Cristo nella letteratura 4 - L’ostilità a Cristo. Carducci e d’Annunzio
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Nel clima anticlericale e anticattolico del primo Regno d’Italia la cultura dominante trova un suo illustre rappresentante nella figura di Giosue Carducci (1835-1907) che osa satireggiare e sbeffeggiare la persona di Cristo. Nell’inno «A Satana», esaltazione del progresso, della scienza, dell’edonistica gioia di vivere, il poeta scrive:
Che val se barbaro
Il nazareno
Furor de l’agapi
Dal rito osceno
Con sacra fiaccola
I templi t’arse
E i segni argolici
A terra sparse?
In poche parole, si chiede Carducci a che cosa sia servito che i riti liturgici celebrati a memoria dell’ultima cena abbiano bruciato i templi pagani e abbiano distrutto le statue greche pagane. Nonostante la barbarie e il degrado cristiani,
Satana ha vinto.
Un bello e orribile
Mostro si sferra,
Corre gli oceani,
Corre la terra.
L’«orribile/mostro» è chiara allusione al prodigio del libro III dell’Eneide, al noto episodio di Polidoro: le novità tecnologiche, incarnazione del clima positivista ottocentesco, sostituiscono il soprannaturale delle epoche antiche e primitive, in cui il Mistero non è ancora stato conquistato dalla scienza. Il progresso ha vinto, a detta di Carducci, rendendo inutile la superstizione cristiana.
Organico al potere tanto quanto Carducci, anche se mascherato sotto i panni di un finto innovatore, elitario e antiborghese (quando lui stesso è, invece, rappresentante privilegiato del ceto), D’Annunzio prosegue l’irridente sberleffo al Crocefisso dalla cui passione è stato menomato il mondo, come lui si esprime in un carteggio con l’amico architetto del Vittoriale.
Nel romanzo Le vergini delle rocce il protagonista Claudio Cantelmo intende trovare la futura moglie tra le figlie del principe Capece Mantega. Il discendente proveniente da questa unione sarà il futuro capo di Italia, l’eletto a custodire la bellezza dal deturpamento e dalla rozzezza contemporanei. D’Annunzio inveisce contro l’omologazione, proprio lui che, proponendosi come l’inimitabile, è coscientemente e volontariamente promotore di atteggiamenti eccentrici che fungano da modello per il potente ceto borghese. Le prerogative del nuovo capo d’Italia, del superuomo figlio di Claudio Cantelmo, corifeo del Verbo, «nuovo Messia in terra», saranno forza, violenza e disciplina. Indubbiamente siamo molto distanti da quella bellezza vera e buona, rappresentata da Cristo. L’interprete della nuova stagione dannunziano - superomistica compendia, invece, la presunta superiorità di gusto culturale ed estetico con il fascino di colui che sperimenta sempre nuovi campi imponendosi con l’eccellenza.
D’Annunzio ha sempre deliberatamente contrapposto la propria brama di affermazione narcisistica al Verbo incarnato secondo la fede cristiana. La parodia ha quasi sempre accompagnato la produzione dannunziana in maniera ostentatamente provocatoria e mordace. Si pensi, ad esempio, nel Piacere alle descrizioni delle camere da letto in cui i corpi dei due amanti adulterini si congiungeranno. In maniera antifrastica e irrisoria una raffigurazione artistica dell’«Annunciazione» campeggia sulle lenzuola: la castità della Madonna si configura come appetitoso antipasto al connubio carnale peccaminoso. I richiami sacrali percorrono in maniera ossessiva non solo i romanzi, ma anche le poesie e lo stesso luogo che D’Annunzio scelse come suo ultimo soggiorno, il Vittoriale degli italiani.