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Natura e libertà

Autore:
Luporini, Giulio
Fonte:
CulturaCattolica.it
A proposito della lettera di Vattimo al Cardinal Ruini



Nel numero di Aprile di Micromega è comparsa una lettera aperta a S.E. cardinal Ruini, scritta dal filosofo Gianni Vattimo (Lettera aperta a S.E. il cardinal Ruini sulla Chiesa del Vangelo e la Chiesa di Mammona). In questa lettera il filosofo torinese denuncia quello che considera essere l'errore principale della Chiesa di oggi (Chiesa di Mammona), nell'annunciare il Vangelo. Errore che allontana la Chiesa, allo stesso tempo, sia dalla verità del contenuto evangelico stesso, sia dalla gente.
Non voglio qui soffermarmi sul fatto che il filosofo, nell'argomentare le proprie tesi, scada nel ricorrere a "scherzi pesanti" (quasi bastasse premettere una frase del tipo "mi si permetta uno scherzo pesante" per poi potere insultare chiunque come si vuole); nemmeno considerare quanto egli dice a proposito del suo sentirsi discrimato e in un certo senso lasciato solo nella battaglia contro le posizioni "pubbliche" della Chiesa Cattolica riguardo ai più svariati temi di etica (in particolare quelli relativi alla sfera sessuale), costatando con un pizzico di amarezza, che i cattolici "impegnati" di oggi, magari si impegnano anche nel volontariato, ma non hanno più il coraggio di schierarsi contro le posizioni ufficiali della Chiesa, quasi il termine impegno fosse da considerarsi sinonimo di contestazione.
Ciò su cui mi voglio soffermare è invece l'errore che viene imputato alla Chiesa, che è innanzitutto di carattere filosofico. Errore da cui nascono secondo Vattimo "la sessuo e omofobia papale", come etichetta lui stesso la posizione della Chiesa intorno agli argomenti di morale sessuale.
Quale sarebbe questo errore, ovvero, come lo definisce lo stesso Vattimo, il vero scandalo che allontana sempre più la gente dalla Chiesa perché essa tradisce lo spirito originario del Vangelo? Esso sarebbe rappresentato dal fatto che la Chiesa ha finito per leggere il Vangelo alla luce di una filosofia oggettivante, che pretende di parlare di una natura umana immutabile nel tempo e quindi soggetta ad una legge naturale. Ciò facendo la Chiesa finisce, secondo Vattimo, per stravolgere il significato originario del cristianesimo, giungendo in nome di questa pretesa natura umana e della sua legge naturale a ignorare e calpestare la carità ("Perché deve essere così difficile per tante persone mantenersi in contatto con il Vangelo, dovendo superare lo scandalo continuo che proviene dalla Chiesa […] dal modo in cui la rivelazione biblica viene legata a una cultura che, in nome di una pretesa essenza naturale dell'uomo, della società, della famiglia, è pronta a calpestare il comando cristiano della carità?"). Secondo il filosofo torinese, con questa prospettiva oggettivante, si perde, cioè, quello sguardo assolutamente nuovo sulla libertà e interiorità dell'uomo introdotto dal cristianesimo: "il cristianesimo ha bensì introdotto nel mondo il principio di un rinnovamento radicale della metafisica classica: non più lo sguardo rivolto all'oggetto, alle forme naturali assunte come fisse ed eterne, che si tratta di riconoscere solo come morali; ma sguardo sulla libertà e l'interiorità". Tale processo di travisamento dell'annuncio originario ha origine nei primi secoli del Medioevo: "la Chiesa che ne era depositaria, lo ha frainteso e oscurato essendosi trovata a dovere esercitare funzioni di autorità civile […] e avendo ereditato tratti esenziali della cultura antica, e in specie il mito dell'oggettività delle leggi della natura che le permettevano di comandare non in nome soltanto della rivelazione ma in nome dell'umanità stessa".
Pertanto, secondo Vattimo, "la Chiesa non può cedere sulle questioni dell'etica sessuale e familiare perché altrimenti dovrebbe cedere anche sul legame tra fede cristiana e oggettività delle leggi naturali su cui si fonda la propria autorità. Ma queste leggi non sono nient'altro che la natura come appariva a società ed epoche che la Chiesa considera archetipiche, identificandole con la verità eterna dell'uomo e della società".
Mi si permetta di fare una serie di osservazioni su quanto affermato da Vattimo, soffermandomi in particolare su quella che considero essere fondamentale dal punto di vista filosofico.

