La voce dimenticata del realismo

Autore:
Martucci, Massimo
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Quello che accade tutti i giorni sembra porci costantemente di fronte ad una alternativa radicale nei confronti del nostro rapporto con il mondo: o chi decide della realtà delle cose è l'uomo, o ciò che decide dell'uomo è la realtà del mondo circostante. Storicamente queste due posizioni sono state incarnate da due correnti filosofiche e culturali poste agli antipodi l'una rispetto all'altra, ma in realtà molto simili nell'atteggiamento di fondo, nella misura in cui pretendono di spiegare la realtà secondo un modello unitario ma inevitabilmente teorico.
Da un lato tutta la cultura idealistica, che pretende di far dipendere la natura e i caratteri della realtà, delle cose che ci circondano, dal soggetto, dall'io, da quella parte dell'uomo che sembra potersi identificare con ciò che costituisce la realtà: lo spirito. Poi magari non sempre questo spirito viene a coincidere con il singolo individuo; più spesso - ed è ciò che tecnicamente avviene nella filosofia dell'Idealismo tedesco - si tratta di un Soggetto universale di cui i singoli individui non sono che incarnazioni particolari. Ma il principio è lo stesso: la scaturigine della realtà, ciò che costituisce la realtà nel senso che le dà forma e significato - o addirittura ciò che materialmente produce la realtà - non è riconosciuto in un alterità, in un qualche cosa di altro rispetto all'io, in un "tu", ma coincide con l'io stesso. La realtà ha per me il senso che nel momento in cui io mi rapporto ad essa le attribuisco. In questo senso l'io è libero, ma soltanto nella misura in cui è incondizionato, cioè non determinato da alcunché nella attribuzione di senso alla realtà. In quest'ottica infatti ogni significato già dato nella realtà, a cui l'io avrebbe soltanto la possibilità di attenersi o che invece potrebbe misconoscere, rappresenterebbe una limitazione dell'io stesso, e dunque una non-libertà.
D'altro canto l'alternativa a questa prospettiva culturale sembra essere quella del determinismo, in genere nella sua versione materialistica. Qui il fondamento della realtà non è più l'io, ma non è neanche alcunché di altro rispetto alla realtà. Semplicemente la realtà non ha fondamento, o ha fondamento in sé e a partire unicamente da sé, il che è dire lo stesso. La realtà "funziona" secondo determinate leggi, alcune note, altre sconosciute e per questo definite "misteriose", e anche l'io si pone sullo stesso livello delle cose: segue le leggi universali senza alcuna possibilità di intervento sul mondo, senza alcuna libertà. Le sue stesse azioni sono frutto di una inconsapevole concatenazione di cause rispetto a cui ogni sforzo di opporsi è vano. L'uomo rimane in balia di una realtà che gli rimane estranea, e che tuttavia lo trascina in balia del suo destino.
Ebbene, questa alternativa (l'uomo determina la realtà o la realtà determina l'uomo?) sembra essere una delle solite questioni teoriche che non hanno incidenza sul mondo reale. Invece proprio dalla considerazione di queste due prospettive culturali diverse nasce l'evidenza che esse non soddisfano l'esigenza che l'uomo ha nei confronti della realtà. Parliamo di esigenza, e non di un'esigenza teoretica o intellettuale, ma di esigenza nel senso più umano e concreto. L'uomo ha bisogno di un'alternativa a questa alternativa, ha bisogno di una terza possibilità. Solo il realismo infatti soddisfa l'esigenza che l'uomo ha di un rapporto vero con la realtà. Di fronte a ciò che tutti i giorni provoca la nostra ragione, e specialmente nella drammaticità dei tempi più recenti, non possiamo non riconoscere che abbiamo davanti una realtà che ci interroga, e che noi sentiamo il bisogno di interrogare. Nessuno di noi desidererebbe, ad esempio di fronte all'esperienza del dolore, che questa realtà abbia il senso che noi vogliamo darle, perché immediatamente ci sentiamo umanamente incapaci di arrivare a quella soglia vertiginosa cui le vicende della realtà ci portano. Di fronte al dolore ciò che ci viene naturale è domandare un senso, desiderare un significato che noi non sappiamo di dove trarre. Anche la tentazione opposta, quella di abbandonarci ad un fatalismo che vede tutte le vicende come realizzazioni di un destino cieco e senza senso, è una magra consolazione. Quello che realmente il nostro cuore desidera è poter riconoscere un senso che le cose hanno indipendentemente da noi, e che pure a noi sia dato conoscere. Questa è la grande sfida del realismo: che dinanzi al nostro desiderio di conoscere si stagli una realtà che ha un senso che non dipende da noi, e che tuttavia ha la misura del nostro cuore, che è in grado di rendersi comprensibile a noi. Quello che desideriamo veramente è poter dare alle cose un nome che riconosca quello che esse sono. Chi di noi, di fronte a persone che mettono tutta la loro forza e la loro creatività al servizio dell'odio, e che trascinano dall'una o dall'altra parte altre persone che, come loro, hanno perso ogni riferimento, chi di noi di fronte ad una guerra o ad un semplice gesto di violenza non desidererebbe dire: questo è vero, questo è falso; questo è bianco, questo è nero. Chi di noi non sente l'esigenza di capire, pur nella complessità della realtà, come realmente stanno le cose? La grande scorciatoia del mondo moderno è quella del relativismo, ma anche il più relativista al mondo ammetterebbe che, se potesse, anche lui preferirebbe a tutte le sue opinioni la sicurezza di una realtà certa davanti a sé.
Ma qui si fa avanti l'ultima alternativa: questo realismo, che ha la pretesa di affermare l'esistenza di una realtà estranea all'individuo, eppure conoscibile, comprensibile da esso, una realtà in cui è dato un significato che provoca la libertà reale dell'uomo e la sua ragione a prendere una posizione - questo realismo è solo una descrizione utopica di come sarebbe il mondo che l'uomo desidera, ma non ha a disposizione, oppure ha un fondamento reale? Con ironia bisogna riconoscere che per rispondere a questo interrogativo occorre essere realisti: infatti non noi decidiamo del fatto che la realtà abbia o meno fondamento, ma la nostra ragione è chiamata a riconoscere che un fattore della realtà che pretende di essere il fondamento della realtà stessa, storicamente c'è; storicamente, cioè nella concreta esperienza di ciascuno di noi, questo fondamento che provoca la nostra libertà c'è, è il Mistero fatto uomo. Che poi seguirlo ci ottenga un rapporto con la realtà più vero, questo sta alla ragione e all'esperienza riconoscerlo, ma la sfida è che il realismo abbia un fondamento reale. Se questo è vero, ogni dialettica, ogni presa di posizione teorica nei confronti della realtà perde di forza: la realtà trionfa perché vive di un fondamento che è anch'esso vivo e presente.
Se allora la voce del realismo sembra dimenticata, solo la Presenza che sostiene la realtà può dare la forza per farla trionfare.