15 agosto - MULIERIS DIGNITATEM (1988), REDEMPTORIS CUSTOS (1989), LAETAMUR MAGNOPERE (Catechismo della Chiesa, 1997): la figura della donna nella famiglia cristiana.
Il 15 agosto san Giovanni Paolo II ci aiuta con le sue tre lettere apostoliche a riflettere sulla festa di Maria Assunta.Oggi 15 agosto nel 1988 papa Giovanni Paolo II pubblica la lettera apostolica Mulieris Dignitatem sulla dignità e vocazione della donna in occasione dell'anno mariano.
L'anno seguente nel 1989 pubblica l'Esortazione apostolica Redemptoris Custos sulla figura e la missione di San Giuseppe nella vita di Cristo e della Chiesa
Infine nel 1997 pubblica la lettera apostolica “Laetamur Magnopere” con la quale viene promulgato in modo ufficiale il Catechismo della Chiesa Cattolica.
Con le parole di san Giovanni Paolo formuliamo per tutti gli amici gli auguri di buon Ferragosto.
"A Maria Madre di Cristo, che oggi celebriamo assunta al Cielo in corpo ed anima, affido questi auspici, (un impegno straordinario di evangelizzazione, così che tutti possano conoscere ed accogliere il messaggio del Vangelo e crescere ciascuno "secondo la misura della piena maturità di Cristo" (Ef 4, 13)) perché si realizzino per il bene di tutta l'umanità".
Ruolo della donna
"L'invio di questo Figlio, consostanziale al Padre, come uomo «nato da donna», costituisce il culminante e definitivo punto dell'autorivelazione di Dio all'umanità. Questa autorivelazione possiede un carattere salvifico, come insegna in un altro passo il Concilio Vaticano II:
«Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelare se stesso e manifestare il mistero della sua volontà (cf. Ef 1, 9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della divina natura (cf. Ef 2, 18; 2 Pt 1, 4)».
La donna si trova al cuore di questo evento salvifico. L'autorivelazione di Dio, che è l'imperscrutabile unità della Trinità, è contenuta nelle sue linee fondamentali nell'annunciazione di Nazareth.
«Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Egli sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo». «Come avverrà questo? Non conosco uomo». «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su di te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio (...). Nulla è impossibile a Dio» (cf. Lc 1, 31-37).
E' facile pensare a questo evento nella prospettiva della storia d'Israele, il popolo eletto di cui Maria è figlia; ma è facile anche pensarvi nella prospettiva di tutte quelle vie, lungo le quali l'umanità da sempre cerca risposta agli interrogativi fondamentali ed insieme definitivi che più l'assillano.
Non si trova forse nell'annunciazione di Nazareth l'inizio di quella risposta definitiva, mediante la quale Dio stesso viene incontro alle inquietudini del cuore dell'uomo?
Qui non si tratta solo di parole di Dio rivelate per mezzo dei Profeti, ma, con questa risposta, realmente «il Verbo si fa carne» (cf. Gv 1, 14). Maria raggiunge così un'unione con Dio tale da superare tutte le attese dello spirito umano. Supera persino le attese di tutto Israele e, in particolare, delle figlie di questo popolo eletto, le quali, in base alla promessa, potevano sperare che una di esse sarebbe un giorno divenuta madre del Messia. Chi di loro, tuttavia, poteva supporre che il Messia promesso sarebbe stato il «Figlio dell'Altissimo»?
A partire dalla fede monoteista vetero-testamentaria ciò era difficilmente ipotizzabile. Solamente in forza dello Spirito Santo, che «stese la sua ombra» su di lei, Maria poteva accettare ciò che è «impossibile presso gli uomini, ma possibile presso Dio» (cf. Mc 10, 27
Donne custodi del messaggio evangelico
"Cristo parla con le donne delle cose di Dio, ed esse le comprendono: un'autentica risonanza della mente e del cuore, una risposta di fede. E Gesù per questa risposta spiccatamente «femminile» esprime apprezzamento e ammirazione, come nel caso della donna cananea (cf. Mt 15, 28).
A volte egli propone come esempio questa fede viva, permeata dall'amore: insegna, dunque, prendendo spunto da questa risposta femminile della mente e del cuore. Così avviene nel caso di quella donna «peccatrice» il cui modo di agire, in casa del fariseo, è assunto da Gesù come punto di partenza per spiegare la verità sulla remissione dei peccati: «Le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco» (Lc 7, 47).
In occasione di un'altra unzione, Gesù prende la difesa, davanti ai discepoli e in particolare davanti a Giuda, della donna e della sua azione: «Perché infastidite questa donna? Essa ha compiuto una azione buona verso di me (...). Versando questo olio sul mio corpo, lo ha fatto in vista della mia sepoltura. In verità vi dico: dovunque sarà predicato questo Vangelo, nel mondo intero, sarà detto ciò che essa ha fatto, in ricordo di lei» (Mt 26, 6-13)".(Mulieris dignitatis, 15)
Il servizio della paternità
7. Come si deduce dai testi evangelici, il matrimonio con Maria è il fondamento giuridico della paternità di Giuseppe. E' per assicurare la protezione paterna a Gesù che Dio sceglie Giuseppe come sposo di Maria. Ne segue che la paternità di Giuseppe - una relazione che lo colloca il più vicino possibile a Cristo, termine di ogni elezione e predestinazione (cfr. Rm 8,28s) - passa attraverso il matrimonio con Maria, cioè attraverso la famiglia.
Gli evangelisti, pur affermando chiaramente che Gesù è stato concepito per opera dello Spirito Santo e che in quel matrimonio è stata conservata la verginità (cfr. Mt 1,18-24; Lc 1,26-34), chiamano Giuseppe sposo di Maria e Maria sposa di Giuseppe (cfr. Mt 1,16.18-20.24; Lc 1,27; 2,5).