Prima osservazione: è sufficiente leggere san Paolo per accorgersi di come già all'interno della Rivelazione sia presente l'idea di legge naturale, scritta nel cuore dell'uomo ancor prima di essere rivelata: "Quando i pagani, che non hanno legge, per natura agiscono secondo la legge, essi pur non avendo la legge, sono legge a se stessi; essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono" (Rm 2,14-15).

Seconda osservazione: se è vero che il cristianesimo indubbiamente esalta la libertà umana e l'interiorità, facendo diventare la fede non più una questione di appartenenza etnica (non è più l'appartenenza ad una determinata etnia che salva l'uomo, ma è l'adesione libera e personale alla proposta di Cristo), la vera originalità del cristianesimo rimane il fatto che in esso la salvezza dell'uomo è una Persona: Gesù Cristo. La Chiesa pertanto fin dall'origine ha avuto coscienza del fatto che si fosse di fronte a qualcosa di assolutamente gratuito e imprevedibile per l'uomo, ma che allo stesso tempo corrispondeva pienamente a quell'esigenza di felicità, di realizzazione di sé, tipica di ogni essere umano. Esigenza che il rispetto della stessa legge scritta nei cuori e rivelata a Mosè sul Sinai non era in grado di realizzare fino in fondo. Si legga a questo riguardo il commento al passo evangelico del giovane ricco (Mt. 19,16) contenuto nella Veritatis splendor. Giovanni Paolo II qui mette in evidenza come la domanda del giovane (cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna, cioè piena) è dettata dall'insoddisfazione ultima che caratterizza la sua vita, nonostante egli osservasse tutti i comandamenti. Insoddisfazione che può essere colmata solo se si è disposti a seguire Gesù. Il cristianesimo introduce una novità assoluta anche dal punto di vista morale. La pienezza della propria vita non si raggiunge rispettando certe norme etiche, ma seguendo la Persona di Gesù, ci si realizza a pieno solo nel rapporto con la Persona di Gesù ("seguire Cristo è il fondamento essenziale e originale della morale cristiana", Veritatis splendor, 19). Ciò non significa però eliminare la validità dei comandamenti, e il loro fondamento nella natura umana, ma inverarli, renderli cioè pienamente alla portata dell'uomo.

