria del genere non è accettabile:
«La logica dimostra e fonda l'etica, non nel senso che preceda temporalmente la buona volontà, ma nel senso che questa non potrà trovare un fondamento razionale, una dimostrazione della giustizia della propria scelta, se non appunto nella logica» (Mario Peretti, "La filosofia del dialogo di Guido Calogero", in Rivista di filosofia neoscolastica, 1968, LX, n. 1, pp. 70-95, la citaz. è a p. 76).

Calogero controbatte che la tesi di Peretti per esempio dovrà essere dimostrata e ci sarà qualcuno che lo ascolterà perché questi ha compiuto una scelta etica di comprensione e di tolleranza delle idee altrui. Non esiste una Logica al di fuori degli uomini che la realizzano e la utilizzano. Anche ammettendo che la la scelta etica fosse fatta previa dimostrazione logica, anche in quel caso, non sarebbe la Logica ad imporla o a dimostrarne la necessità, ma sarebbe sempre l'Io a decidere di accettarla. Altrimenti si correrebbe il rischio di un Io che rivolga le responsabilità delle sue scelte a un'entità trascendente che lo manovri e diriga.

La teoria sul pensiero greco arcaico
Guido Calogero si dedicò in modo particolare ai problemi logici del pensiero antico trattati nelle opere: I fondamenti della logica aristotelica (1927), gli Studi sull'eleatismo (1932) e nei primi quattro capitoli della Storia della logica Antica (1967).
Nel 1927 grazie ad una borsa di studio Calogero trascorse un lungo periodo presso l'Università di Heidelberg dove incontrò pensatori come Heinrich Rickert, Raymond Klibansky e conobbe l'opera di Ernst Cassirer.
Avvalendosi delle conoscenze sul pensiero di questi studiosi e dei suoi studi su Aristotele, egli comincia a definire un concetto di "età arcaica".
Mentre Cassirer parlava di un'età mitica dove non si distingueva tra parola e cosa, riferendola al passaggio dal pensiero primitivo a quello razionale adulto, Calogero vi vedeva una "coalescenza arcaica", una specie di fusione di linguaggio, realtà e verità.

Nel primo capitolo della Storia della logica antica, dedicato a "La struttura del pensiero arcaico", Calogero espone la sua teoria secondo la quale i greci avevano una visione della realtà come "spettacolo": la vista era, ed è, infatti, tra i cinque sensi, quello primario per la specie umana, che mette in contatto diretto con il mondo esterno.
I Greci, sostiene Calogero, in epoca arcaica non distinguevano dunque tra visibilità [1], esistenza e pensiero: solo ciò che era visibile esisteva veramente e quindi poteva essere pensato. Questa interpretazione veniva da Calogero, e successivamente dallo storico della filosofia antica Gabriele Giannantoni, suffragata da una serie di prove indirette:
* il termine" idea" deriva da una radice "id" del verbo greco "orao" che vuol dire vedere. Ancora in Platone l'"idea" è il risultato di una visione, sia pure intellettuale, del mondo dell'iperuranio;
* la forma più antica della letteratura greca è la storia, dal greco "istor", che vuol dire "testimone oculare": lo storico, cioè, può narrare avvenimenti esistenti perché li ha visti con i suoi occhi, mentre, al contrario, colui che narra vicende fantastiche o irreali è anticamente rappresentato come cieco;
* l'architettura greca arcaica privilegia negli edifici la parte frontale, quella più visibile, e lascia non ornati gli altri lati;
* la forma più antica di scultura è il bassorilievo, che della scena rappresentata privilegia la parte visibile allo spettatore, mentre la scultura a tutto tondo è storicamente posteriore;

La religione più antica, quella dei misteri sembra contraddire questa teoria. I misteri infatti venivano celebrati in luoghi appartati e la stessa parola richiama il buio, la segretezza. In effetti il termine misteri deriva da mùstoi, a sua volta derivato dal verbo muo, che significa "coloro che serrano la bocca e strizzano gli occhi" come si fa appunto per vedere meglio. I mùstoi, cioè, sono quelli che vogliono vedere l'invisibile.
Una permanenza di questa indistinzione tra essere e pensiero Calogero la riscontra nei suoi studi su gli eleati, e in particolare su Parmenide, il filosofo convinto che pensare ed essere siano la stessa cosa e che non si possa pensare il "non essere".

Indistinzione di ontologia, logica e linguaggio
A questo atteggiamento visivo si aggiungeva, secondo la teoria di Calogero, la credenza per i greci arcaici, che solo ciò che può essere pensato può essere nominato.
Il nome, cioè, non ha ancora un significato simbolico e convenzionale ma è ciò che attribuisce realtà alla cosa esistente: la cosa ha quindi il nome che le è proprio e questo è l'unico che possa avere.
Da ciò deriva la difficoltà a dare nome a realtà come quella di un fiume, che cambia continuamente.
Sarà Eraclito che stabilirà che "tutto muta, meno la legge del mutamento" e cioè che tutto muta meno la legge intesa come logos, la "parola" che acquista il suo valore simbolico e che quindi ci darà stabilità in una realtà concepita in continuo mutamento.
La sopravvivenza della convinzione che il nome renda reali gli eventi permane per molto tempo nei riti sacerdotali e magici dove la "formula", che deve essere pronunziata nella sua esattezza nominale, realizza l'avvenimento invocato.

Note
1. «È opportuno, allora, poiché facciamo parte di questa tradizione, interrogarci sul significato originario di sapientia; il latino sapere significa avere sapore, da cui può derivare avere senno, essere perspicace. Questa duplicità rimane nel nostro uso linguistico, con alcune sfumature: diciamo che un cibo sa di qualcosa o è insipido; un cibo è sapido e insipido, una persona sapiente (in disuso per evidenti ragioni) o insipiente; insomma in origine è presente una connessione con un senso, il gusto, qualcosa di istintivo; in greco una connessione del genere si ha con il verbo noein, (nous, noesis), che viene da una radice snovos, snow, annusare, fiutare, capacità di (diremmo oggi 'captare', subodorare, snasare) presentire, di accorgersi istintivamente di qualcosa, una situazione, un pericolo, dunque una sorta di sapere diretto e istintivo. In Omero noein significa vedere, un vedere che può essere inteso e tradotto con riconoscere.
Iliade V 590:
Ettore li vide tra le file
Il. XV 423-4:
Ettore come vide (enòesen) con gli occhi il cugino (Caletore ucciso da Aiace) cader nella polvere davanti alla nave nera
Dopo Omero noein non designa più il vedere. In seguito noein diviene propriamente il verbo che indica il pensare e nous designa l'intelletto; ma anche quando questi termini si sviluppano con un significato tecnico, essi indicano sempre un'apprensione in qualche modo diretta, immediata, un'intuizione, opposta a forme di pensiero discorsivo.» (In Bruno Centrone, Istituzioni di storia della filosofia antica, Pisa, 1970)