15 giugno - GIUSEPPE ALBERIGO: l'ermeneutica della discontinuità.
GIUSEPPE ALBERIGO (Cuasso al Monte, 21 gennaio 1926 – Bologna, 15 giugno 2007) fu tra i più importanti storici italiani della Chiesa cattolica, studiò alla scuola di Hubert Jedin, storico tedesco, e poi di Delio Cantimori a Firenze; suo maestro fu Giuseppe Dossetti.Tra i fondatori della facoltà di scienze politiche dell'Università di Bologna, fu professore emerito di "Storia della Chiesa" nella Facoltà di Scienze politiche dell'Università di Bologna e direttore per moltissimi anni dell'Istituto per le Scienze religiose di via S.Vitale, fondato da Giuseppe Dossetti.
La sua opera più importante fu la direzione dell'iniziativa editoriale Storia del Concilio Vaticano II, ma il suo carattere "progressista" non ha avuto un'unanime accoglienza in ambito cattolico, con recensioni critiche apparse su l'Osservatore Romano.
Fu l'esponente più accreditato DELL'ERMENEUTICA DELLA DISCONTINUITÀ rispetto al Concilio Vaticano II nel quale sarebbe avvenuto il superamento definitivo della Chiesa pre-conciliare da parte della nuova Chiesa fondata più sullo Spirito del Concilio che sulla lettera dei vari Decreti.
L'ermeneutica della continuità ha ispirato il pontificato di papa san Giovanni Paolo II ed è stata formulata esplicitamente da papa Benedetto XVI il 22 dicembre 2005, pochi mesi dopo la sua elezione a Papa, con la severa critica dell'ermeneutica della discontinuità.
«Perché la recezione del Concilio, in grandi parti della Chiesa, finora si è svolta in modo così difficile? Ebbene, tutto dipende dalla giusta interpretazione del Concilio o – come diremmo oggi – dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di lettura e di applicazione.
I problemi della recezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro.
L'una ha causato confusione, l'altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti.
Da una parte esiste un'interpretazione che vorrei chiamare "ermeneutica della discontinuità e della rottura"; essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna. Dall'altra parte c'è l'"ermeneutica della riforma", del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino.»
«L'ermeneutica della discontinuità rischia di finire in una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare. Essa asserisce che i testi del Concilio come tali non sarebbero ancora la vera espressione dello spirito del Concilio. Sarebbero il risultato di compromessi nei quali, per raggiungere l'unanimità, si è dovuto ancora trascinarsi dietro e riconfermare molte cose vecchie ormai inutili.
Non in questi compromessi, però, si rivelerebbe il vero spirito del Concilio, ma invece negli slanci verso il nuovo che sono sottesi ai testi: solo essi rappresenterebbero il vero spirito del Concilio, e partendo da essi e in conformità con essi bisognerebbe andare avanti. Proprio perché i testi rispecchierebbero solo in modo imperfetto il vero spirito del Concilio e la sua novità, sarebbe necessario andare coraggiosamente al di là dei testi, facendo spazio alla novità nella quale si esprimerebbe l'intenzione più profonda, sebbene ancora indistinta, del Concilio. In una parola: occorrerebbe seguire non i testi del Concilio, ma il suo spirito.»
(Benedetto XVI, Discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005)
Successivamente alla presentazione del ddl sui Dico presentato dai ministri Rosy Bindi e Barbara Pollastrini e alle critiche venute dalle gerarchie ecclesiastiche, il 13 febbraio 2007 Giuseppe Alberigo promosse un appello pubblico in cui invitava la Conferenza episcopale italiana a non intervenire con una nota ufficiale che imponesse un voto ai politici cattolici italiani.
"La chiesa italiana, malgrado sia ricca di tante energie e fermenti, sta subendo un'immeritata involuzione. L'annunciato intervento della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana, che imporrebbe ai parlamentari cattolici di rifiutare il progetto di legge sui "diritti delle convivenze" è di inaudita gravità. Con un atto di questa natura l'Italia ricadrebbe nella deprecata condizione di conflitto tra la condizione di credente e quella di cittadino. Condizione insorta dopo l'unificazione del Paese e il "non expedit" della S.Sede e superata definitivamente solo con gli accordi concordatari. Denunciamo con dolore, ma con fermezza, questo rischio e supplichiamo i Pastori di prenderne coscienza e di evitare tanta sciagura, che porterebbe la nostra Chiesa e il nostro Paese fuori dalla storia. Si può pensare che il progetto di legge in discussione non sia ottimale, ma è anche indispensabile distinguere tra ciò che per i credenti è obbligo, non solo di coscienza ma anche canonico, e quanto deve essere regolato dallo stato laico per tutti i cittadini. Invitiamo la Conferenza Episcopale a equilibrare le sue prese di posizione e i parlamentari cattolici a restare fedeli al loro obbligo costituzionale di legislatori per tutti."
Una supplica pubblica che in pochi giorni fu sottoscritta da più di 8.000 persone.
Il 20 aprile 2007, durante il ricovero al policlinico Malpighi, i famigliari di Alberigo vennero informati dal prefetto di Bologna Vincenzo Grimaldi che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano gli aveva conferito l'onorificenza di Cavaliere di Gran Croce. Si tratta della più alta onorificenza della Repubblica Italiana.