1 giugno - GIUSEPPE UNGARETTI (Alessandria d'Egitto, 8 febbraio 1888 – Milano, 1° giugno 1970): la poesia come salvezza dall'universale naufragio.
Autore: Silvio Restelli. Curatore: don Gabriele Mangiarotti.Oggi 1 giugno ricordiamo GIUSEPPE UNGARETTI, che propone la poesia come salvezza dall'universale naufragio.
GIUSEPPE UNGARETTI (Alessandria d'Egitto, 8 febbraio 1888 – Milano, 1° giugno 1970): segna un momento chiave della storia della letteratura italiana. Rielabora in modo molto originale il messaggio formale dei simbolisti, coniugandolo con l'esperienza atroce del male e della morte nella guerra. Al desiderio di fraternità nel dolore si associa la volontà di ricercare una nuova "armonia" con il cosmo. che culmina nella citata poesia
"SOLDATI".
Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie
Questo spirito mistico-religioso si evolverà nella conversione, dove l'attenzione stilistica al valore della parola (e al recupero delle radici della nostra tradizione letteraria indica nei versi poetici l'unica possibilità dell'uomo, o una delle poche possibili, per salvarsi "dall'"universale naufragio".
Giuseppe Ungaretti nacque ad Alessandria d'Egitto, nel quartiere periferico di Moharrem Bey, l'8 febbraio 1888 (ma venne denunciato all'anagrafe come nato il 10 febbraio, e festeggiò sempre il suo compleanno in quest'ultima data) da genitori lucchesi.
Il padre, operaio allo scavo del Canale di Suez, morì due anni dopo la nascita del poeta, nel 1890. La madre, Maria Lunardini, mandò avanti la gestione di un forno di proprietà, con il quale garantì gli studi al figlio, che si poté iscrivere in una delle più prestigiose scuole di Alessandria, la Svizzera École Suisse Jacot.
L'amore per la poesia nacque durante questi anni di scuola e si intensificò grazie alle amicizie che egli strinse nella città egiziana, così ricca di antiche tradizioni come di nuovi stimoli, derivanti dalla presenza di persone provenienti da tanti paesi del mondo; Ungaretti stesso ebbe una balia originaria del Sudan, ed una domestica croata.
Soggiorno in Francia
Nel 1912 Ungaretti, dopo un breve periodo trascorso al Cairo, lasciò l'Egitto e si recò a Parigi. Nel tragitto vide per la prima volta l'Italia ed il suo paesaggio montano. A Parigi frequentò per due anni le lezioni del filosofo Bergson, del filologo Bédier e di Strowschi, alla Sorbonne e al Collège de France.
Venuto a contatto con l'ambiente artistico internazionale, conobbe Apollinaire, con il quale strinse una solida amicizia, ma anche con Giovanni Papini, Ardengo Soffici, Palazzeschi, Picasso, De Chirico, Modigliani e Braque. Invitato da Papini, Soffici e Palazzeschi iniziò la collaborazione alla rivista Lacerba.
In Francia Ungaretti filtrò le precedenti esperienze, perfezionando le sue conoscenze letterarie e il suo stile poetico. Dopo qualche pubblicazione su Lacerba, decise di partire volontario per la Grande Guerra.
La Grande Guerra
Quando nel 1914 scoppiò la Prima Guerra Mondiale, Ungaretti partecipò alla campagna interventista, per poi arruolarsi volontario nel 19° reggimento di fanteria, quando il 24 maggio 1915 l'Italia entrò in guerra. Combatté sul Carso e in seguito a questa esperienza scrisse le poesie che, raccolte dall'amico Ettore Serra (un giovane ufficiale), vennero stampate in 80 copie presso una tipografia di Udine nel 1916, con il titolo "Il porto sepolto".
Collaborava a quel tempo anche al giornale di trincea "Sempre Avanti". Trascorse un breve periodo a Napoli, nel 1916 (testimoniato da alcune poesie, per esempio Natale: "Non ho voglia / di tuffarmi / in un gomitolo di strade..." o "Soldati").
Tra le due guerre
Al termine della guerra il poeta rimase a Parigi dapprima come corrispondente del giornale "Il Popolo d'Italia", ed in seguito come impiegato all'ufficio stampa dell'ambasciata italiana.
Nel 1919 venne stampata a Parigi la raccolta di poesie francesi "La guerre", che sarà poi inserita nella seconda raccolta di poesie "Allegria di naufragi" pubblicata a Firenze nello stesso anno.
