Rieduchiamoci al Bello 3 - Il ritorno alla bellezza perduta
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:
3.1. La bellezza sfugge alla definizione. Ci si potrebbe allora chiedere che cosa sia la bellezza. La prima considerazione che emerge è che la bellezza è più grande di qualsiasi sforzo umano di definizione e di analisi. Nel momento in cui definisci la bellezza la delimiti e la circoscrivi eliminando quel quid che la rende tale, il mistero della bellezza. Nel momento in cui analizzi la bellezza tenti di possederla e nel contempo la corrompi e la fai decadere. Non si tratta di definire e analizzare la bellezza, ma di capire che cosa accada di fronte al bello. Il bello provoca stupore, estasi, contemplazione, ma al contempo movimento e impeto e ardore di conoscenza. Il bello porta a spalancarsi di fronte al mistero del reale, a quanto sta oltre. Il bello suscita, suggerisce, muove, spalanca, apre nuovi mondi, ferisce, fa domandare. Di fronte al bello si percepisce la sproporzione tra la nostra pochezza e il nostro limite e l’infinito e l’assoluto che si percepiscono in quel bello. Il bello è, quindi, segno, rimando a qualcosa d’altro. Sarebbe stolto rimanere sul segno senza cercare d’andare oltre. Sarebbe come se ci regalassero dei fiori e noi non cercassimo di sapere chi ce li ha regalati.
L’esperienza della bellezza è una delle più alte che possa provare l’uomo. Scrive Dante nel Paradiso (Canto I, vv. 70-72):
“Trasumanar significar per verba
non si poria, però l’essemplo
basti a cui poi esperienza grazia serba”.
L’esperienza della bellezza che vive Dante è inenarrabile. L’autore può solo sperare che anche gli altri provino la stessa esperienza.
3.2. Arte, bellezza e realtà. Inoltre, la bellezza ha sempre un intimo rapporto con la realtà. Afferma Amleto nel I atto: “Ci sono più cose in cielo e in terra che nella tua filosofia, Orazio”. Questa frase significa che la realtà è più ricca di ogni fantasia e l’arte partirà, in un modo o nell’altro, sempre dall’osservazione della realtà. Lo stesso Dante apre il Paradiso scrivendo:
“La gloria di colui che tutto move
per l'universo penetra, e risplende
in una parte più e meno altrove.
Nel ciel che più de la sua luce prende
fu' io, e vidi cose che ridire
né sa né può chi di là sù discende;
perché appressando sé al suo disire,
nostro intelletto si profonda tanto,
che dietro la memoria non può ire”.
Per Dante l’uomo deve guardare questa bellezza, questa gloria di Dio. Il verbo “guardare” e la parola “sguardo” sono fra i termini più presenti nella Commedia.
Una visione simile ha Manzoni che nel De inventione afferma che l’artista non inventa mai nulla, ma trova nel reale le impronte e le orme di Dio, si sorprende e l’arte scaturisce da questa meraviglia. Non solo l’arte, ma anche la scienza scaturisce da questo stupore per la realtà. Solo la fiducia di Galilei nel fatto che vi siano un ordine e una bellezza nella natura lo ha portato a ricercare delle leggi fisse e a ricavare dai dati raccolti attraverso il metodo induttivo un rapporto stabile tra le grandezze coinvolte nei fenomeni. Senza lo stupore per il creato e per l’ordine nascosto ivi presente, l’indagine scientifica non partirebbe.
3.3. Bellezza e bontà. L’esperienza della bellezza ci fa capire che essa è anche buona e vera. Questa dimensione persa nell’epoca moderna va recuperata. Scrive Shakespeare nell’Amleto:
Amleto - […] Siete onesta?
Ofelia - Monsignore!
Amleto - Siete bella?
Ofelia - Che vuol dire?
Amleto - Se siete onesta e bella, non lasciate che la vostra onestà discorra con la vostra bellezza.
Ofelia - Potrebbe la bellezza avere miglior commercio che con l’onestà?
Amleto - Sì, oh sì! Ha più potere la bellezza di cambiare l’onestà da quella che è in una ruffiana, di quanto l’onestà non abbia forza di tradurre la bellezza a sua somiglianza. Una volta era un paradosso, ma ora i tempi ne offrono prove. Vi amai.
Siamo lontani dalla concezione medioevale, che si incarna idealmente nella Beatrice dantesca, nella quale onestà e umiltà si traducono all’esterno in decoro, compostezza ed eleganza tali da cambiare e trasfondere salute in chi la mira. La concezione di bellezza unitaria, che salva anima e spirito, esteriorità ed interiorità tanto che l’esteriorità è il riflesso della sovrabbondanza di amore interiore, è ormai tramontata. Tra verità e bellezza c’è, quindi, una scissione netta. La coincidenza tra verità e bellezza ha, invece, connotato sia l’estetica classica che quella cristiana. Con la modernità inizia l’epoca della scissione conclamata tra anima e corpo, tra sostanza ed apparenza, visibile ed invisibile. Deve essere recuperata questa unità tra bellezza e bontà che anche il buon senso del bimbo coglie quando dice alla mamma che è bella intendendo che oltre che bella è anche buona, è fondamentale per la sua vita. Quando infatti la mamma non soddisfa le richieste del bimbo, questi subito la chiama “brutta”.
3.4. Un grado di bellezza è in tutto. Tutte le cose, poi, hanno una loro intima bellezza, un’impronta di Dio.
“Le cose tutte quante
hanno ordine tra loro, e questo è forma
che lʼuniverso a Dio fa simigliante.
Qui veggion l'alte creature lʼorma
de l'etterno valore, il qual è fine
al quale è fatta la toccata norma”.
Dante riprende qui s. Tommaso che afferma che ogni cosa è bella, a suo modo. Siamo noi che non siamo nel giusto rapporto per cogliere questa bellezza e non guardiamo bene la realtà. Pensiamo ad una mamma che vede bello il proprio figlio, perché gli è affezionato e lo guarda con tenerezza leggendo nell’intimità del suo cuore. Pensiamo all’esempio della rosa nel Piccolo principe di A. de Saint Exupéry. La rosa del principe era unica per il principe anche se uguale alle altre perché ad essa il principino aveva dedicato tutto il suo tempo e la sua attenzione. “Non si vede bene che con il cuore” dirà la volpe “L’essenziale è invisibile agli occhi”. Si apre allora un discorso più ampio sulla bellezza che porta a valorizzare il bello insito in ogni creatura.