Ed anche per la Chiesa, se è importante professare il concepimento verginale di Gesù, non è meno importante difendere il matrimonio di Maria con Giuseppe, perché giuridicamente è da esso che dipende la paternità di Giuseppe.
Di qui si comprende perché le generazioni sono state elencate secondo la genealogia di Giuseppe. «Perché - si chiede santo Agostino - non lo dovevano essere attraverso Giuseppe? Non era forse Giuseppe il marito di Maria? (...) La Scrittura afferma, per mezzo dell'autorità angelica, che egli era il marito. Non temere, dice, di prendere con te Maria come tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Gli viene ordinato di imporre il nome al bambino, benché non nato dal suo seme. Ella, dice, partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Gesù. La Scrittura sa che Gesù non è nato dal seme di Giuseppe, poiché a lui preoccupato circa l'origine della gravidanza di lei è detto: viene dallo Spirito Santo. E tuttavia non gli viene tolta l'autorità paterna, dal momento che gli è ordinato di imporre il nome al bambino. Infine, anche la stessa Vergine Maria, ben consapevole di non aver concepito Cristo dall'unione coniugale con lui, lo chiama tuttavia padre di Cristo» («Sermo 51», 10, 16: PL 38, 342).
Il Figlio di Maria è anche figlio di Giuseppe in forza del vincolo matrimoniale che li unisce: «A motivo di quel matrimonio fedele meritarono entrambi di essere chiamati genitori di Cristo, non solo quella madre, ma anche quel suo padre, allo stesso modo che era coniuge di sua madre, entrambi per mezzo della mente, non della carne» (S. Augustini, «De nuptiis et concupiscentia» I, 11, 12: PL 44, 421; cfr. Eiusdem, «De consensu evangelistarum», II, 1, 2: PL 34, 1071; Eiusdem, «Contra Faustum», III, 2: PL 42, 214). In tale matrimonio non mancò nessuno dei requisiti che lo costituiscono: «In quei genitori di Cristo si sono realizzati tutti i beni delle nozze: la prole, la fedeltà, il sacramento. Conosciamo la prole, che è lo stesso Signore Gesù; la fedeltà, perché non c'è nessun adulterio; il sacramento, perché non c'è nessun divorzio» (S. Augustini, «De nuptiis et concupiscentia», I, 11, 13: PL 44, 421; cfr. Eiusdem, «Contra Iulianum», V, 12, 46: PL 44, 810).
Analizzando la natura del matrimonio, sia sant'Agostino che san Tommaso la collocano costantemente nell'«indivisibile unione degli animi», nell'«unione dei cuori», nel «consenso» (S. Augustini, «Contra Faustum», XXIII, 8: PL 42, 470s; Eiusdem, «De consensu evangelistarum», II, 1, 3: PL 34, 1072; Eiusdem, «Sermo 51», 13, 21: PL 38, 344s; S. Thomae, «Summa Theologiae», III, q. 29, a. 2, in conclus.), elementi che in quel matrimonio si sono manifestati in modo esemplare. Nel momento culminante della storia della salvezza, quando Dio rivela il suo amore per l'umanità mediante il dono del Verbo, è proprio il matrimonio di Maria e Giuseppe che realizza in piena «libertà» il «dono sponsale di sé» nell'accogliere ed esprimere un tale amore (cfr. «Insegnamenti di Giovanni Paolo II», III, 1 [1980] 88-92.148-152.428-431). «In questa grande impresa del rinnovamento di tutte le cose in Cristo, il matrimonio, anch'esso purificato e rinnovato, diviene una realtà nuova, un sacramento della nuova Alleanza. Ed ecco che alle soglie del Nuovo Testamento, come già all'inizio dell'Antico, c'è una coppia. Ma, mentre quella di Adamo ed Eva era stata sorgente del male che ha inondato il mondo, quella di Giuseppe e di Maria costituisce il vertice, dal quale la santità si espande su tutta la terra.
Il Salvatore ha iniziato l'opera della salvezza con questa unione verginale e santa, nella quale si manifesta la sua onnipotente volontà di purificare e santificare la famiglia, questo santuario dell'amore e questa culla della vita» (Pauli VI, «Allocutio ad Motum "Equipes Notre-Dame», 7, die 4 maii 1970: Insegnamenti di Paolo VI, VIII [1970] 428. Luades Familiae Nazarethanae, quae domesticae communitatis perfectum habendum est exemplar, similes inveniuntur, v. g., apud Leonis XIII, «Neminem Fugit», die 14 iun. 1892: «Leonis XIII P. M. Acta», XII [1892] 149s; apud Benedicti XV, «Bonum Sane», die 25 iul. 1920: AAS 12 [1920] 313-317).
Quanti insegnamenti da ciò derivano oggi per la famiglia!
Poiché «l'essenza ed i compiti della famiglia sono ultimamente definiti dall'amore» e «la famiglia riceve la missione di custodire, rivelare e comunicare l'amore, quale riflesso vivo e reale partecipazione dell'amore di Dio per l'umanità e dell'amore di Cristo Signore per la Chiesa sua sposa» («Familairis Consortio», 17), e nella santa Famiglia, in questa originaria «Chiesa domestica» («Familiaris Consortio», 49; cfr. «Lumen Gentium», 11; «Apostolicam Actuositatem», 11) che tutte le famiglie cristiane debbono rispecchiarsi. In essa, infatti, «per un misterioso disegno di Dio è vissuto nascosto per lunghi anni il Figlio di Dio: essa, dunque, è il prototipo e l'esempio di tutte le famiglie cristiane» («Familiaris Consortio», 85). (Redemptoris custos, 7)