Terza osservazione: vorrei qui finalmente soffermarmi su quello che considero essere l'aspetto più propriamente filosofico del discorso di Vattimo. Egli nel contestare alla Chiesa di volere difendere e sostenere la natura umana, e la legge naturale ricavabile da essa, contro la libertà e l'interiorità stessa dei singoli uomini, evidentemente concepisce il termine natura contrapposto a libertà e interiorità. Siamo sicuri che sia proprio così? Certamente se si intende per natura qualcosa di statico, qualcosa di simile ad un meccanismo non ci sarebbe molto posto per la libertà umana. Ma quando si parla di natura umana intendiamo qualcosa del genere? Sicuramente a questo riguardo tornano utili le riflessioni che il filosofo tedesco Robert Speamann fa intorno a questo termine e al significato da attribuirli. Egli sostiene che la critica rivolta al termine natura fa riferimento ad "un concetto assoluto e astratto di libertà, a una libertà intesa come liberazione da tutto ciò che non è stato posto dalla libertà stessa. E ciò significa: liberazione anche dalla natura"1. Egli rifacendosi ad Aristotele ricorda che "nella filosofia greca physis non significa, infatti, la pura oggettività di una materia passiva, ma un'identità pensata in analogia con l'esperienza che l'uomo fa di se stesso. Essa stabilisce la delimitazione di un essere da tutti gli altri, di un sistema vivente - come diremmo oggi - da un ambiente, fissa una delimitazione attiva, un'autoaffermazione, un'autorealizzazione a partire dal proprio impulso. Physis è l'essenza di tutto ciò che ha in se stessa un principio, un inizio di movimento"2. In altre parole, natura e libertà non vanno intesi come due termini che si oppongono l'uno all'altro. Nel caso dell'uomo parlare di natura vuol dire, come nel caso degli altri enti, individuare determinati fini, verso cui si muove, tende, ma a differenza di qualsiasi altro ente, egli li persegue coscientemente, razionalmente, quindi liberamente. Infatti, se voglio parlare della libertà propria dell'uomo, che è sempre condizionata, mai assoluta, essa consiste propriamente nel perseguimento, coscientemente e razionalmente voluto, dei fini che sono insiti, già dati, nella propria natura. ("Il libero movimento di un essere è, infatti, il movimento conforme alla sua natura"3). Se mi si permette un esempio che rende indubbiamente più chiaro ciò che sto affermando, proviamo a considerare la seguente situazione: l'uomo, è per natura capace di imparare a parlare a differenza di qualsiasi altro essere vivente. Qualcuno oserebbe forse dire che, per prescindere completamente da ogni riferimento alla natura umana, per l'uomo sarebbe segno di libertà decidere di abbaiare anziché parlare? Credo proprio di no. Ciò significa che la libertà per l'uomo non consiste tanto nella scelta di una serie infinita di possibilità, quanto piuttosto nel cercare di realizzare le potenzialità messe a disposizione da quella che è la propria natura; natura che l'uomo si trova in qualche modo addosso. Una libertà che, come evidenzia Speamann, non tenga conto di ciò, non solo è astratta, non è reale, si può ritorcere anche contro lo stesso uomo.
Infine, tale insistenza sulla capacità della ragione di individuare e riconoscere ciò che è proprio della natura umana, insieme al perenne ricorso alla Rivelazione, riscontrabile nel Magistero della Chiesa, è conseguenza di quel legame strettissimo tra fede e ragione che caratterizza l'esperienza cristiana.
Compito della Chiesa, rimane sicuramente quello di annunciare la verità sull'uomo che è Gesù Cristo; ma non può allo stesso tempo esimersi dal mettere in guardia l'uomo da quelle false concezioni antropologiche che minacciano lo stesso uomo. Se è vero che, per evitare di cadere in posizioni razionalistiche è corretto evidenziare la rottura esistente tra la capacità della ragione e la Rivelazione, allo stesso tempo, occorre sottolineare una certa continuità, per evitare di cadere nel fideismo. Infatti, se è vero che l'Avvenimento di Cristo è assolutamente gratuito, non prevedibile e immaginabile per la ragione umana, tuttavia esso è ciò che corrisponde pienamente ai desideri più profondi della natura umana; esso è la sola ed unica risposta in grado di chiarire all'uomo che cosa è l'uomo. Inoltre, se è vero che la ragione dell'uomo è per sua natura aperta al Mistero, è anche vero che essa tende a perdersi e snaturandosi a rivolgersi ad altro. L'Avvenimento di Cristo allora risulta per l'uomo la più grande possibilità di recuperare a pieno l'uso della propria ragione. La Rivelazione, infatti, non solo non sminuisce il valore della ragione, ma al contrario lo esalta e lo difende di fronte ai tentativi riduzionistici. Da qui la duplice responsabilità della Chiesa: da un lato sapere sempre valorizzare e difendere ogni forma di autentica ricerca della verità condotta dall'uomo, dall'altro annunciare ad ogni uomo la pienezza della verità in Gesù Cristo.

Note
1 Robert Spaemann, Felicità e benevolenza, Vita e Pensiero, Milano 1998, p. 207.
2 Ibi, p. 210.
3 Ibi, p. 210.

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