Nel 1921 si trasferì a Marino (Roma) e collaborò all'Ufficio stampa del Ministero degli Esteri. Gli anni venti segnarono un cambiamento nella vita privata e culturale del poeta. Egli aderì al fascismo firmando il "Manifesto degli intellettuali fascisti" nel 1925.
In questi anni egli svolse una intensa attività su quotidiani e riviste francesi (Commerce e Mesures) e italiane (sulla La Gazzetta del Popolo), e realizzò diversi viaggi in Italia e all'estero per varie conferenze, ottenendo nel frattempo vari riconoscimenti di carattere ufficiale, come il Premio del Gondoliere.
Furono questi anche gli anni della maturazione dell'opera "Sentimento del Tempo"; prime pubblicazioni di alcune sue liriche avvennero su L'Italia letteraria e Commerce. Nel 1923 venne ristampato "Il porto sepolto" presso La Spezia, con una sbrigativa prefazione di Benito Mussolini, che aveva conosciuto nel 1915, durante la campagna dei socialisti interventisti.
Nel 1928 maturò invece la sua conversione religiosa, evidente nell'opera "Sentimento del Tempo".
A partire dal 1931 ebbe l'incarico di inviato speciale per La Gazzetta del Popolo e si recò in Egitto, in Corsica, in Olanda e nell'Italia meridionale, raccogliendo il frutto delle esperienze vissute in "Il povero nella città" (che sarà pubblicato nel 1949), e nella sua rielaborazione "Il deserto e dopo", che vedrà la luce solamente nel 1961. Nel 1933 il poeta aveva raggiunto il massimo della sua fama.
Nel 1936, durante un viaggio in Argentina su invito del Pen Club, gli venne offerta la cattedra di letteratura italiana presso l'Università di San Paolo del Brasile, che Ungaretti accettò; trasferitosi con tutta la famiglia, vi rimarrà fino al 1942. A San Paolo nel 1939 morirà il figlio Antonietto, all'età di nove anni, per un'appendicite mal curata, lasciando il poeta in uno stato di grande prostrazione interiore, evidente in molte delle poesie raccolte ne "Il Dolore" del 1947 e in "Un Grido" e "Paesaggi" del 1952.
La seconda guerra mondiale e il dopoguerra
Nel 1942 Ungaretti ritornò in Italia e venne nominato Accademico d'Italia e «per chiara fama» professore di letteratura moderna e contemporanea presso l'Università di Roma, ruolo che mantenne fino al 1958 e poi, come "fuori ruolo", fino al 1965.
Intorno alla sua cattedra si formarono alcuni intellettuali che in seguito si sarebbero distinti per importanti attività culturali e notevoli carriere accademiche, come Leone Piccioni, Luigi Silori, Mario Petrucciani, Guido Barlozzini, Raffaello Brignetti, Ornella Sobrero, Elio Filippo Accrocca.
A partire dal 1942 la casa editrice Mondadori iniziò la pubblicazione dell' opera omnia di Ungaretti, intitolata “Vita di un uomo”.
Nel secondo dopoguerra Ungaretti pubblicò nuove raccolte poetiche, dedicandosi con entusiasmo a quei viaggi che gli davano modo di diffondere il suo messaggio, e ottenendo significativi premi come il Premio Montefeltro nel 1960 e il Premio Etna-Taormina nel 1966.
La fortuna di Ungaretti
La poesia di Ungaretti creò un certo disorientamento sin dalla prima apparizione del Porto Sepolto. A essa arrisero i favori sia degli intellettuali del "La Voce", sia degli amici francesi, da Guillaume Apollinaire ad Aragon, che vi riconobbero la comune matrice simbolista. Non mancarono polemiche e vivaci ostilità da parte di molti critici tradizionali e del grande pubblico. Non la compresero, per esempio, i seguaci di Benedetto Croce, che ne condannarono il frammentismo.
A riconoscere in Ungaretti il poeta che per primo era riuscito a rinnovare formalmente e profondamente il verso della tradizione italiana, furono soprattutto gli ermetici, che, all'indomani della pubblicazione del "Sentimento del tempo", salutarono in Ungaretti il maestro e precursore della propria scuola poetica, iniziatore della poesia «pura». Da allora la poesia ungarettiana ha conosciuto una fortuna ininterrotta. A lui, assieme a Umberto Saba e Eugenio Montale, hanno guardato, come un imprescindibile punto di partenza, molti poeti del secondo Novecento.
Ecco il testo di una delle sue più famose liriche
San Martino del Carso
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
È il mio cuore
il paese più straziato.